Pasquale Di Palmo
I deliri del bibliofilo

Le maschere editoriali di Landolfi

Dall’esordio con “Dialogo dei massimi sistemi”, raccolta di racconti pubblicata nel 1937, a “LA BIERE DU PECHEUR” del ’53, i piccoli grandi capolavori di uno scrittore che, come scrisse Carlo Bo, usava «la pagina quale sfogo delle audaci sue consapevolezze»

Personaggio eccentrico e, al tempo stesso, appartato, chiuso in un suo mondo inavvicinabile e segreto, il giovane Tommaso Landolfi frequentò negli anni Trenta a Firenze l’ambiente letterario che si riuniva intorno al Caffè delle Giubbe Rosse. Ma alle conversazioni con gli intellettuali preferiva sin da allora il gioco d’azzardo e risultava più facile trovarlo nel retrobottega di un fornaio a giocare a carte con qualche tipo poco raccomandabile, anziché a conversare di letteratura con Montale e Traverso, Gadda e Bilenchi. Quest’ultimo riportò in Amici. Vittorini, Rosai e altri incontri (Einaudi, 1976) una serie di aneddoti piuttosto divertenti intorno alla figura del Conte, com’era soprannominato Landolfi in seguito alle sue ascendenze di origine nobiliare e al suo portamento ricercato e austero. In uno di questi si narra del mancato duello tra il fiorentino Luzi e il modenese Delfini che provoca il rammarico di Landolfi, «preso dalla rabbia per non aver veduto “la terra di Firenze bagnata dal sangue di quel maiale emiliano”».

Dopo aver collaborato con varie riviste, Landolfi esordì in volume proprio a Firenze nel 1937 con la raccolta di racconti intitolata Dialogo dei massimi sistemi, stampata dai Fratelli Parenti quale secondo titolo della collezione «Letteratura», curata da Alessandro Bonsanti, in duecento copie numerate da 1 a 200, oltre a una tiratura fuori serie. Sulla copertina del libro che misura cm 20 x 14, sobria ed elegante, si accampano su fondo bianco incorniciato in rosso, tutti in stampatello, i nomi di autore ed editore e il titolo. Il Dialogo dei massimi sistemicostituisce, nonostante sia il suo primo libro, una delle opere più rappresentative di Landolfi, con un capolavoro assoluto come Maria Giuseppa, il racconto iniziale, di un delirio allucinato che non ha paragoni nella narrativa italiana di quel tempo.

Nel 1939 usciranno sia il romanzo breve La pietra lunare per Vallecchi sia i racconti di Il mar delle blatte e altre storie per le Edizioni della Cometa di Roma, in 500 copie numerate. Il curatore è Libero de Libero, poeta che a sua volta pubblicherà vari libri per i tipi della Cometa a cui è emblematicamente dedicato il racconto Notte di nozze. La piccola casa editrice prendeva nome dall’eponima galleria, finanziata dalla contessa Mimì Pecci Blunt e curata dallo stesso de Libero con Corrado Cagli, chiusa qualche mese prima in quanto considerata promotrice dell’arte degenerata e decadente invisa alla politica fascista. Il volumetto, come si evince dal colophon, «si compone di 5 esemplari fuori commercio segnati con le vocali a, e, i, o, u; di 50 esemplari stampati su carta Ingres dall’I al L; e di 500 esemplari su carta vergata numerati dall’1 al 500». Sia gli esemplari contrassegnati dalle vocali sia quelli contrassegnati dalla numerazione romana si arricchiscono di un’illustrazione di Giorgio de Chirico, raffigurante un’enorme mano che incombe dall’alto su sei figure femminili in primo piano. Il volumetto, impresso a cura di Artidoro Benedetti, stampatore in Pescia, si avvale di 146 pagine e costa 10 lire. La brossura incamiciata, con dati stampati entro riquadro in doppio filetto, ha una sovracoperta azzurrina e misura cm 19 x 12,6; le copie della tiratura di testa sono stampate, com’è tipico dell’editore, in un formato più grande, anche se rarissime a trovarsi, in quanto già assegnate prima della vendita. Nel repertorio di Gambetti e Vezzosi del 2007 è riportato che il disegno di de Chirico misura cm 25 x 16 e che le quotazioni della tiratura ordinaria risultano difformi, ma superiori ai 500 euro. In copertina figura l’immagine stilizzata della cometa che contrassegna tutti i libri dell’editore romano.

