Lidia Lombardi
Itinerari per un giorno di festa

Il tesoro dei sarti banchieri

Si disvelano i Marmi Torlonia. 92 sculture della maggiore raccolta di arte antica in mano privata, ora esposte a Roma in una mostra che unisce bellezza a perfetta leggibilità. A Villa Caffarelli sul colle Campidoglio fino al 29 giugno

È un paradosso che il disvelamento, a Roma (e al mondo), di opere d’arte raccontate e non più viste da ottant’anni sia avvenuto in una grigia e piovosa giornata funestata dall’incubo del coronavirus. Disvelamento, la mostra I Marmi Torlonia appena aperta al pubblico sul colle Campidoglio, nella inedita sede di un’ala restaurata di Villa Caffarelli. Perché sì, la collezione di statuaria greca e romana avviata a inizio Ottocento dal principe Giovanni Torlonia e proseguita nel secolo dal figlio Alessandro, è stata nei decenni scorsi una sorta di araba fenice, di leggenda metropolitana: capolavori celati e avvolti dal sospetto di alienazione nonostante il vincolo; ammassati in sotterranei, secondo la denuncia di Antonio Cederna; in cerca altresì di uno spazio definitivo; oggetto di contese ereditarie; confluiti in una Fondazione che il principe Alessandro, nipote del grande collezionista, creò nel 2016, un anno prima che la morte lo cogliesse nel suo palazzo di via della Conciliazione.

Sono 620 le sculture della raccolta, la maggiore di arte antica in mano privata. Nel 1875 – ormai Roma era Capitale – trovarono sistemazione in un museo, con sede alla Lungara alle spalle di Palazzo Corsini, fondato da Alessandro Torlonia senior che fin dal 1859 lo aveva concepito. Settantasette sale nelle quali le opere erano dislocate per temi, gli animali, le Muse, i sarcofagi, i busti-ritratto. Nel 1940 il Museo Torlonia chiuse i battenti, mentre l’Europa era spazzata dalla follia nazista e i venti di guerra alitavano anche in Italia. Adesso 92 di quelle opere si mostrano agli occhi del mondo a Villa Caffarelli (fino al 29 giugno, poi dovrebbero trasferirsi temporaneamente all’estero, per analoghe esposizioni ma l’epidemia non dà certezze). Sono uno squarcio nel passato – quello lontano della classicità, quello più vicino del collezionismo romano dal Seicento all’Ottocento – ma anche un ponte verso il futuro. Lo sottolinea Salvatore Settis, prestigioso curatore della mostra insieme con Carlo Gasparri, perché – come da protocollo firmato nel 2016 dal principe Alessandro e dal Mibact, nella persona del ministro Dario Franceschini, il Museo Torlonia rinascerà a Roma. La sede resta da individuare, in accordo tra la Fondazione Torlonia e lo Stato. Franceschini ha però evocato un luogo preciso, Palazzo Rivaldi, edificio Ipab di fronte al Colosseo che attende di essere restaurato. I soldi, 40 milioni, sono già pronti. 

E saranno pronti i visitatori, mentre l’epidemia avrà rallentato la morsa e il mondo ritrovato il sorriso da troppo ormai nascosto dietro una mascherina. «Da cinque anni stiamo lavorando a questa mostra, è stata rimandata per il lockdown, riprogrammata per ottobre. Pur nella paura della seconda ondata del virus, non abbiamo voluto rinunciare ancora», dice Rosanna Cappelli, ad di Electa cui si deve l’intera organizzazione e promozione di questi Marmi Torlonia ai Musei Capitolini. Si aggira orgogliosa nelle sale di Villa Caffarelli a fianco di Settis, mentre nell’anteprima stampa visitatori contingentati sala per sala sostano silenziosi davanti ai pezzi esposti. Discreto e fiero del risultato, il curatore è generoso di spiegazioni. Ci ha colpito, nel sontuoso sarcofago del centurione Lucius Pullius Peregrinus – 240-250 dopo Cristo, rinvenuto tra la via Appia e la via Latina – il fatto che il volto della sposa del protagonista non sia scolpito, al contrario del corpo. È stato abraso per una damnatio memoriae? «No – ci spiega Settis – non è stato deliberatamente finito perché il centurione morì a 29 anni, mentre la sposa era in vita».

