Lidia Lombardi
Itinerari per un giorno di festa

I misteri degli Statili

Aperta al pubblico la parte restaurata di una rarità imperiale sotto Porta Maggiore a Roma: la basilica voluta da una famiglia di parvenu in auge tra il primo secolo avanti Cristo e il primo dopo Cristo. Una mirabile vicenda edilizia con risvolti enigmatici

Ha un cuore tanto silenzioso quanto raffinato la piazza di Porta Maggiore, che pure in superficie è un caotico snodo di traffico, che si incanala nel disordine urbanistico di via Prenestina e nel rumore di vetture, autobus, treni. Un intrico fuligginoso, che la mastodontica porta dell’antica Roma non riesce a riscattare. Insomma tra i frettolosi pedoni e automobilisti che percorrono la piazza, che passano sotto il truce viadotto pochi notano che dietro una trascurata recinzione effimera, da cantiere, si apre l’accesso a una rarità imperiale: è una basilica ipogea, misterioso manufatto voluto da una famiglia di parvenu in auge tra il primo secolo avanti Cristo e il primo dopo. Gli Statili il nome della gens, homini novi che ebbero accesso a un brillante cursus honorum a partire dal capostipite Tito Statilio Tauro, uomo di fiducia di Ottaviano Augusto che comandò tra l’altro la truppe di terra durante la battaglia di Azio, decisiva per la sconfitta di Marco Antonio.

Ebbene gli Statili avevano nella zona suburbana a ridosso della Prenestina una grande tenuta. E qui vollero edificare una basilica sotterranea finemente decorata con dipinti, mosaici pavimentali, bassorilievi in stucco resi ancora più candidi dall’impasto che inglobava la madreperla. Reperti da anni in restauro a cura della Soprintendenza Speciale di Roma che hanno però avuto un acme nel recentissimo completamento dell’intervento sulla parete di sinistra della basilica (una navata centrale absidata divisa con pilastri dalle due laterali, ed è la più antica codificazione della pianta basilicale). Sicché sono perfettamente leggibili i bassorilievi in stucco, arabescate immagini di personaggi mitici (da Ganimede alla coppia Orfeo-Euridice), di filiformi officianti, di anfore, candelabri, strumenti musicali. È l’esito di un’operazione di consolidamento dell’intonaco, di eliminazione dei microorganismi prolificati nelle infiltrazioni di acqua, di risanamento delle decorazioni, della loro integrale pulitura. Daniela Porro, la Soprintendente, è grata a un mecenate speciale, la Fondazione Evergète, che dalla Svizzera ha finanziato il restauro senza nulla chiedere in cambio, perché la mission dell’istituzione è appunto venire in soccorso del bello, in tutte le parti del mondo. E qui servono altri 800 mila euro per sistemare l’entrata da piazza Porta Maggiore, completare i lavori sul resto del monumento, dotarlo entro l’anno di illuminazione artificiale, che simuli i raggi del sole che entravano dal lucernario.

Già, il lucernario introduce alla mirabile vicenda della costruzione degli Statili. Essi la vollero interrata, effettuando prima lo scavo, poi riempiendolo con calce e pozzolana, infine svuotandolo dalla terra cementizia per creare gli ambienti: un corridoio che scendeva con volta a botte dalla via Prenestina, un vestibolo affrescato e pavimentato con tessere nere e bianche, un’aula basilicale culminante in un abside affrescata. Il tutto a nove metri di profondità dal piano stradale. Dunque conservato senza nessuna manomissione. Sennonché nel 1917, durante i lavori per la realizzazione della strada ferrata Roma-Cassino, la basilica venne alla luce. Ma fu protetta con una intercapedine in cemento armato e barre di acciaio soltanto nel 1951. A questi presidi si aggiunsero cuscinetti ammortizzatori tutto intorno all’opus del manufatto al fine di attutire le vibrazioni causate dai treni, che presero così a viaggiare sopra la basilica. La camera di protezione può essere visitata: ed è evidente appunto tutto l’esterno del monumento culminante nel lucernario, ora inglobato come l’intera basilica dalla intercapedine nella quale corrono anche tubi per il ricambio dell’aria depurata dalle polveri micidiali per questo reperto che conta più di duemila primavere e che è costantemente monitorato dai responsabili alla sicurezza, tra cui l’ingegnere Gianni Bellini che per incarico di Adriano La Regina si occupò di eliminare i percolamenti dalla sovrastante ferrovia. Solo dopo aver azzerato i motivi delle infiltrazioni, si cominciò a restaurare questo luogo segreto: il vestibolo, la volta centrale, le pareti nord e sud della navata centrale. Poi, nel 2019, grazie anche a Evergète, la parete della navata di sinistra.

Posare ora lo sguardo sugli ambienti e sulle decorazioni emoziona anche perché si percepisce l’enigma che essi nascondono. Infatti, che uso ne fecero gli Statili? Due le ipotesi degli studiosi, che non si escludono l’un l’altra, ma si completano a vicenda: potrebbe essere la camera funeraria di immediati discendenti del capostipite, gli omonimi Tito Statilio Tauro, l’uno triumvir monetalis l’8 dopo Cristo, l’altro consul ordinarius tre anni dopo. Ma poi fu probabilmente utilizzato per riti misterici od orfici regnante Claudio dai figli del “consul”, Tito Statilio Tauro Corvino che organizzò nel 46 una congiura contro l’imperatore, e soprattutto Tito Statilio Tauro che nel 53 si suicidò dopo essere stato denunciato per empietà e superstizione. Una scelta tragica effettuata durante il processo diffamatorio istigato da Agrippina, probabilmente interessata alla proprietà degli ormai troppo potenti Statili.

Rende suggestiva questa ultima interpretazione – sostenuta da Jerome Carcopino, professore di storia romana alla Sorbona – l’affresco dell’abside: raffigura il suicidio di Saffo, che si getta nel mar Egeo dalla rupe di Leucade. Un gesto che l’artista depurò di ogni connotazione drammatica. La morte simile a una rinascita, come per i seguaci dei riti misterici. Disperdersi nell’azzurro dell’Egeo (la fascia sottostante l’affresco era infatti blu, ma è stata asportata per appropriarsi del prezioso pigmento) era tornare in un appagante mondo. Del resto le stesse dimensioni degli ambienti, tutte riconducibili al numero tre, rimandano alla religione neopitagorica.

Anche l’elettronica della realtà aumentata contribuirà a esaltare la raffinatezza delle decorazioni: proiettata in una saletta attigua la visione ravvicinata di stucchi, pitture e mosaici rivelerà anche la firma di colui che realizzò l’apparato di immagini: è in un’iscrizione conservata al Museo Nazionale Romano ma proviene dall’adiacente Colombario degli Statili, 720 loculi per gli schiavi liberati tra i quali si distingue il nome del “tector”, lo stuccatore: Secundus Tarianus, uno dei liberti diventati artigiani al servizio della grande proprietà sulla via Prenestina. Le sue invenzioni nella Basilica sotterranea accrescono di stupore quanti vorranno visitarla prenotandosi al numero 06 39967702 per le aperture al pubblico nella seconda, terza e quarta domenica del mese.

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