Pierre Chiartano
Il sangue e la ragione

Distrazioni occidentali

L'ennesima strage nel cuore dell'Europa ci impone di riflettere ancora una volta sugli errori fatti nel (non) capire che cosa è successo nel mondo arabo. Per esempio, aver scambiato una cultura sociale come una mera questione religiosa, per di più destinata a tramontare

Anche Bruxelles, pochi giorni dopo l’arresto di Salaeh Abdeslam, uno degli jihadisti a delle menti degli attacchi di Parigi, è stata ferita dal terrore. Sono stati colpiti aeroporto e metropolitana, luoghi prediletti e prevedibili bersagli del terrorismo. Come è possibile che una città presidiata e controllata possa essere stata teatro di attacchi multipli? L’intelligence, come lavora oggi, serve ancora contro il terrorismo jihadista? Cercheremo di rispondere, con tutti i limiti che le semplificazioni comportano.

Stiamo vivendo un lungo periodo di sangue che sarà ricordato come uno dei più freddi, da un punto di vista meteorologico, tra i più caldi da quello politico per la stabilità di molti paesi MENA e per il pericolo terrorismo nel cuore dell’Occidente. Con l’Is che perde terreno in Iraq e, in parte, in Siria e si espande in Libia, mettendo in pericolo la Tunisia e scatenando attentati a raffica da Jakarta a Bruxelles. È l’incompetenza occidentale nel muoversi nei paesi MENA che non può più essere nascosta, neanche da media conniventi o quantomeno malati della stessa incompetenza. Il caso dello sfortunato ricercatore italiano Giulio Regeni, torturato e massacrato probabilmente dagli apparati di sicurezza egiziani ha poi scoperto un’altra pentola, oltre alla personale e irresistibile voglia di buttare il passaporto italiano, vista la pallida risposta delle autorità nazionali a ridosso degli accadimenti. Siamo al fallimento dell’approccio cartesiano per comprendere le dinamiche dell’islamismo radicale.

attacco a bruxelles6I continui attentati in Turchia, con un alternanza quasi matematica tra Ankara e Istanbul, come macabri scenari della violenza. Il Pkk che predilige la sede del governo turco e i Daeesh, la popolosa e splendida Istanbul. Recep Tayyip Erdogan che ha cominciato a giocare bene sul tavolo internazionale uscendo dal vicolo cieco in cui si era cacciato. Semplificando, ha scelto di giocare con gli attori forti: Usa e Germania. Con Washington ha reso chiara la sua posizione nella guerra contro Stato islamico, un anno fa, aprendo la base di Incirlik ai raid aerei contro il Califfo nero, e chiudendo gli aeroporti al passaggio di jihadisti internazionali, fino ad allora – è bene ricordarlo – voluto da tutti da Riad a Londra, Parigi e Washington. E aveva messo nel conto l’ondata di attentati che la rete dell’Is in Turchia avrebbe messo a segno. Parliamo di circa 1.600 elementi, secondo fonti dell’intelligence di Ankara, solo in parte smantellata dalle forze di sicurezza turche. Con Berlino, perché ha capito chi comanda in Europa, per giocare la carta dei rifugiati, rientrare nelle dinamiche europee e tentare di allentare la pressione cui è sottoposto.

Contemporaneamente, ha deciso di agire sul fronte interno spinto da una convinzione: che interessi esterni al paese vogliano sirianizzare il Sudest del paese. Il Pkk visto come cavallo di Troia per smembrare una parte di Turchia da mettere sul tavolo del grande risiko mediorientale. I comunisti curdi del Pkk, usati spesso nel passato come spauracchio per i fini più disparati, sono stati percepiti come attori da cancellare dal panorama ottomano. Ed è scattato subito una specie di soccorso rosso tra i media internazionali nel descrivere Erdogan come una specie “mostro” che ordiva ridicoli piani per la Siria (il complotto del gas Sarin proposto dall’Indipendent) oppure a dirigere il traffico illegale di petrolio con l’Is (smentito da una ricerca della Reuters). Tanto per fare qualche esempio dell’idiozie comparse sulla stampa. Dimenticando che il Pkk è un’organizzazione terroristica che riceve armi anche dalla sorella siriana Ypg, fatto ammesso off record anche da chi gli fornisce quelle armi. Dimenticando invece il vero punto debole di RTE: stare al potere troppo a lungo ti fa perdere il contatto con la realtà, oltre a radicare cattive abitudini. E il leader turco ne ha più di una, specie con la libertà di stampa e di opposizione. In certi ambienti internazionali è quindi balenata l’idea balzana che Erdogan potesse fare la fine di Morsi, lo sfortunato e non brillante ex presidente egiziano. Ora nelle galere di al Sisi, il Quiesling del Cairo. Ma dell’Egitto parleremo dopo.

