Pasquale Di Palmo
I deliri del bibliofilo

Sfrondare la vita

Storia (in due puntate) della “Révolution surréaliste”, la più importante rivista del movimento surrealista. Undici numeri, dal dicembre 1924 al dicembre 1929, che avevano lo scopo di fare tabula rasa di preconcetti derivanti da un retaggio culturale anacronistico e positivista

“La Révolution surréaliste” si può considerare, a tutti gli effetti, come la più importante rivista prodotta dal movimento surrealista. Concepita con un aspetto grafico sobrio ed elegante, ispirato ai bollettini di divulgazione scientifica in voga in quegli anni, la rivista ebbe vita breve: gli undici numeri che uscirono abbracciano l’arco di tempo che va dal dicembre 1924 al dicembre 1929, contrassegnati dal n. 1 al n. 12, con la parentesi di un numero doppio, il 9-10. Cinque anni di pubblicazione quindi, ma durante i quali il surrealismo, attraverso la cassa di risonanza del suo organo ufficiale, fece tabula rasa nei confronti di una serie inverosimile di preconcetti derivanti da un retaggio culturale, ormai anacronistico, di ascendenza positivistica. “La Révolution surréaliste” radicalizza la lezione della precedente rivista di orientamento dadaista “Littérature”, fondata nel 1917 da Breton, Aragon e Soupault, che si avvalse della collaborazione di autori celeberrimi come Valéry, Gide, Fargue, Jacob, Cendrars, Reverdy e che ospitò giovani promettenti come Radiguet, Drieu la Rochelle, Paul Morand. Nel 1919 “Littérature” comincia ad acquistare una veste più esplicitamente sperimentale, ospitando i primi “scritti automatici” di Breton e Soupault che testimoniano di un nuovo procedimento creativo, secondo il quale la poesia è libera di procedere dall’inconscio senza nessun tipo di mediazione, né culturale né stilistica, ma, semplicemente, dando voce a un ininterrotto flusso psichico. Vengono proposti ampi stralci di quella che è unanimemente considerata la prima opera surrealista, quegli Champs magnétiques che Breton e Soupault scrissero a quattro mani e che raccolsero in volume per i tipi di Au Sans Pareil nel 1921.

Dopo l’esperienza di “Littérature” e la nascita ufficiale del surrealismo, gli obiettivi dichiarati del movimento, che farà sempre riferimento all’opera del suo indiscusso padre spirituale André Breton (nella foto), soprannominato “papa” per le sue evidenti virtù carismatiche, saranno sempre quelli di una totale chiusura nei confronti della morale corrente e di una predisposizione a sondare, attraverso tecniche e modalità differenti, il mondo dell’inusuale e del meraviglioso. Autore dei due manifesti programmatici del surrealismo, Breton si configura come il principale animatore e il più coerente teorico del gruppo e, al tempo stesso, come il solo in grado di lanciare sia eventuali scomuniche nei confronti degli eretici sia di dare particolari svolte di carattere ideologico all’orientamento dei suoi adepti. L’attività dei surrealisti si manifesterà attraverso le più svariate discipline – dalla letteratura alla pittura, dalla fotografia al cinema – configurandosi come una delle più esaurienti esperienze intellettuali e artistiche di tutto il Novecento. Prendendo spunto dalle teorie visionarie di Sade, Rimbaud e Lautréamont, il surrealismo si propone di effettuare la vera rivoluzione attraverso gli strumenti dell’illuminazione poetica. Il poeta diventa “mago”, “veggente” e si svincola definitivamente da quell’aura romantica che aveva caratterizzato finora la sua opera, per rapportarsi a una dimensione che sia finalmente moderna e vada al passo con i tempi. Gli accostamenti più arbitrari e stravaganti gli consentono di approdare, attraverso la tecnica dell’automatismo, a risultati tanto eccentrici quanto necessari.

Senza dubbio l’opera dei surrealisti, non sarebbe concepibile senza l’avvento delle avanguardie storiche che l’avevano preceduta, dal futurismo al cubismo al dadaismo, o senza la scoperta della psicoanalisi freudiana o delle culture extra-europee; tutte queste discipline hanno contribuito, in forma diversa, a creare un ideale ventaglio di suggestioni che preparò il terreno, sia in ambito letterario sia in ambito figurativo, alle più ardite proposte del movimento. Ma, in questo senso, il surrealismo si è svincolato dall’ingombrante eredità dell’attività dei seguaci di Tristan Tzara, proponendo, oltre all’opera iconoclasta presente negli spettacoli e nelle composizioni dadaiste, delle soluzioni tese a mettere in luce l’aspetto più direttamente creativo dell’opera d’arte.

