Pasquale Di Palmo
I deliri del bibliofilo

Una vita di “esercizi”

Giovanna Bemporad, poetessa schiva e appartata e grande traduttrice, si è dedicata alla stesura di un unico libro, pubblicato in diverse edizioni, sempre rimaneggiato e arricchito. In «uno strenuo corpo a corpo con la forma» come con «una materia lavorata in maniera assidua»

Ci sono autori che, per tutta la vita, si dedicano alla stesura di un unico libro. È il caso di Giovanna Bemporad, poetessa schiva e appartata, ferrarese di nascita ma vissuta per lungo tempo a Roma, autrice di alcune memorabili versioni dell’Eneide e dell’Odissea. Con un gusto e un’ispirazione di taglio classico, sostenuti dal ricorso a un melodioso endecasillabo sciolto, la poetessa si dedicò dall’«età regale» dell’adolescenza, in maniera rigorosa ed eccentrica, all’elaborazione dei suoi Esercizi, usciti originariamente in una piccola brochure edita a Venezia nel 1948 per i tipi di Urbani e Pettenello. Nel volumetto, che presentava nell’antiporta un ritratto dell’autrice effettuato da Virgilio Guidi, sono presenti liriche e traduzioni della Bemporad maturate all’epoca del suo girovagare, ebbra di un «sonno non dissimile alla morte», nella Venezia spettrale del dopoguerra, alla ricerca di una poesia ispirata ai modelli dell’antichità classica e del simbolismo ottocentesco.

La copertina dell’edizione del 1948

Il libro era originariamente diviso in due parti: nella prima figuravano le poesie scritte dall’autrice, in cui veniva sapientemente coniugato un registro alto, di ascendenza classica, al taglio visionario delle immagini; nella seconda confluivano traduzioni, che spaziavano da Omero a Saffo, da Hölderlin a Baudelaire, da Valéry a Rilke. E proprio nel felice connubio tra nitore formale e libertà espressiva, anche se ricavata da modelli classici che rinviano a topoi abusati come quelli di Eros e Thanatos, risiede il fascino di questi “esercizi”, concepiti alla stregua di uno strenuo corpo a corpo con la forma, levigata come quella di certe sculture che riescono a restituirci un’idea di levità da una materia lavorata in maniera assidua, esasperata. Non è un caso, d’altronde, che Pier Paolo Pasolini, amico e sodale in gioventù della poetessa, notasse, in una recensione apparsa nel Mattino del Popolo del 12 settembre 1948, che «ci troviamo di fronte a una poesia “diretta”, che aggredisce i suoi argomenti nominandoli: si pensi a quante volte è nominata la “morte”».

Tutti gli esemplari della tiratura, non dichiarata, sono numerati e firmati dall’autrice; il formato del libretto, che costava 350 lire e aveva il pergamino protettivo, è in-16°. Lo stesso Pasolini, nella succitata recensione, aveva peraltro stigmatizzato l’ascendenza anomala della poetessa rispetto ai modelli dichiarati dell’epoca: «Quali siano state le letture della Bemporad ci è indicato, ma molto succintamente, dalla seconda sezione di questo volume di Esercizi, dedicata alle traduzioni. Succintamente, dico, in quanto non può sentire la mancanza di certo Milton, di certi romantici inglesi, di certo Hölderlin, chi continui a legare l’immagine della Bemporad a questi testi tradotti quand’era ancora quasi un’adolescente, in pieno disordine, sempre sull’orlo della fame e addirittura del suicidio, perseguitata per le strade di Bologna, Firenze o Venezia da sguardi sgomenti per il suo aspetto e le sue vesti mostruose, fischiata dai militari o dai ragazzi».

