Francesco Arturo Saponaro
Il Festival della Valle d’Itria

Verdi (tragi)comico

Non delude le aspettative la manifestazione di Martina Franca, quest’anno alla 43esima edizione. Ricerca e innovazione si materializzano nell’opera semiseria di Jakob Meyerbeer “Margherita d’Anjou”, in un quasi inedito “Un giorno di regno” e in un incisivo “Orlando Furioso” di Vivaldi

Molti i motivi di richiamo. A Martina Franca, nei suoi cartelloni il Festival della Valle d’Itria mantiene sempre alta la bandiera della ricerca, della riscoperta, dell’impegno sperimentale. Non per niente, nei suoi primi anni, la manifestazione ebbe come mèntore e strenuo sostenitore un grande organizzatore culturale come Paolo Grassi, milanese di origini martinesi. Anche questa 43esima edizione, appena conclusa, ha offerto un programma ampio e articolato su iniziative diverse, sempre molto seguite. E, accanto ai numerosi spettacoli, importante è stato un convegno di studi sulla figura di Rodolfo Celletti (1917-2004), per celebrarne il centenario della nascita. Musicista autodidatta, straordinario esperto di opera lirica, di voci, di canto, soprattutto di belcanto, autore di vari scritti in materia, Celletti è stato lo storico direttore artistico del Festival, dal 1980 al 1993. Storico perché ha orientato il Festival a un sistematico lavoro di recupero delle antiche tecniche di canto e del relativo repertorio operistico, con un taglio scientifico di studi che oggi è raccolto e coltivato dall’Accademia del Belcanto che proprio a Celletti è intitolata. Una competenza profonda e appassionata, singolare in un uomo che era stato alto dirigente della Motta, e addirittura inventore del mitico “Buondì”.

Tre titoli d’opera hanno caratterizzato il programma. In prima ripresa moderna, il Festival ha presentato Margherita d’Anjou, opera semiseria di Jakob Meyerbeer (1792-1864), nella recente edizione critica di Paolo Rossini per Casa Ricordi. Il libretto di Felice Romani colloca la vicenda nella cornice storica della Guerra delle Due Rose (1455-1485), che in Inghilterra contrappose le famiglie dei Lancaster e degli York, entrambe pretendenti al trono. Sul podio di Martina Franca, il direttore d’orchestra Fabio Luisi ha lumeggiato attentamente i dettagli della partitura, valorizzando le diffuse finezze e il genio melodrammatico di Meyerbeer. Con sicura consapevolezza Luisi ha dispiegato i pregi espressivi e coloristici, ma anche drammaturgici, della musica. E ha saputo tenere con duttile energia le redini di uno spettacolo assai impegnativo, grazie anche al buon rendimento dell’Orchestra Internazionale d’Italia e del Coro del Teatro Municipale di Piacenza, quest’ultimo preparato da Corrado Casati.

Molto ben assortita, nei ruoli principali, la compagnia di canto. Nel ruolo del titolo Giulia de Blasi, con bel colore ed emissione appropriata; un gradino più su il mezzosoprano Gaia Petrone, con la sua linea ammirevole per gusto ed eleganza stilistica. Da citare il tenore russo Anton Rositskij, in una parte assai ardua, spinta talvolta a sovracuti stratosferici, e il basso Marco Filippo Romano in un singolare ruolo di basso buffo. Fattore caratterizzante dell’allestimento è stata la regia ideata da Alessandro Talevi, che ha ambientato la vicenda nell’odierna cornice del London Fashion Week. Una reinterpretazione radicale del libretto, che ha trasformato i personaggi in figure impegnate nel mondo della moda, con un profluvio di controscene a fiancheggiare gli sviluppi del dramma. E qui, a fare da contorno, bravissimi gli elementi della Fattoria Vittadini. Il progetto è audace, e anche divertente. Però non sempre funziona. Soprattutto nell’horror vacui, nell’assillo continuo di esibire trovate e invenzioni. Molti e prolungati applausi alla fine, ma anche tenaci e sonori dissensi indirizzati al regista e al suo staff.

Le altre opere di maggior richiamo erano Un giorno di regno, melodramma giocoso del 1840 di Giuseppe Verdi , e Orlando Furioso di Antonio Vivaldi, datata ai primi decenni del Settecento. Un giorno di regno è l’unica opera comica di un giovane Verdi, che peraltro è costretto a comporla in un frangente tragico della sua vita, per la recente perdita dei due figlioletti e della moglie. In più, alla prima è anche un fiasco, tanto che la Scala cancella lo spettacolo. Saranno i tempi moderni a restituire dignità e circolazione a questo lavoro. Molto vivace e funzionale, sul palcoscenico di Martina Franca, il progetto di Stefania Bonfadelli, che firma regia scene e costumi. Nel cast, primeggia il baritono Vito Priante, e accanto a lui il soprano Viktorija Miškūnaitė, lituana. Lodevoli i bassi Pavol Kuban e Luca Vianello, mentre il tenore Ivan Ayon Rivas appare sì dotato di mezzi interessanti, ma lascia perplessi quanto a tecnica e accento interpretativo. Direttore dell’Orchestra Internazionale d’Italia e del Coro di Piacenza è Sesto Quatrini: molto compiaciuto di sé, non esprime altrettanta autorevolezza nella conduzione, che comunque giunge diligentemente in porto. (Sopra una foto dell’allestimento).

Tutt’altro spessore nella direzione d’orchestra di Diego Fasolis, alla testa dei suoi Barocchisti, nell’Orlando Furioso. Con mano eloquente e senza ostentazioni, Fasolis fa respirare la partitura vivaldiana di calore espressivo, alternamente morbido o concitato secondo gli sviluppi drammaturgici. Una conduzione sobria ma palpitante, di alta finezza negli equilibri e nei colori strumentali; e qui merita la citazione almeno l’assolo di Stefano Bet al flauto traversiere. Incisiva e calzante la regia di Fabio Ceresa, con la Fattoria Vittadini. Opaco il timbro vocale del contralto Sonia Prina, Orlando, che tuttavia risolve con esperienza e sicurezza tecnica le insidie del suo personaggio. Senz’altro apprezzabile Lucia Cirillo, Alcina, mezzosoprano, e positivo il soprano Michela Antenucci, nella parte di Angelica. Entrambe le opere avvolte da caldi applausi. (In apertura e qui accanto le immagini dell’allestimento).

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