Pasquale Di Palmo
I deliri del bibliofilo

Il “Bizzeffe” di Soffici

Si torna a parlare di “Bïf§Zf + 18 Simultaneità e Chimismi lirici” dell’autore toscano. Fedele al dettato di Marinetti dell’“ortografia libera espressiva”, contraria all’“armonia tipografica”, è dal punto di vista collezionistico uno dei libri più preziosi del nostro Novecento

Dopo la recente riproposta in anastatica curata da Simone Pasquali in 50 esemplari numerati, edita da Biblohaus e messa in vendita al prezzo di 150 euro, si torna a parlare di Bïf§Zf + 18 Simultaneità e Chimismi liricidi Ardengo Soffici. Considerato sul versante collezionistico uno dei volumi più importanti del Novecento italiano, insieme al “libro imbullonato” di Depero, alle due litolatte di Marinetti e D’Albisola e all’editio princeps del Porto sepolto ungarettiano, la raccolta poetica di Soffici uscì presso la Libreria della Voce nel 1915 (ma Domenico Cammarota sostiene, nel contributo presente nella succitata anastatica, in maniera più che plausibile, all’inizio del 1916). Il libro, con quell’apertura di titolo impronunciabile deformata in Bizzeffe, si presenta con il formato di un album e denota la profonda attenzione riservata dal futuro autore di Kobilek alle potenzialità che il lavoro di stampa presuppone, tanto che Carlo Martini rilevava come i «tipografi impazziscono per comporre certe pagine discole di Soffici».

I precedenti sono illustri: Mallarmé che con Un coup de dés jamais n’abolira le hasard inaugura la stagione delle sperimentazioni linguistiche e, naturalmente, l’amico Apollinaire che dal 1913 va componendo i suoi Calligrammes (raccolti in volume, lo ricordiamo, soltanto nel 1918). Basta d’altronde leggere uno dei manifesti marinettiani per ritrovare appieno lo spirito futurista che circola nel libro di Soffici: «La mia rivoluzione è diretta contro la così detta armonia tipografica della pagina, che è contraria al flusso e riflusso, ai sobbalzi e agli scoppi dello stile che scorre nella pagina stessa. Noi useremo perciò in una medesima pagina, tre o quattro colori diversi d’inchiostro, e anche 20 caratteri tipografici diversi, se occorra». 

La copertina (nell’immagine accanto) presenta un collage dello stesso autore in cui, tra le varie scritte assemblate in una sorta di campionario tipografico che sembra affidato al caso, vengono offerti con colori variati sia il nome dell’autore sia il titolo smembrato in tre parti: Bïf§Zf + 18 con grandi caratteri evidenziati in rosso; simultaneità e nella riga sottostante, con caratteri più piccoli, in colore celeste; Chimismi lirici, in basso a destra, con caratteri ancora differenti, sempre di colore celeste. Il cognome dell’autore, senza patronimico, campeggia in nero nell’angolo di sinistra sopra una corona irregolare di stelle, segnalato da una mano azzurrognola che ricorda le indicazioni dei cartelli stradali. Sono presenti in tutti gli esemplari interventi manuali in copertina, perlopiù ad acquarello, ma anche a tempera. Le quotazioni di una copia in buono stato, considerata la rarità del libro, equiparabile a un’opera d’arte, possono anche raggiungere i 30 mila euro. Il frontespizio presenta uno schema più essenziale e geometrico, anche se la suddivisione del titolo in tre parti rimane inalterata (il termineSimultaneità qui appare con l’iniziale in maiuscolo) e servirà come modello per la copertina della seconda edizione vallecchiana. Il volume ha un formato in-folio e consta di 68 pagine numerate; come si ricava dal colophon, è stampato in 300 esemplari nella tipografia fiorentina di Attilio Vallecchi che, di lì a qualche anno, diverrà a tutti gli effetti editore, trovando in Soffici uno dei suoi più validi collaboratori. Nella pagina che segue il frontespizio compare il ritratto fotografico dell’autore.

La raccolta è divisa in due lunghe sezioni: Simultaneità e Chimismi lirici (un nutrito gruppo di liriche apparve sulle riviste «La Voce» e «Lacerba» tra il 1914 e il 1915). Entrambe le sezioni risentono di uno stile sperimentale, anche se la seconda presenta una maggiore aderenza al modello futurista rappresentato da tavole parolibere e da parole in libertà. Claudia Salaris afferma che, con questo libro, «Soffici offre uno dei più alti saggi di poesia futurista tra versi liberi ispirati al simultaneismo e un paroliberismo dato come alchimia lirica che giunge alla distruzione del senso logico, con interessantissimi interventi tipografici, quasi dadaisti, e calligrammi». Non si dimentichi poi il ricorso al plurilinguismo. 

A proposito dell’enigmatico titolo, lo stesso Soffici (nell’immagine accanto) precisa in Fine di un mondo (Vallecchi, 1955): «Il titolo generale di esso mi era stato suggerito da una di quelle bislacche combinazioni di caratteri e segni tipografici che risultano talvolta dalla loro disordinata discesa dal “magazzino” della linotype sul piombo di una riga, per un incantamento o un guasto momentaneo della macchina, e la cui suggestiva bizzarria mi aveva allettato, come rispondente in qualche modo alla fantastica singolarità del testo». Ma, al di là dell’apparente casualità descritta dall’autore, il fascino del titolo risiede proprio nella sua incomprensibilità e nell’impronunciabilità di quel Bïf§Zf che ben collimano con i propositi marinettiani «d’imprimere alle parole (già libere, dinamiche e siluranti) tutte le velocità» al fine di ottenere un’ortografia libera espressiva. È sintomatico che, in calce alla raccolta di Soffici, si trovi una tavola parolibera intitolata Tipografia in cui vengono associati alla rinfusa i più disparati caratteri tipografici la cui apparente disposizione casuale è interrotta dall’inserimento di versi liberi che sciabolano sulla pagina come altrettante rasoiate.

Nel 1919 la raccolta viene ristampata con un formato più piccolo (in-16°) e con l’aggiunta di Giro e Buffet di stazione. Cambia anche la copertina, più lineare e con meno variazioni cromatiche, anche se rimangono le tonalità azzurro chiare e rosse del progetto originale. L’editore è Vallecchi che nello stesso anno ha cominciato a presentare i libri che stampa (il nuovo indirizzo di Via Ricasoli 8 è meticolosamente riportato in copertina) non più come semplice tipografo. Ricordiamo che è Vallecchi a stampare le riviste «La Voce» e «Lacerba» e che Soffici rimarrà fedele alla casa editrice fiorentina anche quando alla morte di Attilio subentrerà il figlio Enrico alla guida della stessa. Da non dimenticare che fu lo stesso Soffici a ideare sia la testata sia il famoso marchio della «Voce» che riproduce l’uomo che zappa, immagine ricavata da uno dei rilievi che ornano l’imbasamento del Campanile di Giotto.  

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