Erminia Pellecchia
Da Sonia Bergamasco a Imma Villa

Il Mito in scena

Ercolano dedica un festival alle muove narrazioni dei miti classici: lì dentro c'è il nostro immaginario, dice il direttore Gennaro Carillo, per questo occorre ri-raccontarli continuamente

«Il mito, per definizione, non si spegne. Non si esaurisce. Magari è un fuoco che cova sotto la cenere. Lo dai per morto ma prima o poi si ravviva. Ritorna sotto forma di rimosso, per vie impensate, emergendo da chissà quale recesso della memoria. Oppure è oggetto di riuso, di riciclo consapevole. Non aveva torto Eschilo a concludere che tutto sommato campiamo di rendita con le “briciole del banchetto di Omero”». Su quelle briciole a cui hanno attinto da secoli poeti e narratori, su quei racconti orali, su quei fantasmi mai del tutto cancellati, Gennaro Carillo ha costruito – su idea di Franco Sirano, direttore del Mann di Napoli dopo aver guidato con successo il Parco archeologico di Ercolano – il festival «Gli ozi di Ercole», in programma l’11-12-13 settembre, per la prima volta, sulla spiaggia della città sepolta sotto un imponente muro di lava: l’ultima spiaggia per tanti ercolanesi che cercavano una via di fuga durante l’eruzione del 79 d.C.. «Corpo mitico» è il tema di questa quinta edizione; in questione le favole antiche tra racconti di metamorfosi e storie di naufragi, con Dioniso – il più ambiguo degli dei – a far da nume tutelare. Protagonisti dei dialoghi e dei reading, oltre a Sirano e Carillo, saranno Sonia Bergamasco, Imma Villa, Vittorio Lingiardi e Federica Fracassi (che proporranno la versione teatrale di Corpo, umano), Cristiana Franco, Laura Pepe.

«C’è una relazione molto stretta tra mito e letteratura – spiega Carillo (nella foto), docente universitario e direttore artistico di Salerno Letteratura –. Innanzitutto i miti compongono un corpus, nel senso di un insieme di materiali, di risorse narrative. Sono storie che chiedono di essere ri-raccontate, all’infinito. Oltre a un elemento fisso, in ogni mito c’è uno schema variabile. Se il primo garantisce la continuità e la riconoscibilità del tema, il secondo permette all’autore di imprimere il proprio marchio di fabbrica: la vita del mito oscilla tra fedeltà e tradimento, parassitismo e originalità, antico e nuovo».  Come il corpo, il mito si trasforma. «L’essere del mito – sottolinea Carillo – coincide con il suo divenire incessante. Può passare di moda, un mito, uscire di scena, ma si tratterà sempre di un’eclissi temporanea. Inavvertito, sottotraccia, il mito lavora, al pari della talpa di Hegel. È magma che risale, magari lento, ma risale. Quando si riverserà all’esterno, quando verrà di nuovo alla luce, non sarà mai uguale all’ultima volta in cui si è manifestato. Molto probabilmente avrà smesso di farci paura, potrà farci sorridere, avendo perduto il “deinon”, il tremendo che impressionava gli antichi. Ma è vivo e vitale. E lo è anche grazie alla trivializzazione che lo deforma. C’è anzi chi ha fatto della riscrittura ironica del mito un’arte: è il caso di Goethe, fra i moderni, per non parlare di Joyce o Gombrowicz. Come se l’ironia fosse l’unico modo di trattare il mito in un’epoca di disincanto apparente».

In realtà la stagione del disincanto comincia presto, in età classica, fa notare Carillo, prof di Storia del pensiero politico e di Storia della filosofia all’Unisob di Napoli: «Già Aristofane parassitava in chiave comica il mito, in particolare quello tragico, facendosi beffe soprattutto di Euripide, il novissimo, il più sofista dei suoi colleghi. Trasposta sulla scena dell’archaia (la commedia attica antica), la tragedia scade in tragicisimo, strappando risate incontenibili. Quell’irriverenza nei confronti del tragico è destinata a fare scuola. Si pensi a Petrolini, il cui Fortunello sarebbe impensabile senza i Cavalieri aristofaneschi, fondamentali anche per il Gadda di Eros e Priapo». Il corpo, infine, è fra gli oggetti privilegiati del mito. «Ogni corpo fa storia a sé ed è leggibile come un racconto, portando i segni del tempo – scrive Carillo, nel testo in brochure che accompagna la rassegna –. Ma ci sono corpi – li chiameremo corpi mitici – la cui metamorfosi esula dalla fisiologia, dall’ordine naturale delle cose, per entrare in un regno favoloso. Ne scrive Ovidio meglio di chiunque altro, dando vita a un repertorio al quale non smettiamo di ricorrere. Prima di lui, questi corpi non conformi li aveva descritti Omero. E rimangono i più memorabili: Polifemo, le Sirene, i compagni di Odisseo mutati in porci da Circe. Torniamo dunque al punto di partenza, all’immagine eschilea del banchetto di Omero».

