Pasquale Di Palmo
I deliri del bibliofilo

Quando Pound si appassionò di Bibi

La vicenda artistica ed esistenziale di Raymonde Linossier, autrice di un microromanzo dadaista (praticamente introvabile) che diede origine al “bibismo”. Nel fervore culturale di Parigi, coniò il termine “potasson”, riferito a chi aveva una visione discreta e garbata dell’esistenza

Poco conosciuta è la vicenda artistica ed esistenziale di Raymonde Linossier, autrice sui generis scomparsa il 30 gennaio del 1930, appena trentaduenne. Soprannominata «violetta nera» da Léon-Paul Fargue nel suo Piéton de Paris per l’abitudine di indossare abiti scuri, era amica del compositore Francis Poulenc. Questi era disposto a sorvolare sull’omosessualità di entrambi pur di convivere con quella donna dalle fattezze non proprio esaltanti, contrassegnate da un mento volitivo e una bocca dal disegno irregolare. Tali difetti venivano d’altronde compensati dal colore degli occhi, «del blu più puro e delicato che si potesse immaginare, come zaffiri», asserisce Adrienne Monnier. La giovane, appassionata dell’opera di Fargue, di cui collezionava libri e manoscritti, frequentava assiduamente dal 1917 la Maison des amis des livres, la libreria fondata dalla Monnier, al n. 7 di rue de l’Odéon, nel Quartiere Latino, a Parigi. Qualche anno dopo, proprio dirimpetto, al civico 12, si trasferì la Shakespeare & Company, mitica libreria internazionale gestita da Sylvia Beach, compagna della Monnier, che pubblicherà la prima edizione dell’Ulysses di Joyce il 2 febbraio 1922, giorno del quarantesimo compleanno dell’autore irlandese. La Linossier ebbe il privilegio di potersi annoverare tra le nove dattilografe che trascrissero il romanzo joyciano (una settantina di pagine del capitolo Circe). Joyce la omaggiò citando il suo patronimico in un passaggio dello stesso capitolo. 

Raymonde Linossier

Raymonde si occuperà inoltre nel primo numero di “Littérature”, uscito a marzo del 1919, della rubrica dedicata alle riviste, senza incontrare tuttavia l’approvazione di André Breton che, con Soupault e Aragon, dirigeva il periodico, contrariato per l’interpretazione data al Manifesto Dada. Si legò d’amicizia alle due libraie, coniando, con la collaborazione della stessa Monnier e di Fargue, il neologismopotasson. Si potevano definire potasson coloro che avevano una visione discreta e garbata dell’esistenza, a proposito dei quali si poteva dire «o tè un janti», frase omofonica che significa «oh, tu sei gentile». Per diventare potasson bisognava sottomettersi al giudizio delle due amiche, ma mentre la libraia era alquanto permissiva, la Linossier si dimostrava intransigente. La compagnia dei potasson era formata da un nucleo ristretto di artisti: oltre ai succitati Fargue e Poulenc figuravano Valery Larbaud, Paul Valéry, Erik Satie che compose nel 1919 l’inno ufficiale del gruppo, la Marche de Cocagne, sonata a quattro mani per pianoforte inclusa nelle Trois petites pièces montées.

La Linossier sottopose all’attenzione di Adrienne Monnier il manoscritto di un romanzo intitolato Bibi-la-Bibiste, chiedendole l’indirizzo di un tipografo che potesse stampare quel lavoro eccentrico. La libraia rimase sconcertata di fronte alla brevità del romanzo: «Era davvero una minuscola opera singolare; era composta di cinque capitoli di cui il più lungo era di dodici righe». Per caso lo sguardo si posò in un numero della rivista “Sic”, depositato in libreria in conto vendita, e videro che era stampato con una certa accuratezza presso la tipografia di Paul Birault, sita in Montparnasse. 

