Giovanna Di Marco
“Il diavolo. Storia iconografica del male”

Faccia da diavolo

La studiosa Laura Pasquini analizza l'iconografia diabolica. Così, attraverso i secoli, l'immagine del male ha cambiato segno e connotati, fino agli orrori del potere del Novecento

Da un mosaico dal IV secolo d.C. alla faccina maligna e cornuta delle emoji della messaggistica Whatsapp. Se non fosse troppo semplicistico e banalizzante, potrebbe essere un ulteriore sottotitolo, questo, dell’ampio e corposo saggio Il diavolo. Storia iconografica del male (Carocci, pp.362 euro 39,00), che la studiosa Laura Pasquini ha recentemente congedato. Un sottotitolo per non addetti ai lavori, certamente, poiché il volume richiede una conoscenza specifica di stratificati eventi delle arti plastiche nell’arco della storia. Il suddetto mosaico, che si trova sulla pavimentazione della chiesa di Santa Maria Assunta ad Aquileia, è il primo esempio iconografico che propone l’immagine del Male in questo testo, e lo fa in brevi e decise linee scure, che rappresentano un volto di profilo che tira fuori dalla bocca una lingua irriverente, il tutto su uno sfondo aniconico. Pasquini ripercorre dunque l’immagine del Male nell’arco della storia occidentale. Un volume interessante per gli addetti ai lavori, dicevo, quindi per gli storici dell’arte, per intenderci, ma anche per gli storici. In che modo, mi sono chiesta, un testo di questo tipo può parlare anche a chi non è un esperto di iconografia? Cosa può lasciargli? La studiosa propone il tema, focalizzato nel suo fluire storico. Così scrive: “L’unica via praticabile per raccontarne le forme rimane quella diacronica, dalle origini a oggi, superando necessariamente i limiti del Medioevo […] che viene in più casi ripreso, rielaborandolo e interpretandolo attraverso nuovi rimandi e associazioni”.

Non si parte però dalle origini delle forme in ambito cristiano, ché le origini stanno più lontano, nella radice culturale greco-romana, dove gli attributi demoniaci erano già di quelle divinità umane troppo umane, sia che fossero olimpiche che ctonie. Da lì il Cristianesimo attinse per recuperare figure da vituperare. Quelle ctonie, appunto, e quelle bacchiche, come satiri, sileni e l’immancabile Pan. In ritardo, tuttavia, rispetto alle discettazioni dei filosofi cristiani, dei Padri della Chiesa arrivano le immagini. Iniziano a presentarsi più numerose e incalzanti in epoca carolingia, per esecrare i Longobardi. Prima avvisaglia, dunque, di demonizzazione del nemico. Poi, è con il Romanico e il Gotico che le cattedrali si popolano di figure demoniache. Satana si trasforma nei secoli. Diventa di colore livido, può avere le classiche corna o le ali di pipistrello; giganteggia in Giudizi universali, prima della nascita di Dante, influenzando il Sommo Poeta, poi per essere influenzato da lui. Si tratta di un mostro, a volte a tre teste, contornato da bestie, che mangia peccatori, che li elimina come feci, ogni tanto. Poi, con l’Umanesimo e il Rinascimento prende forme umane, come avviene negli esempi di Luca Signorelli o del Michelangelo della Sistina. Al Maligno si addice la seduzione, che può essere della carne, ma anche dell’intelletto. Pasquini fa in tempo a inserire, a ragione, due capitoli sulla cultura coeva nordica, dove, in un’ottica pessimista, che si avvicina già inconsapevolmente all’adesione all’imminente Riforma, c’è una sostituzione del Maligno gigantesco e quasi eroico con delle piccole figure di demoni che confondono, che si moltiplicano, che si insinuano nella vita quotidiana, come a mostrarci quanto il Male non sia esterno alla realtà, ma sgusciante tra piccoli oggetti, serpeggiante e deforme, perché: “Il demoniaco e il grottesco fanno parte della realtà cui nessuno può sfuggire, sono anzi la realtà medesima, sono l’incubo che si invera”. Il mondo del sole mediterraneo opposto alle tenebre nordiche di una Natura avversa e ostile preconizza due principî dello spirito, il classico e il romantico.

E la Riforma è dietro l’angolo e, di seguito, la Controriforma con tutto quello che ha comportato come censura, sospetto, delazione. Il Settecento tace, in nome della Dea Ragione, che, come intuì Goya alla fine di quel secolo, generò dei mostri. Quanta mostruosità innestò l’omissione delle figure del Male applicata alla storia? Pensiamo al periodo del Terrore della Rivoluzione francese!

Il Male dunque ritorna, quasi eroicamente in epoca romantica e decadente. Affascina, seduce, conduce in un Altrove di pulsioni inconsce e visioni oniriche. E l’autrice correda l’analisi dei manufatti delle arti plastiche con una testualità precisa, che si focalizza su autori come il Goethe di Faust o Baudelaire.

Fino ad arrivare al secolo breve, ai disastri delle due guerre mondiali e dei totalitarismi, dove non c’è più soltanto l’aspetto religioso a circoscrivere il Male, ma dove l’iconografia religiosa serve a identificarlo, quando “l’inferno sono gli altri”, come scrisse Sartre; dove il male è empio e travalica i limiti del fas divenendo nefas. Quando vengono violati i principî dell’umanità e l’altro da sé è da prevaricare iniquamente. Quando il male è essenzialmente il potere in ogni sua forma! Arriviamo dunque all’emoji citata all’inizio: dopo tanto scorrere attraverso capolavori dell’arte, giungiamo al nostro linguaggio visivo risicato, ideografico, perché le parole si sono perse e si fa ricorso alla messaggistica istantanea. Quando l’educazione alla complessità anche nella cultura visiva è stata obliata, il demoniaco si insinua nei nostri cellulari attraverso i social, ma, ahinoi, anche nella sfera della violenza di giochi virtuali e di serie televisive. Il tutto è ormai fruito sin dalla giovane età, creando suggestioni e non solo nei più giovani, che a volte conducono a efferati delitti. Ecco, il saggio di Pasquini va certamente letto per veder mutare le forme del Male nell’arco della storia, per verificare quale fosse (e qual è?), a mano a mano, il Nemico della cultura, contro il quale combattere. Ma anche per avere una visione della controcultura visiva. E, soprattutto – ed è questo il fulcro di tutta l’opera – l’immagine del Maligno si fa viva per assumere continuamente un’altra effigie. Pasquini infatti afferma che il Maligno è “capace sempre di adeguarsi ai cambiamenti della storia, per insinuarsi agevolmente nei suoi anfratti; capace di leggere acutamente le mutazioni del pensiero e delle dinamiche sociali, per agire con armi adeguate sui potenti come sugli oppressi, e sempre al passo coi tempi, sensibile al mutare del gusto, all’evolvere dell’arte, strumento fondamentale della sua visibilità”.

Ma, come per esorcizzare istintivamente il mostruoso e il bestiale, due figure ricorrenti proposte attraverso le opere di diversi autori, due figure di santi, luminose, che vinsero il Maligno mi hanno accompagnata nella galleria di immagini che guida il limpido saggio di Pasquini: Sant’Antonio Abate e San Michele Arcangelo. Perché è istintivo – prima che razionale e influenzato da una visione critica – a fronte di una lettura su secoli di immagini fosche e terribili, cercare il nitore, la salvezza e, con essi, la sconfitta del Male.


Accanto al titolo, un particolare del celebre affresco di Luca Signorelli per la Cappella di San Brizio nel Duomo di Orvieto.

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