Banchetto a cui ci accomodiamo nello scenario dell’arenile dell’antica Hercolanum, restituito al pubblico, lo scorso anno, in una immagine il più possibile vicina a quella originale, al termine di un percorso pluriennale di ricerca, scavo archeologico e interventi di ingegneria e architettura. Di qui, la scelta di confrontarsi anche con il tema del mare. Con i miti – antichi e moderni – che lo fanno desiderare e temere al massimo grado. Si parte giovedì con una riflessione sul mito estetico, tutto contemporaneo del «forever young», mettendo a confronto le storie specchianti di Titono, il bellissimo figlio di Laomedonte di cui si invaghì Eos al punto tale da chiedere a Zeus di renderlo immortale, dimenticandosi però di chiedere per lui l’eterna giovinezza, e della Sibilla Cumana di cui si innamorò Apollo, commettendo lo stesso errore. Un dono divino che per entrambi sarà oggetto di tormento: Titono vivrà un’esistenza senza fine ma da vecchio decrepito e lamentoso, fin quando la dea non lo trasformerà in cicale, e la Sibilla si consumerà fisicamente fino a diventare solo voce.

Narrazioni mitiche di metamorfosi corporee che saranno raccontate dalla scrittrice Cristiana Franco e dall’attrice Imma Villa. A seguire il concerto Linha de Passe con Maria Pia De Vito e Roberto Rossi. L’indomani, Storie di tempeste e naufragi con Sonia Bergamasco (nella foto) e Gennaro Carillo, da Omero a Lucrezio, da Conrad a Melville in un incontro «dedicato coloro per i quali il naufragio non è metafora ma esperienza reale, e a chi ogni giorno salva vite dall’annegamento». Tra le onde dell’epica, il mare appare come fauci spalancate pronte a inghiottire, abisso che suscita terrore e fascinazione, sublime che annienta ma al contempo rivela la fragilità e la grandezza umana. Tema anche dello straordinario reading spettacolo Corpo, umano, per la regia di Gianni Forte, con Vittorio Lingiardi e Federica Fracassi; premio Bagutta 2025 al saggista e psichiatra, autore di Arcipelago N. Variazioni sul narcisismo. Il sipario cala sabato con Dioniso al muro, in dialogo la storica e divulgatrice Laura Pepe e Francesco Sirano. Parlare del dio del teatro e della liberazione significa parlare di molto altro. «Di invasamento (enthousiasmos), estasi, trance, del rapporto problematico fra normalità e follia – dice Carillo – ma anche delle gradazioni interne alla follia stessa (non sempre cattiva: la mania è benedetta quando procede dal dio). Significa parlare di maschile e femminile, di un culto che viene da lontano e del modo in cui la cultura romana lo fa proprio. E, mentre ci si avvia al finale, nella cornice senza tempo degli scavi di Ercolano, la voce, la chitarra e il pianoforte di Roberto Colella si intrecceranno al violoncello di Arcangelo Michele Caso per un concerto intimo e vibrante. Le canzoni di Colella sono storie di vita vera, di amore e di resistenza. Racconti cantati con l’anima, abitati da esseri di un’umanità rara. Insieme, i due artisti daranno voce al silenzio antico delle pietre, trasformandolo in emozione viva.

Ingressi alle 20 e alle 21.30 fino ad esaurimento posti (online su ercolano.coopculture.it o alla biglietteria degli Scavi): intera serata 10 euro; ridotto 5; gratuito per minorenni, disabili + accompagnatori e abbonati al Parco (con prenotazione); abbonamento tre serate 15 euro.

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