Sandra Bernardini
“Del tutto diversi” di Alberto Fraccacreta

Non c’è nulla di autobiografico

«Una raccolta di poesie preziosa e contenuta come un piccolo carillon». In cui «la diversità aspira alla totalità». Sottofondi musicali, montaliane figure femminili, il loro esserci tra assenza, presenza, miraggio. Profezie di amori possibili nel dedalo delle strade di Urbino

Una raccolta di poesie preziosa e contenuta come un piccolo carillon. Gli elementi ci sono tutti e le istruzioni di lettura di questa scatola musicale in versi sono racchiuse nel titolo. Del tutto diversi di Alberto Fraccacreta (Interno Poesia) ci dice che la diversità aspira a realizzarsi in una difficile e purtroppo non sempre raggiungibile totalità. Quell’aggettivo indefinito – del tuttoassume un significato raro, di compiutezza di tutte le parti pur nella loro varietà che sia di genere (lei/lui; tu/io/noi) di tempo e di spazio (la realtà/il sogno; la vita/il teatro). Analizziamo dunque gli elementi di questo carillon poetico. La musica innanzitutto. Gli inviti musicali sono sollecitati richiamando alla memoria antichi componimenti come lo strambotto e il madrigale oppure canzoni famose come La Flaca di Jarabe de Palo e Ac-Cent-Tchu-Ae the Positive, un brano musicale utilizzato nel 1944 per la romantica commedia Here Come the Waves e che vanta interpretazioni famose (Bing Crosby, Ella Fitzgerald e Aretha Franklin). L’argomento amoroso delle poesie giustifica la scelta di questi sottofondi musicali per dar voce all’io lirico in tutte le normali fasi dell’approccio amoroso: gli sguardi furtivi, le attese, il desiderio di incontrarsi, sono come, altra evocazione musicale, un giro di valzer per la coppia innamorata. Ma «l’un-due-tre avanti e indietro» del corteggiamento non sempre approda a esiti felici e «il valzer perde di grazia, /diventa presto un nervoso zigzagare» (Prato dei collegi).

Il linguaggio d’amore adottato da Fraccacreta è un linguaggio universale – «Cercai una donna prosaica, /ma volli una donna poetica» (Donna prosaica) – e la sua donna poetica spazia dalle origini dell’amore cortese omaggiando Cino da Pistoia, Dante, Guinizzelli, Petrarca passando per Calderon de la Barca e Leopardi fino ad arrivare ai contemporanei Beckett, Gadda, Robert Walser e Adam Zagajewski anche se credo che il suo debito più grande sia nei confronti di Montale, tanto più grande quanto meno ostentato. Montaliane sono le figure femminili, apparentemente reali e autobiografiche che sfumano invece ogni volta che si delinea il contorno delle loro personalità. Montaliano è anche l’uso delle categorie. Se numerosi sono i riferimenti alla bellezza muliebre, solo tre sono le colonne portanti dell’espressione poetica: Delia, Flaca e Cordelia. Difficile, difficilissimo cercare di afferrare la personalità di queste ballerine del carillon; esse sfuggono continuamente e si trasfigurano in altre realtà a volte celesti richiedendo un atto di fede, altre terrene vivendo in simbiosi con la natura, e il lettore assieme al poeta, sperimenta smarrimento ed estraneità di fronte al dissolversi di queste donne/epifanie: «Delia è una dama composta, leggerissima»; «Flaca è un essere eccezionalmente leggero, collocato a metà tra il cielo e la terra»; «Cordelia pone alcuni problemi filosofici di non poco conto, tra cui il non fidarsi troppo di te» (Ricapitolando).

Il loro destino è l’esserci tra assenza/presenza/miraggio e preghiera/grazia/dubbio; il loro potere è l’adynaton, ossia l’esserci in nessun luogo. «Trovo bellissimo passeggiare di sera /con te, quando non ci sei» (I nostri sabati). Oltre al trio Delia, Flaca e Cordelia, diversi, del tutto diversi sono i richiami ad altre figure femminili. Abbiamo Laura (Pioggia nome); Margherita Luti (La teppistella angelicata); Rosaura (da Calderon de la Barca, La vida es sueno, I); Monna Lisa o Julia Roberts? (Il tuo invincibile sorriso); una non ancora nata Giulia (Acrostico figlia); Nausicaa (Scheria); Donna Prodezza (da Paul Claudel, Le Soulier de satin, III); Remedios Varo (Wunderkammer di Oedipa: strambotto). E abbiamo poi l’omaggio corale al genere femminile in Diario dell’ellera,dove la pianta di diospero unisce come un filo rosso, direi meglio arancione, il cammino di tantissime donne dall’antenata Selvaggia dei Vergiolesi fino alla odierna Mahsa Amini quale emblema di chi tenacemente e pacificamente resiste contro ogni atto di violenza e privazione della propria libertà.

Ultimo elemento del carillon: il cofanetto. Nessuna cornice avrebbe potuto essere più preziosa e magica per questa avventura poetica come lo è la città di Urbino («il tuo splendido viso /fiorito solo a Urbino», Rose di Castiglia). Creando atmosfere dechirichiane, Urbino fa l’occhiolino al poeta e lo invita a entrare in un complesso dedalo toponomastico di strade, vie e piazze che dilatano lo spazio, il tempo e i sentimenti. «La bisettrice che da via Saffi /ruota per corso Garibaldi /e si congiunge al fulcro della piazza» (Debolmente discernibili); «la squamosa piazza di Urbino, calice di tarassaco: con toni lividi, lungo la salita di via Puccinotti: radice a fittone e forma ligulata» (Ac-Cent-Tchu-Ate the Positive); «quando solo risalirò /via Puccinotti al crepuscolo, /per le fauci di via Saffi /andrò sfondando la gola /di piazza del Rinascimento» (Le nostre ricerche).

A fine testo l’annotazione/confessione del poeta: in questa opera «non c’è nulla di autobiografico» (Da parte dell’autore) che possiamo chiarire con «ogni riferimento a cose o persone è puramente casuale», la manleva trasferita dal cinema alla poesia per avvertire che la storia è vera, reale come può esserlo ogni storia d’amore ma molteplice nel suo divenire perché ognuno di noi può raccontarsela come meglio crede o può. Questa è la sola profezia d’amore possibile.

Curiosità: la frase che compare all’inizio di molti film per negare che la storia raccontata sia una ricostruzione fedele di una storia vera – quella che inizia con «Ogni riferimento a persone esistenti…», e che tutti sappiamo quasi a memoria, esiste per via di un film americano del 1934, Rasputin e l’imperatrice, che non la conteneva. Il film raccontava la storia del monaco russo Rasputin e del suo omicidio nel 1916. Nel film l’assassinio di Rasputin è compiuto da un personaggio chiamato “principe Paul Chegodieff”: il nome è inventato, ma la storia è in parte fedele agli eventi che si svolsero nella realtà. Irina Jusupov, moglie di Felix Jusupov, l’uomo che uccise Rasputin, fece causa per diffamazione alla casa di produzione Metro-Goldwin-Mayer, che aveva realizzato il film: vinse e ottenne un grosso risarcimento. Da allora la frase «Ogni riferimento a persone esistenti o a fatti realmente accaduti è puramente casuale», o una sua versione, si trova all’inizio o alla fine di ogni film che potrebbe essere l’oggetto di una causa per somiglianza con una storia vera, per evitare problemi legali.

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