Ida Meneghello
Diario di una spettatrice

La leggerezza dell’amore

Il nuovo film di Emmanuel Mouret, "Tre amiche", lo conferma come il Woody Allen francese. Un autore che racconta delle storie lievi che assomigliano a favole terribilmente reali

Lione, Francia. I luoghi in cui si svolgerà la storia – a cominciare da quello in cui tutto ha inizio che è un liceo della città – arrivano sullo schermo immersi in una morbida luce naturale e vengono presentati da una voce fuori campo che dopo i luoghi introduce con tono ironico i personaggi: tre amiche quarantenni che insegnano in quel liceo, Joan, Alice e Rebecca, uno scrittore che arriva nella stessa scuola, Thomas, e infine l’uomo che sta parlando, Victor, che ovviamente avrà un ruolo cruciale nella storia.

Bastano i caratteri dei titoli di testa e siamo già dentro un film di Woody Allen. Le tre protagoniste introdotte dalla voce fuori campo di Victor, offriranno allo spettatore tre diversi punti di vista sull’amore:
1- Joan scopre di non essere più innamorata di suo marito Victor, ma non ha il coraggio di confessarlo a lui e a se stessa e per questo si sente in colpa;
2- Alice invece non è mai stata innamorata di suo marito Éric e non gliel’ha mai detto, ma il loro rapporto funziona benissimo e lei non si fa certo problemi;
3- infine Rebecca, l’unica single delle tre, è l’amante felice di Éric, ovviamente all’insaputa di Alice.

È questo il punto di partenza della storia raccontata nel nuovo film del regista e sceneggiatore marsigliese Emmanuel Mouret Tre amiche (“Trois amies”, sottotitolo “Une chose et son contraire” ovvero “Una cosa e il suo contrario”, raccomando di vederlo in versione originale), passato in concorso a Venezia 2024 e che accredita definitivamente Mouret come l’erede di Éric Rohmer, ma anche come il clone francese di Woody Allen. E per lo spettatore che avesse visto il suo film precedente, Una relazione passeggera, troverà in questo una specie di seguito ancora più sensibile e profondo e leggero e godibile, come solo ormai certo cinema francese è capace di fare (a differenza del cinema italiano), quel cinema che i cinéphiles colti chiamano “marivaudage” evocando il teatro settecentesco di Pierre de Marivaux e le sue schermaglie amorose di inarrivabile eleganza.

Le carte si sparigliano quando Joan trova il coraggio di dire a Victor che non è più innamorata di lui. Il marito, che vive la relazione in una dimensione totalizzante e possessiva, è distrutto dalla rivelazione, si ubriaca e muore in un incidente d’auto. Ma la sua voce continuerà a essere presente nel racconto, assumendo la consistenza evanescente del fantasma che compare e scompare dalle scene.
Inizialmente distrutta dal dolore e dai sensi di colpa, Joan si riprende innamorandosi di Thomas che nel frattempo si è trasferito accanto a lei, mentre Alice si lascia contagiare dalle confidenze intime di Rebecca sulla sua liaison (con suo marito Éric, ma ovviamente lei non lo sa) per tradire a sua volta il consorte con un fascinoso pittore.

Mouret osserva con sguardo complice e mai giudicante l’evolversi delle situazioni e delle relazioni – gli amori che nascono e finiscono, le convergenze e le divergenze tra i personaggi, le amicizie più forti dei tradimenti non detti – nel fluire delle emozioni che sono il colore delle nostre vite. La gioia, la meraviglia, gli innamoramenti, il dolore, i sensi di colpa, nel cinema di Mouret, come in quello di Rohmer e Allen, diventano una carezza leggera, uno sguardo che riconosciamo, una frase che subito ci risuona perché ci è capitato di dirla. E questo fluire incessante si dipana davanti ai nostri occhi andando oltre il concatenarsi degli eventi raccontati dalla sceneggiatura, è una poesia che ci prende e ci lascia e da cui volentieri ci lasciamo incantare.

La bravura degli interpreti, soprattutto delle tre protagoniste, è evidente fin dalle prime scene. Alice è Camille Cottin, una delle attrici francesi che amo di più. Joan è India Hair, che ritroveremo presto (spero) nel film Jeunes Mères dei fratelli Jean-Pierre e Luc Dardenne premiato quest’anno a Cannes per la migliore sceneggiatura. Completa il terzetto delle amiche, interpretando la disinibita Rebecca, l’attrice di lungo corso Sara Forestier. Tra gli attori, Thomas è Damien Bonnard, già visto ne L’ufficiale e la spia di Roman Polanski e Povere creature di Yorgos Lanthimos. E Victor, la voce fuori campo, è un attore che incrociamo spesso in queste pellicole e che ha un rapporto speciale con Mouret, Vincent Macaigne, già presente nel film Les choses qu’on dit, les choses qu’on fait e Una relazione passeggera, ma anche in Maria di Pablo Larraín e The French Dispatch di Wes Anderson, oltre all’indimenticabile ruolo del regista schizzato nella serie tv Irma Vep.

Consiglio il film a chi ha bisogno di prendersi una pausa dal tempo buio che stiamo vivendo. Fidandoci della leggerezza e sensibilità di Mouret, potremo mescolarci tra gli studenti di un liceo di Lione, per ascoltare nei corridoi e in sala professori le confidenze sussurrate fra tre amiche che ci raccontano l’amore e i suoi molti contrari.

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