Ida Meneghello
Diario di una spettatrice

Il sorriso di Fernanda

Fernanda Torres è la straordinaria protagonista di “Io sono ancora qui” di Walter Salles: una storia drammatica (ma recitata con leggerezza), ambientata ai tempi della dittatura in Brasile

La donna sorride all’obiettivo del fotografo, accanto a lei ridono cinque adolescenti, i suoi figli. «Per favore non ridete, l’editore vuole una foto… seria», chiede il fotografo. «Ma perché mai ci vuole seri? Ragazzi, ridiamo, ridiamo!». replica la donna. In questa scena c’è l’essenza del film brasiliano Io sono ancora qui (“Ainda estou aqui”) del regista, sceneggiatore e produttore Walter Salles (diventò famoso vent’anni fa con I diari della motocicletta sul giovane Ernesto Che Guevara), presentato alla mostra del cinema di Venezia e candidato a tre premi Oscar, compreso quello per il migliore film straniero.

La storia vera che precede quella fotografia l’ha raccontata in un libro Marcelo Rubens Paiva, figlio del deputato del partito laburista brasiliano Rubens Paiva, prelevato dalla sua abitazione a Rio de Janeiro e scomparso, come migliaia di persone, nelle prigioni della dittatura militare nel 1971. La donna che sorride al fotografo nonostante questa tragedia è sua moglie Eunice Facciolla, che spese tutta la vita per cercare la verità. A darle corpo e anima sul grande schermo è una straordinaria Fernanda Torres, prima attrice brasiliana a vincere un Golden Globe e ora in corsa per l’Oscar.

Non è difficile mettere in scena la tragedia che travolge una famiglia come tante, benestante e mediamente felice nella sua quotidianità fatta di cene con gli amici, giochi dei figli sulla spiaggia, un cane abbandonato e subito adottato, insomma quella normalità per cui «tutte le famiglie felici si somigliano» come scrisse Tolstoj. Improvvisamente la normalità finisce perché scompare il perno dell’equilibrio familiare, il padre, e tutto diventa incubo, angoscia, terrore, come avviene sempre con le dittature che colpiscono alla cieca e sconvolgono le vite degli altri diventando il destino di una generazione.

Difficile è invece raccontare questo dramma della casualità senza cedere alla tentazione del melodramma, restando dietro l’obiettivo ad occhi asciutti e dosando attentamente tutti gli ingredienti, a cominciare dalla fotografia e dal commento musicale, per immergere lo spettatore in un racconto che suggerisce più che mostrare il dolore.
Salles costruisce un film in cui immedesimarsi è immediato, ma che permette di mantenere uno sguardo esterno alla tragedia e di seguirne gli sviluppi passo per passo fino all’ammissione finale di responsabilità, anche se, come troppo spesso avviene, non ci saranno le condanne conseguenti.

Fernanda Torres è il cuore di ogni scena dall’inizio alla fine della pellicola: madre accogliente e complice, moglie innamoratissima del suo uomo, sempre al centro dell’allegra confusione di una famiglia affollata che vive tra lo sfondo cinematografico della spiaggia di Copacabana e l’oscura minaccia dei camion militari carichi di soldati con le armi spianate. La sua leggerezza felice che progressivamente diventa il dolore della perdita inaccettabile, ne trasforma non solo la recitazione, ma scarnifica il suo corpo e il suo viso per dare vita alla donna che combatterà con fierezza per conoscere la sorte del marito. «Come può qualcuno entrare in casa tua, portarsi via tuo marito, un padre di famiglia, un ingegnere, sbatterlo in galera e poi dirti: è sparito?». Eppure questa donna non si arrenderà mai alla rabbia, resterà ferma nella dolorosa consapevolezza dell’ingiustizia subita senza perdere un grammo della sua umanità. È per questa capacità di vivere un personaggio così drammatico senza rinunciare all’equilibrio tra la propria solitudine e l’amore per la propria famiglia, che mi auguro che la sua bravura venga consacrata dall’Oscar.

La proiezione di Io sono ancora qui viene preceduta da una breve presentazione da parte del regista e della protagonista. Ed è interessante notare come Fernanda Torres suggerisca allo spettatore una chiave di lettura che più che al passato guarda al presente. Come a dire che le donne, qualunque tragedia affrontino, sono alla fine più forti del destino brutale che gli uomini credono di poter imporre a loro e ai loro figli.

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