I deliri del bibliofilo
“Ossi di seppia” da Gobetti a Einaudi
Storia delle “varianti” editoriali della raccolta di Eugenio Montale. Dalla prima edizione del 1925 alla quinta, pubblicata nel 1942, dalla quale il poeta – attento alla veste grafiche delle sue ristampe – tolse le dediche e la prefazione di Gargiulo. Per uniformarsi all’edizione delle “Occasioni”
Affrontare un argomento complesso come quello relativo alle edizioni originali di Eugenio Montale presuppone il fatto che non ci si debba limitare a inventariarle senza tener conto di due dati fondamentali. Il primo è che il poeta genovese aveva l’abitudine di ristampare le proprie opere con editori diversi, sfruttando una veste grafica modificata; il secondo è che spesso tali ristampe erano arricchite da composizioni inedite o rimaneggiate. Diventa così di fondamentale importanza il lavoro filologico allestito per le edizioni critiche dei suoi testi, in particolare l’Opera in versi, curata da Rosanna Bettarini e Gianfranco Contini per Einaudi nel 1980, e il monumentale progetto delle Opere complete, pubblicate a cura di Giorgio Zampa e Marco Forti per Mondadori tra il 1984 e il 1996, con particolare riguardo per il primo volume. Molto complesso infatti appare il lavoro riguardante le varianti, soprattutto se rapportato all’anticipazione dei singoli testi sulle riviste letterarie più significative del Novecento o in raccolte poi rielaborate.
Alla luce di queste considerazioni è comprensibile che i collezionisti si contendano a suon di quattrini non solo le prime edizioni ma anche le successive ristampe, spesso apparse in tiratura limitata e con caratteristiche variate rispetto alla lezione precedente. Appare sintomatica al riguardo la pubblicazione degli Ossi di seppia, usciti originariamente per l’editore Gobetti di Torino nel 1925. Si tratta di una ricercatissima brochure di 100 pagine, di cm 20 x 13, con una copertina color beige sopra cui campeggia une cornice rettangolare marrone. Il marchio editoriale, riproducente un’iscrizione in greco, è stato disegnato da Felice Casorati di cui si conosce anche un Ritratto di Piero Gobetti composto nel febbraio 1961. L’edizione fu stampata in 1000 esemplari circa. Il libro costava 6 lire e l’autore provvide alle spese di stampa prenotando 240 copie. Nella nota finale si legge: «Le liriche comprese nel presente volume, scritte tra il 1916 e il 1924, non sono date in ordine cronologico». Esisterebbe una tiratura di lusso, pubblicata in un numero imprecisato di copie, mai apparsa nel mercato antiquario.
Molto si è favoleggiato da parte degli addetti ai lavori intorno ai rapporti instauratisi fra il poeta e Piero Gobetti ma una delle versioni più attendibili l’ha forse data Giulio Nascimbeni nel suo Montale. Biografia di un poeta dove è ricostruita la vicenda: «Fu quasi certamente Sergio Solmi a parlare per primo a Gobetti della possibilità di stampare gli Ossi. Ma il dattiloscritto fu portato a Torino, alla sede del “Baretti” in via XX Settembre, da Cesare Vico Lodovici. […] La passione intensa e bruciante di Gobetti per la politica non gli lasciava molto tempo per essere un lettore aggiornato di poesia. Aveva, anzi, limitando il discorso alla sola letteratura, un gusto ancora confuso. Per lui la letteratura acquistava un senso solo nel rapporto con la politica, per far da rinforzo a un disegno politico. Sarebbe quindi cedere a una inutile agiografia se si dicesse che fu “folgorato” dalla rivelazione della poesia di Montale. Da buon editore, accettò di pubblicare gli Ossi perché si fidava del giudizio di un lettore acuto come Solmi. Personalmente, però, intuì che quei versi così scabri, così poco indulgenti verso le mode e i crescenti “imperativi” del momento, erano in armonia con tutto ciò che voleva affermare attraverso il “Baretti”».