Ci troviamo nella seconda sezione delle cinque che compongono la mostra, quella relativa agli scavi che i Torlonia effettuarono nell’Ottocento in molte loro proprietà, a Villa dei Quintili sull’Appia, a Porto, nelle tenute della Caffarella, di Roma Vecchia, del Quadraro, di Anzio. Ma l’intera rassegna è concepita come un viaggio a ritroso nel tempo, che segue passo passo il formarsi della collezione. Si parte dunque da una sorta di compedio del Museo Torlonia alla Lungara: nella prima sala la schiera dei ritratti di imperatori e imperatrici – tra cui Livia, raffigurata come una divinità, Adriano, Antonino Pio, Marco Aurelio, un icastico Caracalla – fa corona all’unico bronzo, la statua di Germanico ed è anticipata dal carismatico, delicatissimo Ritratto di Fanciulla, che proviene da Vulci e data al 50-40 avanti Cristo. Poi, le tappe che quel museo hanno preparato. Gli scavi dell’Ottocento, che fruttarono tra l’altro un Bassorilievo con la veduta del Portus Augusti ritrovato a Porto nel 1864, una vivida scena con la nave appena attraccata nella quale il recente restauro – realizzato dalla Fondazione grazie anche al main sponsor Bulgari – ha rinvenuto tracce di colore, come il rosso di una fiammante pira che domina il paesaggio. Ma il tesoro di scultura antica venne costituito anche da acquisizioni di intere collezioni. Di queste danno conto le successive sezioni: i Torlonia nel 1866 comprarono Villa Albani e tutte le opere d’arte che essa conteneva riunite nel Settecento, oltre a rilevare le sculture appartenute a Bartolomeo Cavaceppi, abile restauratore-scultore romano con studio in via del Babuino; poi fu inglobata la raccolta dei Giustiniani, creata un secolo prima; infine le collezioni del XV e XVI secolo, dei cardinali Cesi e Cesarini, dei Savelli, di Pio da Carpi.

Oggetti raffinati o roboanti, come la Tazza Cesi detta poi Vaso Torlonia, enorme cratere che intorno al bordo esterno raffigura in bassorilievo un simposio bacchico; o come un Nilo rinvenuto a Villa Barberini e portato a Villa Albani che incuriosisce per una aguzza testa di coccodrillo uscita dalla veste accanto al piede sinistro, come se fosse la trasformazione di quello destro. In questa “collezione delle collezioni” emerge anche la storia dei restauratori, tra i quali il Bernini, intervenuto a innestare sul corpo di un Caprone del primo secolo dopo Cristo la testa dell’animale da lui scolpita. Carismatica è l’Hestia Giustiniani, del secondo secolo dopo Cristo, copia di una divinità in peplo di sei secoli prima. Un pezzo giunto miracolosamente intatto, a differenza dei tanti spezzati in decine di frammenti e disinvoltamente ricostruiti: ne dà conto per tutti, nell’ultima sezione, un Ercole che è senza datazione perché ricomposto da statue antiche e con integrazioni seicentesche. Di fronte ha un libro prezioso: è il catalogo del Museo Torlonia, avveniristicamente redatto con fototipie da Pietro Ercole Visconti e dal nipote Carlo Ludovico: otto edizioni, anche in francese e inglese, tra il 1876 al 1885.

Il dulcis in fundo dell’esposizione è l’Esedra dei Musei Capitolini, dominata dal più celebre dei monumenti equestri in bronzo, il Marco Aurelio. Qui la Collezione Torlonia si salda, grazie alla Sovrintendenza Capitolina, alle prime raccolte di pezzi antichi che i Papi avviarono nel Quattrocento. Avvenne con Sisto IV, che cominciò a rivalutare i reperti abbandonati in Laterano tra le rovine del Medioevo. Quei bronzi, con magnanimità, volle donarli al popolo romano: ecco allora, all’ombra del Marco Aurelio, la Lupa che allatta Romolo e Remo, la gigantesca testa di Costantino, un giovane atleta. Un consiglio, infine: raggiungete l’ala restituita al pubblico di Villa Caffarelli nel 150° di Roma Capitale non dalla Cordonata del Campidoglio, ma dalla salita a gradoni del monte Tarpeo, che parte da piazza della Consolazione e si inerpica verso la via del Tempio di Giove. Qui lo sguardo spazia sul Foro e sul Palatino, e quasi tocca archi, templi, podii, cupole di chiese, fino ai santi, laggiù, della basilica del Laterano. Il resto della Roma degli antichi e dei sarti-banchieri Torlonia ve lo dirà la mostra, che unisce bellezza (esaltata anche nell’allestimento dello Studio David Chipperfield) a perfetta leggibilità, sia nelle didascalie alle opere che nell’ineccepibile piccola guida gratuita, assaggio del bel catalogo Electa. E dimenticatevi così, per due ore, delle pandemiche angosce. 

Nelle foto, sculture della Collezione Torlonia. Dall’alto: l’Hestia Giustiniani; la Fanciulla da Vulci; Statua di caprone in riposo © FondazioneTorlonia PH Lorenzo De Masi

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