attacco a bruxelles3In Occidente si è letta tutta l’area musulmana come se fossimo negli anni Settanta; le primavere arabe, come un incidente della storia che ha prodotto ben poco in termini di governi democratici (vero) e che non ha sostanzialmente cambiato l’opinione pubblica, i comportamenti e le aspettative delle popolazioni di quell’area (falso). La voglia di Washington di andarsene ha scatenato, poi, gli appetiti del vecchio “colonialismo” in salsa europea (Parigi e Londra) e in salsa Golfo (Riad, Doha e compagnia cantando). Un gruppo che, a geometrie variabili, ha fatto danni ovunque. Siria, Libia, in Tunisia ci hanno provato, Iraq. Mentre Washington osservava, cercando di non farsi coinvolgere e, a corrente alternata, facendo sbagli come il “micromanagement” in Iraq nella guerra contro l’Is. Ora mandano i Marines per dare una mano per la riconquista di Mosul, ma potrebbero servire anche altrove, Tunisia compresa. Si spiega così il comportamento degli americani in Libia nel 2011. Alla fine Obama l’ha detto, puntando il dito sul tradizionale alleato di sangue: Londra. In Libia avete consentito uno “shit show”. In termini diplomatici è un terremoto.

Infatti pochi fra gli esperti da salotto, mosche cocchiere dell’informazione, lo hanno commentato. E lo “shit show” andrebbe allargato all’Egitto, dove Londra, Parigi e anche Israele hanno responsabilità enormi nell’aver puntato e sostenuto un mediocre politico come Sisi che ha lasciato mano libera ai propri apparati, sostanzialmente fuori controllo. Già nel luglio 2013 a Nasr city era chiaro ciò che sarebbe successo ad Agosto nella moschea di Raabia. L’uso della violenza indiscriminata. Il caso di Giulio Regeni ha solo rimesso sotto i riflettori il problema. Anche in Egitto la risposta è stata degna di un filmato in bianco e nero. «Il paese non è pronto alla democrazia, serve un dittatore e il pugno di ferro», è stato detto. Il problema islamico? «Si può obliterare», come se fossimo tornati al nasserismo prima maniera, che sostanzialmente sfruttava le rivalità tra islam conservatore e quello radicale, affinché si annullassero a vicenda, pensando ad un superamento del dossier religione. La sinistra laica all’epoca la pensava così anche nel mondo arabo. La guerra dei Sei giorni cambiò tutto. Nel mondo islamico fu vista come la vittoria di uno stato religioso (Israele) nei confronti di uno laico, l’Egitto di Nasser, visto fino ad allora come un modello vincente. L’islam rientrò in campo. Ma non un islam che aveva subito processi culturali di modernizzazione, nessuno se ne era curato, nonostante la presenza di molti pensatori riformisti e modernisti (entrambi i termini sono inadeguati, ma rendono l’idea).

attacco a bruxelles2Tra questi ne ricordiamo solo alcuni, come Mohamed Talbi checonsiderava la umma un dato spirituale e non politico e che pertanto non poteva essere assimilato alla dawla (lo stato musulmano), insomma un degno prosecutore delle idee riformiste tracciate da Mohamad Abdhu e Ibn Achour prima di lui;o l’egiziano Mouhammad Said Achmaoui con la critica al diritto islamico classico (sharia). I nomi da elencare sarebbero troppi e molti caduti nell’oblio perché tenuti ai margini della cultura musulmana di un epoca dominata da una corrente molto potente. Era l’islam wahabita del Golfo, delle fondazioni con le tasche piene di petrodollari, che diffondeva, aiutava e comprava il silenzio occidentale. Ed il potere del wahabismo parte da lontano dagli anni Trenta del secolo scorso, quando gli accordi tra compagnie petrolifere inglesi e poi americane con i Saud, chiudono ogni possibilità di evoluzione modernista dell’islam. Con i soldi del petrolio le fondazioni wahabite diventano ricche e potenti, stampano e diffondo libri e una visione dell’islam beduino. Fino ad allora si era stampato poco o niente, per cui il loro islam diventa quello ufficiale e più diffuso. E fino ad ora è stato un crescendo di proselitismo e radicamento delle loro idee. I problemi di oggi nascono in parte in quel periodo e sono figli dell’arroganza culturale di un Occidente cinico e materialista che ha sottovalutato i danni di una politica così miope, guardando solo al portafogli. Le fondazioni wahabite hanno poi finanziato sia SI che Boko Haram, un segreto di Pulcinella in tutto il mondo arabo.

