Pasquale Di Palmo
I deliri del bibliofilo

Mario Luzi “in erba”

La casa di Castello, il tempo lontano del mito domestico, «l’inesorabilità della sua abolizione», il «sottile intenerimento» generato dal ripensarci… Storia della prima raccolta del poeta fiorentino nelle due edizioni, quella del ’35 e quella del ’42. E di un incredibile ritrovamento…

«Tra il ’34-’35 scrissi parecchie poesie abbastanza omogenee, poi sfrondate, forse anche troppo impietosamente. Ne pubblicai un gruppo ne La barca, il mio primo libretto. Allora era molto più semplice, forse, la cosa. Io non supponevo di dover trovare un editore. L’editoria della poesia allora non c’era. E questo semplificava in un certo modo le cose. Né Mondadori né Treves né Bompiani pubblicavano poesie. Allora pubblicava poesie Vallecchi, perché era lui l’editore degli scrittori nuovi. Io forse pensavo di rivolgermi a Vallecchi perché avevo già stretto qualche amicizia con autori a lui vicini, con Betocchi per esempio. Ma poi, non so come, ci fu Guanda. Guanda cercava di riempire alcune lacune dell’editoria». Così rievocava Mario Luzi la pubblicazione della sua raccolta poetica d’esordio, La barca, edita da Guanda nel 1935 in una brossura decorata in verde a due colori.

Continua così il racconto del poeta fiorentino: «Una volta che andavo al nord mi fermai a Modena, e conobbi Guanda e Antonio Delfini, che erano molto amici. Li conobbi insieme e diventai amico di tutti e due. Passammo una sera autunnale a Modena, molto calda, piacevole. Guanda faceva pagare. Avevo pochi soldi, ma lui avrebbe fatto prezzi molto buoni. Io accettai. Quando fu il momento mi disse: me li darai. Il libro fu pubblicato in una tiratura molto piccola, trecento copie, trecentocinquanta, mi pare. Andarono e allora lui non volle più essere pagato». Gli esemplari erano in realtà 300 e il volumetto, di 52 pagine, misura cm 19,6 x 12,8. Venne stampato dalla Tipografia Ferraguti di Modena che pubblicò, per gli stessi tipi, soltanto due anni dopo, anche la seconda raccolta di versi di Alfonso Gatto, contrassegnata dalla medesima grafica e intitolata Morto ai paesi mentre il primo titolo della collana poetica dell’editore modenese, apprezzato da Luzi, era Versi e memoria di Guglielmo Petroni, uscito sempre nel 1935.

La raccolta luziana venne recensita da un allora ventitreenne Giorgio Caproni su «Il popolo di Sicilia», facendo nascere tra i due poeti un’amicizia che li legherà per tutta la vita. Romano Bilenchi riporta in Le parole della memoria (Cadmo, 1995) il divertente aneddoto riguardante Luzi e Delfini che, contravvenendo alla loro amicizia, si sfidarono a duello nel periodo d’oro della comune frequentazione alle “Giubbe Rosse”. Ringalluzzito dall’evento, Tommaso Landolfi si augurava che il suolo di Firenze dovesse «essere insanguinato da quel porco romagnolo», anche se poi i due autori si riappacificarono senza conseguenze di sorta.

Dopo la pubblicazione di L’opium chrétien per i tipi di Guanda nel 1938, rielaborazione della tesi di laurea su François Mauriac, della seconda raccolta poetica Avvento notturno, edita da Vallecchi nel 1940 e di Un’illusione platonica e altri saggi per le fiorentine Edizioni di Rivoluzione nel 1941, La barca venne riproposta dall’editore Parenti di Firenze nel 1942. La tiratura è costituita di 305 copie su carta Doppio Guinea, oltre a 50 esemplari non numerati su carta comune, destinati alla stampa. Il titolo, 48° della collana «Letteratura», presenta una brossura bianca con fregio in rosso, consta di 58 pagine e accoglie in antiporta il ritratto dell’autore realizzato da Mario Marcucci. Si tratta di un’edizione ampliata e modificata rispetto alla princeps: 25 poesie contro le 21 originarie, anche se qualche testo viene espunto per accoglierne invece di nuovi (si rimanda al riguardo all’accurato lavoro filologico compiuto da Stefano Verdino per L’opera poetica, edita nel 1998 nei «Meridiani» Mondadori). Nello stesso anno Luzi licenzierà anche la raccolta di prose Biografia a Ebe, edita da Vallecchi.

Il manoscritto originale di La barca, considerato irrimediabilmente perduto, venne a sorpresa ritrovato dal collezionista e bibliofilo Beppe Manzitti nell’ottobre del 2001 alla Fiera dell’Antiquariato svoltasi presso il Palazzo Corsini di Firenze. Il manoscritto, contenente 101 fogli, si trovava all’interno di una busta dell’editore Guanda datata 8 settembre 1935 inviata al poeta all’indirizzo di Castello, presso la casa natale, probabilmente in restituzione dopo la composizione del libro. Inoltre erano inclusi 32 testi inediti, risalenti alla prima giovinezza, corpus poi pubblicato nel 2003 da Garzanti con il titolo Poesie ritrovate, sempre a cura di Verdino.

In un intervento apparso sulla rivista «Wuz» scrisse il poeta: «Quel tempo che fu attuale, scontato giorno per giorno, oggi sembra irreale, un profondo e lontano mito domestico. A segnare l’inesorabilità della sua abolizione neppure la casa di Castello esiste più. Passando in treno ne vidi un triste giorno il cumulo di macerie in mezzo al terreno che l’aveva amenamente circondata, così caro a mia madre. Parce defunctis. Resta per me e per i miei pochi affini il mio primo parsimonioso libretto, La barca. È un motivo di dolorosa e ardimentosa fierezza a paragone di quegli indimenticabili anni, di quelle care esistenze estinte. Naturalmente anche a un poeta genera un sottile intenerimento il ravvisare sé in erba».

Nel 2005 un’edizione di La barca, accompagnata da un facsimile dei manoscritti, è stata approntata dall’editore Le Balze. Difficile fare una quotazione dei due volumetti: una copia dell’edizione originale si aggira intorno ai 1000/1500 euro mentre per la ristampa di Parenti sono sufficienti 500 euro. Forse.

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