Pier Mario Fasanotti
A proposito di "Un Occidente prigioniero”

Kundera e l’Ucraina

Esce un vecchio discorso di Milan Kundera dedicato al rapporto tra "piccoli stati" europei e grandi potenze nel corso del Novecento. E la mente va subito a Kiev e agli argomenti usati dalla Russia per aggredire e invadere l'Ucraina

 «L’Europa non è un fenomeno geografico, ma una nazione spirituale, sinonimo di Occidente». Questa è una delle frasi del ceco Milan Kundera (nato a Brno nel 1926) contenuta nel libro Un Occidente prigioniero, appena stampato da Adelphi (85 pagine, 12 Euro). Lo scrittore è noto, in Italia e nel mondo, soprattutto per il romanzo L’insostenibile leggerezza dell’essere. In questo testo, un discorso tenuto durante un congresso degli scrittori, ribadisce più volte il primato dell’identità nazionale e della cultura come elementi di crescita essenziale di una nazione. Discorso lungo a appassionato (con riferimenti storici talvolta ripetitivi), che, se letto in filigrana non può che far pensare all’Ucraina di oggi, fatto salvo ovviamente un contesto politico-militare diverso.

Il distinguo si riduce quando Kundera parla, e insiste, su quelle che lui chiama “piccole nazioni”. Le quali corrono il drammatico rischio di estinzione se non scommettono sulla cultura e sul concetto di identità nazionale. Non è forse l’Ucraina una piccola nazione che corre gli stessi rischi di una Cecoslovacchia del tempo? Lo scrittore ci ricorda che per tanti anni nel suo paese non esisteva una enciclopedia. Questa parola lui l’associa a coscienza del proprio passato. Ovverossia a identità spirituale e culturale.

Riferendosi alla prima guerra mondiale, Kundera afferma che la necessità di definire un’idea di Europa fu un elemento decisivo nella crisi dell’epoca (e l’Ucraina di oggi non ha l’anelito a considerarsi europea?). E ancora: «Dopo il 1918, l’Europa centrale si trasformò in una zona di piccoli stati vulnerabili (inevitabile, ancora una volta pensare a Kiev, ndr), che con la loro fragilità propiziarono le prima conquiste di Hitler e il trionfo finale di Stalin… la colpa risiede in quella che definirei l’“ideologia slava” che è solo una mistificazione politica inventata nel XIX secolo… se i cechi temevano l’aggressività tedesca, i russi se ne servirono volentieri per giustificare le loro mire imperiali (la storia si ripete, ndr)». Suona profetico quanto dice lo scrittore ceco: «Ai russi piace definire slavo tutto ciò che è russo, in modo da poter definire russo tutto ciò che è slavo».

Kundera ricorda che decenni fa il narratore Joseph Conrad (il nome vero è Jòsef Kondar Korzevniowski) si diceva irritato dall’etichetta di “anima slava”, «che troppi si compiacevano di applicare a lui e ai suoi libri solo perché era di origini polacche». Scriveva Conrad: «Non vi è nulla di più estraneo al temperamento polacco, animato da un cavalleresco sentimento degli obblighi morali e da un estremo rispetto degli obblighi morali e da un estremo rispetto dei diritti individuali». A proposito del supposto mondo slavo, occorre precisare che la lingua degli ungheresi e dei romeni «non è affatto slava». E si chiede: «Che cos’è l’Europa centrale? L’incerta zona di piccole nazioni strette tra Germania e Russia».

Ecco, con il frequente riferimento alla Russia Kundera giustifica, in un certo senso, la lettura in filigrana il dramma ucraino.

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