In Occidente si è fatto poi un altro errore, tanto per non farci mancare nulla nella scaletta dello “shit show”: un’equazione diretta tra wahabismo del Golfo e Fratelli Musulmani. Dove è vero che le radici siano comuni, la risposta letteralista al disfacimento delle società musulmane, ma i Fratelli Musulmani ne erano l’evoluzione cittadina, erano i wahabiti della medina. Suddivisi in molte correnti dalle diverse declinazioni, ma erano un passo avanti rispetto ad un pragmatismo che mancava ai “letteralisti” carichi di certezze e petrodollari. L’islam beduino. I FM hanno fallito la prova di governo ma non meritavano di essere trattati alla stregua di terroristi sanguinari, perché non lo erano, fatta qualche eccezione. E che fossero una cosa diversa dal wahabismo del Golfo lo dimostra la costanza con cui Riad li elogiava pubblicamente e li combatteva segretamente, in tutte le maniere e in tutti i luoghi dove governavano o dove semplicemente gestivano delle katibe combattenti, che fosse la Libia o la Siria. Trovando alleati occidentali assolutamente non in grado di capire chi stessero aiutando e per quali motivi. Una ignoranza vista chiaramente in Siria, Iraq e Libia, dove sarebbe servita una politica complessa a geometria variabile. E soprattutto consapevole di cosa stesse facendo.

attacco a bruxelles4Ma l’incapacità di leggere il mondo musulmano da parte dell’Occidente (Europa in particolare) parte da lontano. Da quando gli studi di islamologia furono confinati nelle facoltà linguistiche, nella convinzione tutta “strutturalista” che la religione fosse nella fase dissolvente. Non solo si è persa una tradizione ricca di studi bollata come “orientalista” (e in parte lo era) ma la gauche europea ha accettato la visione wahabita dell’islam, apprezzandone alcuni aspetti anti-capitalisti e anti-occidentali e non disdegnandone i lauti finanziamenti. Si è così impedito a pensatori di qualità nel mondo arabo di emergere come “riformatori” del pensiero religioso, semplicemente perché non importava a nessuno.  Decennio dopo decennio, fatte le debite eccezioni,  anche il mondo accademico ha perso gran parte delle sue capacità di analisi delle realtà islamiche. Oggi messo sotto pressione dai governi per produrre valutazioni, analisi ed esperti, il settore universitario mostra palesemente la propria inadeguatezza culturale e metodologica (e il caso Regeni potrebbe esserne una spia). A cascata questo produce un degrado qualitativo anche nel settore intelligence, specie del comparto humint. L’approccio cartesiano per analizzare l’islamismo combattente non funziona, sia da un punto di vista culturale che da quello militare. Ciò che in Occidente viene considerata una sconfitta militare può non avere lo stesso valore agli occhi di uno jihadista, per cui anche i “messaggi” mediatici che certe azioni violente producono vengono lette in maniera diversa. Dobbiamo accettare il fatto che sia la visione tradizionalista (islamista), oppure occidentalizzata o laicista “radicale” non sono risposte adeguate per stabilizzare le società musulmane moderne. Occorre cambiare mentalità e guardare a opzioni diverse.

Quindi prepariamoci a brutte sorprese nel prossimo decennio, perché anche se ci si rendesse conto del problema e si potessero attuare i cambiamenti necessari overnight (dalla sera alla mattina) i risultati in termini di risorse umane e di “prodotto” richiederebbero tempi medio-lunghi. E gli attentati di Bruxelles sfuggiti al controllo preventivo degli apparati di sicurezza europei sono l’ennesimo segnale di questa debolezza.

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