La scrittrice si recò in loco e si accordò con la moglie di Birault, il quale si trovava al fronte, per stampare il romanzo. La tipografia, che aveva precedentemente impresso opere importanti, tra cui i calligrammi di Apollinaire, aveva una discreta esperienza in materia. La plaquette, dedicata a Poulenc, uscì nel 1918 in 50 esemplari con formato in-8°, con il solo titolo stampato in copertina. Si avvale di 14 pagine e, invece del nome dell’autrice, figura nel frontespizio la dicitura Roman par le sœurs X… (il riferimento è alla sorella Alice che, in realtà, ebbe il mero ruolo di finanziatrice dell’impresa). I capitoli sono cinque, di un’essenzialità disarmante: InfanziaAdolescenzaAmoreDisinganno Sipario. Riportiamo integralmente il capitolo iniziale: «La sua nascita fu simile a quella degli altri bambini. Perciò la si chiamò Bibi-la-Bibiste. (Questa fu l’infanzia di Bibi-la-Bibiste)». Naturalmente, a fronte di una tiratura così bassa, possedere un esemplare dell’edizione originale è quasi impossibile. Una delle rare copie disponibili è messa in vendita da un antiquario di Rouen alla cifra di oltre duemila euro.

Ezra Pound si imbatté in un esemplare del microromanzo nella libreria di Sylvia Beach. Si appassionò talmente che riuscì nell’impresa di farne accogliere il contenuto in un numero della “Little Review”, accompagnandolo con una sua nota critica. In quel periodo era forte la temperie dadaista e lo stesso Tzara, che si era trasferito a Parigi e frequentava abitualmente gli autori che diedero vita all’esperienza surrealista, era un cliente abituale della Maison des livres. C’erano molti punti di contatto fra dadaismo e bibismo, la corrente che si impose in quell’ambito circoscritto di amici dopo la pubblicazione della plaquette. Secondo Adrienne Monnier il bibismo prediligeva «le arti incolte e quelle forme dell’arte popolare che si esprimono con fantasie in peluche, cofanetti ricoperti di conchiglie, cartoline a sorpresa, quadri di francobolli, costruzioni di turaccioli ecc.». Antonio Castronuovo, curatore della versione italiana di Bibi-la-Bibiste, apparsa con il sottotitolo di Breve romanzo dadaista (Stampa Alternativa, 2015), è riuscito nell’ardua impresa di ricavare oltre un centinaio di pagine dalla manciata di fogli originali, ricostruendo l’intricata vicenda. Sembra che il nome Bibi derivasse dal protagonista del romanzo Bubu de Montparnasse di Charles-Louis Philippe, edito nel 1901 e particolarmente apprezzato dall’autrice.

Francis Poulenc e Linossier al Luna Park

Raymonde Linossier, laureata in giurisprudenza, si interessò all’orientalismo, lavorando per il Musée Guimet che raccoglie a Parigi una collezione di arti e costumi asiatici. Redasse il capitolo Mithologie du Bouddhisme dans l’Inde per il volume Mithologie asiatique illustrédi Paul Luis Couchoud, oltre a un paio di contributi specialistici usciti postumi. Divenne una figura di rilevo del femminismo e si adoperò per difendere legalmente le prostitute. Diede inoltre vita a un fantomatico Movimento Egocentrista. Quando Raymonde morì, Poulenc, affranto, incapace di recarsi alle sue esequie, scrisse alla sorella Alice: «Piuttosto che bruciare il manoscritto delle Biches che è a casa sua, ponetelo fra le sue braccia, ve ne prego, poiché è la mia intera giovinezza che se ne va assieme a lei, tutta quell’epoca della mia vita che non appartiene che a lei soltanto». Les Biches, termine che designa le cerbiatte alludendo sottilmente al lesbismo, era un balletto cantato composto dallo stesso Poulenc e allestito all’Opéra di Montecarlo nel 1924 con i Balletti Russi e le scenografie di Marie Laurencin. Tra gli spettatori c’era Raymonde Linossier, a cui il compositore aveva regalato il manoscritto originale dell’opera, forse per sempre.

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