Montale scrisse, in occasione del cinquantenario della nascita di Gobetti, morto prematuramente nel 1926 durante il suo esilio parigino, un’emblematica testimonianza, apparsa sul Corriere della Sera: «Lasciò un seme di dubbio e di scontentezza nella cattiva coscienza dei suoi contemporanei, e persino dei suoi stessi amici… Possedeva quel che direi il genio dell’immanentismo, la persuasione che la vita si spiega solo con la vita e che l’uomo è il solo fabbro del suo destino». È noto che il titolo originario della raccolta doveva essere Rottami, un titolo che risentiva forse della vicinanza a un autore come Camillo Sbarbaro cui, non a caso, sono dedicate due celebri liriche della raccolta. In un secondo momento Montale si orientò verso la felicissima scelta di Ossi di seppiache ben rende l’atmosfera che si respira nei versi scabri ed essenziali del poeta genovese.
Nel 1928 Montale ripubblicò la raccolta, arricchita da un’introduzione di Alfredo Gargiulo, presso l’editore Ribet di Torino. Il volume, di pagine XX+138, misura cm 19 x 13 e riporta sul colophon la seguente dicitura: «Questa edizione si compone di 450 esemplari numerati da 1 a 450. Ne sono stati inoltre stampati 22 esemplari su carta a mano, contrassegnati con le lettere dell’alfabeto». La copertina è quella tipica di Ribet e stranamente somiglia, nell’impostazione, alla versione Gobetti. Una cornice simile inquadra nome dell’autore e titolo; il logo editoriale – un toro alato su fondo grigio – è posizionato pressoché allo stesso livello di quello disegnato da Casorati per Gobetti, anche se il colore rosso mattone della copertina risulta completamente diverso. L’edizione Ribet si differenzia, oltre che dal punto di vista grafico, anche nell’impostazione della silloge: sono state incluse sei liriche inedite mentre è stata soppressa la poesia Musica sognata, com’è specificato nella nota che figura in calce al volume.
Nel frattempo il pittore Scipione volle rendere omaggio a Montale, dopo aver letto e apprezzato gli Ossi proprio nell’edizione Ribet. Questa lettura gli ispirò il suggestivo dipinto Gli uomini che si voltano, il cui titolo è tratto da un celeberrimo verso degli Ossi. Scipione disegnò per Montale, pur non conoscendolo di persona, un rosso cavalluccio marino sotto un nero fregio stilizzato che secondo taluni è una seppia e secondo talaltri un pesce. Sembra però che il poeta non apprezzasse particolarmente l’illustrazione di Scipione. Nella ristampa, effettuata da Carabba di Lanciano nel 1931, il disegno è riprodotto in copertina, che risulta così essere l’unica figurata degli Ossi, se si eccettua quella di Francesco Menzio, eseguita per la ristampa successiva di Einaudi. Il volume di Carabba, in-16°, contenente 158 pagine, era venduto al prezzo di 8 lire. La scheda del catalogo della casa editrice Carabba lo definisce tra i cento libri più belli della letteratura contemporanea. Tutte le copie contenevano le iniziali autografe dell’autore a matita; quelle che ne erano sprovviste risultavano contraffatte.
Nel 1941 l’editore Carabba allestisce una ristampa di questa terza edizione («in realtà una ricopertinatura della terza edizione, con nuove pagine di referenza», come asseriscono Gambetti e Vezzosi), non autorizzata dall’autore. Le caratteristiche del volume sono pressoché le stesse, salvo il particolare della copertina che presenta una tonalità di colore differente rispetto a quella precedente: il disegno di Scipione adesso risalta su fondo color crema anziché grigio-azzurro. Il costo del libro è aumentato di 2 lire rispetto all’edizione del ’31. Infine non si può passare sotto silenzio la quinta edizione degli Ossi, pubblicata da Einaudi nel 1942 con la famosa incisione di Francesco Menzio che riproduce, appunto, degli ossi di seppia in copertina. Nella nota finale si legge: «Per uniformare anche esteriormente questa edizione degli Ossi di seppia a quella delle Occasioni che è un libro pieno di dediche taciute, ho tolto dagli Ossi tutte le dediche, e anche la prefazione di Gargiulo».