Il primo numero della rivista ha la copertina color arancione, porta la data del 1° dicembre 1924 e misura mm. 287 x 195, caratteristiche che conserverà fino alla fine, se si esclude il colore di sottofondo della copertina che dal n. 6 diventerà bianco. La direzione è inizialmente affidata a due tra i fondatori del gruppo: Pierre Naville e il poeta Benjamin Péret. Un fascicolo è formato da 32 pagine e il suo costo è di 4 franchi; dal n. 7 diventeranno 5. Nella copertina di questo primo numero vengono proposte tre fotografie del gruppo nella Centrale surrealista di rue de Grenelle effettuate da Man Ray, disposte a forma di piramide tronca sopra la dichiarazione programmatica dei redattori: «Bisogna arrivare a una nuova dichiarazione dei diritti dell’uomo». Nello scritto di presentazione della rivista, firmato da Boiffard, Éluard e Vitrac, si legge una vera e propria apologia dell’attività onirica che viene suggellata in questo modo: «La Rivoluzione… La Rivoluzione… Il realismo è sfrondare gli alberi; il surrealismo è sfrondare la vita». L’unica poesia presente in questo numero, dagli echi scopertamente rimbaldiani, è dello stesso Éluard: «L’hiver sur la prairie apporte des souris / J’ai rencontré la jeunesse / Toute nue aux plis de satin bleu / Elle riait du présent, mon bel esclave […]».

La rivista ha al suo interno qualche sporadica illustrazione in bianco e nero, tra cui riproduzioni di dipinti e fotografie dei maggiori artisti del tempo che, sotto forme diverse, erano legati all’esperienza surrealista. Gli undici numeri della stessa annoverano illustrazioni di Picasso, Max Ernst, Man Ray, de Chirico, Masson, Mirò, Tanguy, Arp, Picabia, Klee, Magritte, Dalì. Qualche numero ospita degli esempi di cadavres exquis, sorta di gioco «che consiste nel far comporre a parecchie persone una frase o un disegno su un foglio piegato in modo tale che nessuna di esse possa tener conto della collaborazione o delle collaborazioni precedenti. L’esempio, divenuto classico, che ha dato il nome al gioco sta nella prima frase ottenuta in questo modo: Le cadavre / exquis / boira/ le vin nouveau (Il cadavere eccelso berrà il vino nuovo)», come si legge nel Dictionnaire abrégé du surréalisme di Breton e Éluard, del 1938.

Compaiono delle rubriche fisse che caratterizzeranno fino alla fine l’impostazione della rivista. Tra queste bisogna segnalare quelle sui Rêves e i Textes surréalistes, veri e propri laboratori creativi che consentono di sfruttare la tecnica dell’automatismo in maniera sempre più incalzante e sofisticata. I due autori che, senza dubbio, si sono maggiormente contraddistinti in questa tecnica sono il poeta Robert Desnos e il narratore René Crevel, le cui doti medianiche consentono di approdare a risultati davvero significativi in tale campo. È d’altronde risaputo che quasi tutti gli aderenti al movimento partecipassero, con esiti differenti, a sedute spiritiche con le medium più famose del tempo, tra cui Madame Sacco. La Lettre aux voyantes di Breton pubblicata nel n. 5 del 15 ottobre 1925 ne dà ampia testimonianza. Non è un caso che uno dei fascicoli più interessanti sia appunto il numero doppio 9-10 del 1° ottobre 1927, dedicato al tema dell’écriture automatique.

Anche le inchieste hanno una particolare importanza nell’economia della rivista. Nel n. 2 del 15 gennaio 1925 troviamo un’Enquête sur le suicide, a cui parteciparono intellettuali di diverse tendenze, da Francis Jammes a Pierre Reverdy, e che risulta particolarmente appropriata per una delle figure più rappresentative del movimento come quella di Crevel che così rispose alla domanda Le suicide est-il une solution?: «Si dice che ci si uccida per amore, paura o malattia. Non è vero. Tutti amano o credono di amare, tutti hanno paura, tutti più o meno hanno la sifilide. Il suicidio è uno strumento di selezione». Dandy provocatorio, tiranneggiato da una madre oppressiva, lo scrittore della Mort difficile si toglierà la vita nel 1935, dopo aver inutilmente tentato di fare opera di mediazione, in occasione del «1° congresso internazionale degli scrittori per la difesa della cultura», tra i rappresentanti dell’AEAR (Association des Écrivains et Artistes Révolutionnaires) e i surrealisti, dopo che Breton aveva schiaffeggiato il capo della delegazione sovietica Il’ja Erenburg, reo di denigrare il loro operato. La parabola esistenziale di Crevel ben incarna il sogno disilluso, tipico della seconda stagione surrealista, di coniugare fede marxista e proposito rimbaldiano di changer la vie. D’altronde è possibile trovare diverse analogie tra il destino di Crevel e quello altrettanto tragico di alcuni tra i più significativi rappresentanti del surrealismo. La lista è lunga e disarmante: morirono suicidi sia i precursori del movimento Jacques Vaché e Arthur Cravan, sia Jacques Rigaut e René Crevel, sia Jean-Pierre Duprey che aderì al movimento, per questioni anagrafiche, nell’ultimo periodo; perirono in maniera tragica Robert Desnos, deportato nel campo di concentramento di Terezín per attività legate alla resistenza, e Antonin Artaud, suicidé de la société attraverso l’esperienza della quasi decennale reclusione in manicomio.
(continua)

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