Pasquale Di Palmo
I deliri del bibliofilo

L’impermeabile di Giovanni Comisso

Un esordio autofinanziato che doveva già essere un addio alla letteratura e che invece si impose per la sua qualità. Storia de “Il porto dell’amore”, opera prima dello scrittore trevigiano famoso per i continui rimaneggiamenti delle sue opere, per la «disperazione del bibliografo»...

Ormai un secolo ci separa dalla pubblicazione di Il porto dell’amore, che si può considerare, a tutti gli effetti, come il libro d’esordio di Giovanni Comisso, impresso in 500 esemplari dalla Stamperia Antonio Vianello di Treviso a spese dell’autore verso la metà del 1924. Nel libretto, una brossura di 76 pagine, con formato in 16°, si rievoca l’esperienza dell’autore trevigiano a Fiume e l’amicizia con Guido Keller, “segretario d’azione” di D’Annunzio durante la “Reggenza italiana del Quarnaro”, nonché singolare figura di aviatore che tanto peso ebbe nella formazione di Comisso. Con Keller, l’unico che poteva permettersi di dare del “tu” al Vate, lo scrittore darà vita a una rivista intitolata “Yoga”, redatta a Fiume, di cui uscirono soltanto quattro numeri con cadenza settimanale tra il 13 novembre e il 4 dicembre 1920. Lo stesso Comisso, in una pagina di Le mie stagioni, ricorda quell’esperienza: «Così il nostro movimento venne chiamato Yoga e Keller vi aggiunse questa formula: “Unione di spiriti liberi tendenti alla perfezione”». La trascrizione integrale della rivista viene proposta da Simonetta Bartolini nel suo saggio “Yoga”. Sovversivi e rivoluzionari con D’Annunzio a Fiume, edito nel 2019 da Luni Editrice.

Il porto dell’amore, composto nel 1921, nonostante fosse ordinabile solo attraverso un’apposita cedola libraria, ebbe a sorpresa una certa attenzione critica. Uscirono le recensioni di Silvio Benco nel “Piccolo di Trieste” e di Filippo de Pisis nel periodico trevigiano “Camicia nera”, oltre a quella di Giovanni Titta Rosa che sull’“Ambrosiano” del 29 ottobre 1924 spese parole elogiative molto lusinghiere: «Il porto dell’amore […] è una delle cose più belle e vive e stilisticamente solide e luminose che io abbia letto da molto tempo. È un racconto di un’ottantina di pagine e vi si narra la vita di un giovine ai tempi dell’eroica avventura fiumana». Per saldare il conto in tipografia, dopo essersi fatto prestare i soldi dal padre, lo scrittore fu costretto a vendere l’impermeabile. Nel colophon Comisso riportò in stampatello la scritta «AD ALTRO» che doveva costituire una sorta di addio alla letteratura al fine di intraprendere la professione di avvocato (studiava Legge all’Università di Siena), secondo ciò che dichiarò lo stesso autore: «Invece quelle parole ebbero il significato che tutti avevano voluto dare: AD ALTRO LIBRO. Con quel libro ero nato scrittore».

Molto complesso è il lavoro di revisione a cui viene sottoposto con il trascorrere del tempo il libro, ricostruito da Rolando Damiani e Nico Naldini, curatori delle Opere, apparse nella collana dei Meridiani Mondadori nel 2002. La successione dei capitoli viene modificata nel 1928 quando l’editore torinese Ribet lo ristampa con il nuovo titolo Al vento dell’Adriatico, suggerito da Valery Larbaud per la traduzione francese, mai completata. I capitoli da sei divennero otto, con un epilogo in aggiunta, caratterizzati da nuovi titoli ispirati agli animali. Al vento dell’Adriatico, comprendente il dittico Il porto dell’amore e Gente di mare, silloge di prose ispirate al mondo dei pescatori chioggiotti edita nel 1928 da Treves, sarà ristampato, con ulteriori varianti dalle Edizioni di Treviso – Libreria Canova nel 1953. Si ripristinerà il titolo originale Il porto dell’amore per la ristampa effettuata da Longanesi nel 1959 nella collana “La gaja scienza”, contenente anche Gente di mare.

Il libro non è invece confluito nel progetto delle “Opere di Giovanni Comisso” uscite da Longanesi in 14 volumi tra il 1965 e il 1974. Un’edizione di Il porto dell’amore, annunciata da Novissima per il 1934, non vide la luce a causa di supposti problemi economici della casa editrice, quando Comisso aveva già rivisto le bozze. In una copia dell’edizione Ribet è presente un appunto autografo dell’autore, segnalato da Nico Naldini in Vita nel tempo. Lettere 1905-1968 (Longanesi, 1989): «Questo libro è stato riveduto nelle seguenti date: 4 ottobre 1929, 24 ottobre 1932, 13 luglio 1933, 12 ottobre 1935, 13 gennaio 1941». Si capisce perché Contini parlasse, a proposito dei continui rimaneggiamenti formali di Comisso, di «disperazione del bibliografo» e Parise facesse riferimento al lavoro compiuto dallo stesso con forbici e colla. L’unico esemplare attualmente disponibile sul mercato antiquario è quello messo in vendita dalla Libreria Vanzella di Treviso al prezzo di 1800 euro.

D’altro canto, per essere precisi, il titolo d’esordio di Comisso sarebbe un altro, ovverosia la plaquette delle Poesie che venne stampata in tiratura limitata nel 1916, a cura dell’amico Arturo Martini, presso la Stamperia Zoppelli di Treviso mentre l’autore si trovava al fronte. L’opera, riprodotta in edizione anastatica fuori commercio nel 1995 dalla Libreria Canova, presenta una xilografia dello stesso Martini riproducente il profilo di Comisso e si avvale di 16 pagine non numerate, contenenti una decina di liriche. Osserva Emilio Lippi nell’introduzione alla summenzionata edizione anastatica: «Martini era stato l’artefice dell’iniziativa: sua la scelta della “carta molto greve” e dei caratteri goticheggianti, sua soprattutto la xilografia che ritrae “con perfetta assomiglianza” l’amico e che costituisce tuttora il motivo di meno effimero interesse. […] L’opuscolo fu stampato da Zoppelli, l’editore più in vista in città, che nel ’51, sotto l’insegna delle Edizioni di Treviso – Libreria Canova, avrebbe patrocinato uno dei volumi più felici dello scrittore, Le mie stagioni». L’opuscolo è diventato raro a causa dell’iniziativa dei genitori di Comisso che, vergognandosi della qualità dei versi ivi contenuti, considerati di una semplicità disarmante, provvidero a fare razzia delle copie circolanti in città, approfittando dell’assenza del figlio.

Lippi sostiene che l’esemplare riprodotto in fac-simile è forse l’unico superstite, in quanto si tratta della copia appartenuta a Natale Mazzolà, amico dell’autore e un tempo detentore di importanti memorabiliacomissiani (è opportuno qui ricordare le Trecento lettere di Giovanni Comisso a Maria e Natale Mazzolà, pubblicate nel 1972 dall’Editrice Trevigiana). La copia venne donata alla Biblioteca Comunale di Treviso. Le poesie confluirono, in forma rivisitata, nel volumetto stampato da Rebellato nel 1957, La virtù leggendaria, che raccoglie anche brevi prose, in un’edizione con copertina bianca, stampata in 600 esemplari, di cui 500 numerati da 1 a 500 e 100 privi di numerazione.

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