Giovanna Bemporad in una foto giovanile

Per molti anni l’attività poetica della Bemporad sembrò destinata a languire: troppo manifesto era il divario tra il suo accento classico e visionario e le tendenze impostesi a cavallo tra gli anni Cinquanta e Sessanta, permeate di sperimentalismo o orientate verso forme scopertamente ideologiche, perché il suo dettato contrassegnato da una «felice atemporalità», come ricordava in un suo intervento Andrea Zanzotto, potesse trovare qualche eco, soprattutto sul versante critico. A sorpresa Esercizi fu poi ristampato, in forma rimaneggiata, nella prestigiosa collana “verde” di Garzanti nel 1980, con un’acuta presentazione di Giacinto Spagnoletti che rilevava come «alla Bemporad sembra indispensabile tutta la poesia, l’intero suo corpo sensibile, altrimenti lei, così anticonformista rispetto alle mode correnti, non troverebbe come far vibrare la sua voce ad altezze inconsuete». Il merito dell’edizione garzantiana, che si presentava nella consueta veste editoriale contrassegnata da rilegatura marrone e sovraccoperta verde, fu quello di far conoscere, in un’epoca ancora dominata dalle sperimentazioni avanguardistiche, una voce dal timbro inconfondibilmente composto e lieve, che si ricollega a quella linea prosodica che da Petrarca approda a Leopardi e infine a Penna. 

Nella bandella posteriore figura un bel ritratto della Bemporad effettuato da Pasolini nel 1943, al tempo della loro assidua frequentazione in Friuli, documentata in alcune pagine illuminanti da Enzo Siciliano nella sua biografia del poeta di Casarsa, uscita da Rizzoli nel 1978, dove viene rilevato il sentimento ambivalente che lo domina nei confronti di quella «creatura erratica» che «si truccava di bianco il viso per spallidirsi e rifuggiva la vita per una inesprimibile sublimazione estetica». A distanza di trent’anni da quella garzantiana, un’ulteriore versione della raccolta è apparsa nel 2010 sotto il titolo Esercizi vecchi e nuovi nella collana “Lumen Poesia” delle Edizioni Archivio Dedalus, in una tiratura, non dichiarata, di appena una cinquantina di esemplari. La differenza sostanziale rispetto alle lezioni precedenti riguarda la struttura stessa della silloge che accoglie solo la parte creativa, opportunamente ritoccata e arricchita di nuove integrazioni. Soppresso lo specimen relativo alle traduzioni, il volume, articolato in varie sezioni dai titoli epigrammatici, ha il merito di presentare un mannello di inediti, confluiti soprattutto nelle due sezioni intitolate rispettivamente Saffiche e Poesie degli anni tardi, oltre a una serie di testimonianze quanto mai preziose sull’attività della poetessa: da Pasolini a Spagnoletti, da Zanzotto a Pagliarani e Anceschi (di cui viene presentata in fac-simile una lettera all’autrice), a Raffaeli e Trevi. 

La copertina dell’edizione del 1980

Dato il carattere quasi “privato” della pubblicazione, la raccolta è stata ristampata con il medesimo titolo nel 2011, a cura di Valentina Russi, nella collana di poesia di Luca Sossella Editore, anche se in una lezione ulteriormente variata. L’edizione si segnala per l’apparato critico e per l’utile bibliografia dalla quale apprendiamo che nel 1963 presso la Tipografia La Rapida di Fermo vide la luce un’antologia di liriche scelte con il titolo generico di Poesie e traduzioni. Sarebbe oltremodo interessante effettuare un lavoro filologico che permetta di stabilire le modifiche apportate dall’autrice all’impianto dei suoi Esercizi che, nell’arco di oltre sessant’anni, hanno accompagnato, in maniera atipica rispetto al panorama poetico contemporaneo, l’esistenza della Bemporad, scomparsa il 6 gennaio 2013, a ottantacinque anni. È sintomatico d’altronde che l’attività della poetessa viri, a un certo punto, decisamente verso l’impegno traduttorio, relegando in secondo piano quello più espressamente creativo.

A tal riguardo bisogna perlomeno segnalare la pluridecennale opera di traduzione di canti e frammenti dell’Odissea, considerata il suo daimon, intrapresa quando l’autrice era poco più che adolescente. A proposito di quest’opera Giovanni Raboni ribadirà come sia «impossibile, nel suo caso, fare distinzione fra testi originali e testi derivati: negli uni e negli altri circolano la stessa ansia di assolutezza formale, la stessa vitrea incandescenza, un’unica rarefatta ossessione». La Bemporad era considerata da alcuni traduttori d’eccezione come Carlo Izzo, Leone Traverso e Mario Praz una sorta di enfant prodige, capace di misurarsi indifferentemente con le più svariate lingue (greco, latino, tedesco, inglese, francese), coniugando un’abilità tecnica impareggiabile con una resa lineare ed efficace. 

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