Francesco Arturo Saponaro
Al 51mo Festival della Valle d’Itria

Owen Wingrave ai nostri giorni

Conferma tutta la sua attualità l'opera di Benjamin Britten, in prima assoluta per l’Italia a Martina Franca. La storia, tratta da un racconto di Henry James e musicata dal compositore inglese, celebre per il suo pacifismo, è un manifesto contro le guerre e la minaccia nucleare

In prima assoluta per l’Italia, il 51mo Festival della Valle d’Itria, a Martina Franca in Puglia, ha presentato Owen Wingrave, la penultima opera di Benjamin Britten (1913-1976), il maggior compositore inglese del Novecento. Il soggetto è quello, caro a Britten e presente in tutta la sua poetica, del pacifismo più convinto, nonché quello della condizione dell’individuo emarginato e discriminato dalle convinzioni sociali prevalenti. Condizione che Britten soffriva personalmente, per la sua omosessualità. L’opera – in due atti, su libretto di Myfanwy Piper, da un racconto di Henry James – è stata composta nel 1970, su commissione della BBC, la rete radiotelevisiva britannica, che l’ha prodotta, registrata e messa in onda nel maggio 1971. Poco tempo dopo, nel maggio 1973, avviene a Londra la prima rappresentazione teatrale, nella Royal Opera House, Covent Garden.

Non a caso la neodirettrice artistica del Festival della Valle d’Itria, Silvia Colasanti, e il suo presidente Michele Punzi hanno dato alla presente edizione il titolo Guerre e pace. E hanno inserito nel cartellone operistico della manifestazione, oltre al Britten inedito in Italia, anche il Tancredi di Rossini con i due finali, tragico e lieto, e L’enfant et les sortilèges di Ravel. Tutte produzioni nuove, come si deve in un festival importante. Nelle intenzioni dell’autore, Owen Wingrave vuole essere una protesta contro la guerra in Vietnam, che infuria in quegli anni 1960-70, e contro la minaccia nucleare. «Ho dedicato la mia vita ad atti creativi, e non posso prendere parte ad atti di distruzione», dichiara Britten nel 1942, davanti al tribunale che lo giudica per obiezione di coscienza, durante la seconda guerra mondiale. E in quest’opera egli ribadisce la propria convinzione.

La vicenda racconta del giovane Owen Wingrave che, dopo un primo percorso di addestramento militare, si rifiuta di proseguire nella carriera, e si ribella alle tradizioni guerresche che, per generazioni, hanno condizionato la sua famiglia, causando anche la morte di suo padre. Per farlo recedere, i parenti convocano Owen nella tenuta di Paramore, antica quanto simbolica dimora del casato. Qui specialmente il nonno Sir Philip, generale e invalido di guerra, e con lui la zia Miss Wingrave, insieme alla fidanzata del ragazzo, Kate Julian, insistono e premono affinché il giovane si ricreda, e continui nelle tradizioni dinastiche. Ma nessun argomento smuove il ragazzo, e di conseguenza il nonno lo disereda. La residenza di Paramore è in realtà segnata da un’antica maledizione. In un passato lontano, un giovane Wingrave, accusato di viltà, era stato fortuitamente ucciso dal padre. Poco dopo, nella stessa stanza, il padre stesso era stato rinvenuto senza vita, e senza visibili segni di ferite. Nei racconti correnti, il castello è quindi infestato dai fantasmi dei due. Raccogliendo la sfida della fidanzata Kate, che lo accusa di pusillanimità, Owen Wingrave accetta di trascorrere la notte nella stanza maledetta. E l’indomani è ritrovato anch’egli senza vita.

La tematica dell’opera, quindi, va ben oltre il pacifismo. Infatti, al centro del dramma c’è soprattutto la rivendicazione della libertà individuale di affermare e difendere se stesso, e la propria natura. Lo scontro risulta quindi tra integralismo fondamentalista, da un lato, e liberalismo umanistico, dall’altro. Sotto questa luce, Owen Wingrave conferma tutta la sua attualità. Il peso del conflitto si respira nell’atmosfera asfissiante e da incubo, indotta da personaggi a loro volta oppressi da gravose zavorre interiori. E ciò soprattutto nelle figure femminili che conducono le requisitorie familiari, esaltando peraltro un mondo di valori che è maschile.

Incisivo, accurato in ogni aspetto l’allestimento prodotto dal Valle d’Itria. Sul podio dell’Orchestra dell’Accademia Teatro alla Scala, il direttore Daniel Cohen ha sciolto con efficace limpidezza la partitura, complessa nelle sue articolazioni, come sovente nelle opere di Britten. In questo caso, nascendo Owen Wingrave per il mezzo televisivo, l’impianto dell’opera obbedisce a un ritmo narrativo necessariamente rapido. Vale a dire che la struttura non presenta pagine di ampio respiro, ma al contrario è concepita su un’azione in continuo movimento; prevale dunque la dimensione vocale di un declamato melodico, senza grandi pagine o arie. Perciò l’impianto drammaturgico propone episodi concisi e ben marcati, coordinati da interludi orchestrali. Daniel Cohen governa orchestra e palcoscenico con piena consapevolezza interpretativa, che gli permette di calibrare al meglio l’alternanza tra momenti lirici e stringatezza, che attraversa tutta la partitura. La sua lettura puntuale e circostanziata fa emergere a dovere l’energia comunicativa e le finezze timbriche, dipanando con mano ferma un suono eloquente e sempre ben regolato.

Impeccabile la compagnia di canto, tutta esordiente in questo titolo. Nel ruolo protagonista, il baritono svizzero Äeneas Humm disegna con acutezza il percorso psicologico del suo personaggio, in una sequenza ben dosata di tinte espressive e inflessioni diverse. E scandisce molto bene la sua anima giovanile, ricca di chiaroscuri e slanci, grazie anche all’aspetto efebico e a una vocalità sensibile e iridescente. Molto bravo è Kristian Lindroos nella parte di Spencer Coyle, l’ufficiale che ha istruito il ragazzo e che, pur aderendo alle idee della famiglia, ha verso di lui un atteggiamento più tollerante. Il tenore Ruairi Bowen disegna impeccabilmente il sottufficiale Lechmere, anche nelle sue ambiguità, mentre il soprano Charlotte-Anne Shipley esprime al meglio la gelida irriducibilità di Miss Wingrave, così come Sharon Carthy, il mezzosoprano che dà voce a Kate Julian, la fidanzata di Owen, con bell’equilibrio di gusto e intensità interpretativi.

A completare il cast, va ricordato che Lucia Peregrino, Mrs Coyle, Chiara Boccabella, Mrs Julian, Simone Fenotti, Sir Philip Wingrave, e il narratore Chenghai Bao offrono prove vocalmente ineccepibili e ben calzanti sul piano drammaturgico. E si fa apertamente apprezzare anche il Coro di voci bianche della Fondazione Paolo Grassi, istruito dal maestro Angela Lacarbonara. Molto efficace l’impianto scenico di Giuseppe Stellato, basato su una parete di fondo con galleria di antenati, in sagome anonime e uguali, in un ambiente mobile di gabbie e scale metalliche. Cornice nella quale figurano bene i costumi di Ilaria Ariemme, e diviene significativo il disegno luci di Pasquale Mari. Efficace, nella sua essenzialità, la regia di Andrea De Rosa che, creando un movimento di meditata economia, traduce adeguatamente sulla scena il messaggio trasmesso dalla musica, e il suo valore etico. Lunghi e calorosi gli applausi finali, sia verso gli interpreti sia verso un’opera di limpido valore sociale.

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