Anche in questo caso ci troviamo di fronte a una sequenza di piccoli capolavori, a cominciare dall’enigmatico racconto che dà titolo al libro, permeato di un’atmosfera surreale e plumbea che non può non ricordare le invenzioni stravaganti e, al contempo, rigorose di Kafka. Carlo Bo, che Landolfi considerava il maggior esegeta della sua opera, scriveva a proposito di questo libro: «Quando uscì questa raccolta, la prosa italiana ristagnava incerta in un sistema di rispetti tradizionalistici dei quali Landolfi si cura solo modestamente: dalla tradizione egli ha appreso che non vi ha letteratura senza eleganza formale, senza chiarezza espositiva. Il resto, cioè i contenuti, le fantasie, le storie, non possono nascere che da lui: dalla sua ormai chiara volontà di usare la pagina quale sfogo delle audaci sue consapevolezze». Il titolo sarà riproposto, insieme alla raccolta di racconti La spada, tre anni dopo da Vallecchi.

La produzione di Landolfi annovera titoli derivanti dalle più svariate discipline: si passa infatti dal racconto al romanzo, dal saggio alla poesia alla traduzione. Qualche precisazione va fatta sulla reperibilità di alcune edizioni originali (le sue opere sono attualmente ripubblicate da Adelphi). Prima di cedere alle lusinghe di Rizzoli, Landolfi pubblicò quasi esclusivamente con Vallecchi, editore che cercava di assecondare i suoi capricci e le sue idiosincrasie. In tale messe di titoli risultano piuttosto difficili da trovare le due favole, soprattutto se complete di sovracoperta: Il principe infelice, illustrato da Sabino Profeti (1943) e La raganella d’oro, illustrata da Carlo Galleni (1954). Nel caso di quest’ultimo volume la sovracoperta presenterebbe due varianti: quella realizzata da Marcello Guasti e quella dello stesso Galleni. Si può aggiungere anche la tragedia in versi Landolfo VI di Benevento (1959) che, oltre alla tiratura ordinaria, fu stampata da Vallecchi in 200 copie numerate su carta speciale.

È noto che in Se non la realtà, raccolta composita di racconti edita nel 1960 per conto dell’editore fiorentino e ispirata ai suoi numerosi viaggi (non sempre in luoghi particolarmente ameni e suggestivi, qualora si consideri che un testo si ambienta a Rovigo e che le città non potevano che dividersi in due sole categorie: quelle che possedevano un casinò e quelle che ne erano prive), compare per la prima volta, sul rivolto di copertina, la seguente polemica presentazione che contrassegnerà gran parte dei suoi lavori successivi: «L’autore, stanco di sentirsi attribuire dai critici (o almeno dai più grossolani tra essi, e in ogni caso da chi poco lo conosce) la paternità o l’ispirazione degli scritti per consuetudine stampati in questa sede (i quali anzi lo trovano bene spesso dissenziente), ha pregato l’editore di sostituirli d’ora in avanti colla seguente dicitura: RISVOLTO BIANCO PER DESIDERIO DELL’AUTORE».

Con LA BIERE DU PECHEUR, stampata nel 1953 per il solito Vallecchi, Landolfi inaugura la sua felice stagione diaristica. Riportato in stampatello e senza accenti, il titolo può significare sia La bara del peccatore sia La birra del pescatore, confermando quell’ambiguità polisemica che lo scrittore attribuirà costantemente alle parole (si consideri al riguardo l’emblematico elzeviro intitolato Parole in agitazione presente in Un paniere di chiocciole). Nel risvolto di copertina figura un’altra fotografia dello scrittore, probabilmente scattata nella stessa occasione in cui fu «rubato» il ritratto apparso in Cancroregina, in quanto l’abbigliamento e la pettinatura sono i medesimi: Tom, com’era chiamato affettuosamente dagli amici, si nasconde il volto con il ventaglio della mano aperta e la palma rivolta verso l’obiettivo.

Facebooktwitterlinkedin