Lidia Lombardi
Itinerari per un giorno di festa

Un faro tra le vette

A Rocca Calascio, il castello nell’Aquilano considerato da National Geographic tra i 15 più belli del mondo. A volerlo fu Ruggero II d’Altavilla, fondatore del Regno di Sicilia, per la strategica posizione di avvistamento. Uno sfondo ideale per molti set cinematografici

National Geographic lo ha catalogato tra i quindici più bei castelli del mondo (dal Krak dei Cavalieri in Siria a Neuschwanstein in Baviera e in Italia soltanto Castel del Monte). Forse per una particolarità, che è almeno quella che ci ha colpito di più: si staglia contro il cielo azzurro senza avere null’altro intorno, non bosco, non giardino, non prato. Rocca Calascio, nell’Aquilano più solitario, è insomma come una teofania da conquistare, salendo l’erta che percorrevano i pastori. Ma questo, che è uno dei simboli d’Abruzzo – anche perché porta nel borgo sottostante le stigmate dei terremoti – appaia la ruvidezza della sua contenuta mole con il segno di un Cinquecento raffinato: perché alle falde dello sperone sul quale sorge, e appunto sulla strada bianca della quale è ultima tappa, ecco una chiesa paradigma dell’architettura rinascimentale: è Santa Maria della Pietà, tempietto ottagonale eretto là dove, vuole leggenda, imperversavano i banditi. Il timpano sopra la porta d’ingresso, circondata nei tre lati da un fregio continuo, e il candido colore replicato all’interno la dicono lunga sull’origine nobiliare di questo luogo.

Già, perché Rocca Calascio, tra i castelli più alti del Bel Paese, comincia la sua storia con Ruggero II d’Altavilla, dopo la conquista normanna del 1140, che le assegnò funzione di avvistamento. E infatti il sovrano normanno che fondò il Regno di Sicilia unendo tutto il centro-sud, permetteva così ai suoi soldati di osservare il territorio spaziando sulle montagne appenniniche a 360 gradi e fino al mare Adriatico. Un faro tra le vette, insomma, Rocca Calascio, capace di comunicare di giorno riflettendo il sole negli specchi, di notte accendendo fuochi tra le mura del suo perimetro. E di incutere rispetto, alta e assertiva nei suoi bianchi conci squadrati. La memoria documentaria la segnala nel 1239, poi comincia l’avvicendamento dei proprietari: entrò nella Baronia dei Carapelle con le località di Castelvecchio, Calvisio, Santo Stefano in Sessanio e nei secoli il feudo passò dai Colonna ai Medici, ai Borbone tra gli altri. Quando a metà del Quattrocento re Ferdinando concesse il mastio ad Antonio Todeschini Piccolomini, l’edificio si ingrandì: ecco sorgere tutt’intorno una cintura muraria costituita da ciottoli, ecco le quattro torri scarpate verso la valle, ecco il ponte levatoio ora sostituito da alti scalini, ecco i merli. Intanto sotto la sua ombra cresceva il borgo. E s’animava il villaggio. Tappa d’obbligo della transumanza, forse anche per il carisma spirituale. Non solo la chiesa con il cupolino sulla bianca lucerna e il dipinto della Vergine Miracolosa da venerare. Ma la vista su tutte le vette, nel cuore di quello che ora è il Parco Nazionale del Gran Sasso e dei Monti della Laga: e scorgi infatti il Corno Grande, il Prena, il Camicia, la piana di Campo Imperatore. E poi la Maiella, il gruppo del Velino-Sirente, l’altopiano di Navelli, i Monti Marsicani, la Conca Peligna.

Un terremoto nel 1703 spopolò il borgo rovinando parte della cinta muraria. E se fino agli anni Novanta del Novecento una casa da rimettere in piedi poteva essere acquistata con un milione di lire, ora il restauro della Rocca e il ripopolamento del villaggio con punti di ristoro rispettosi della tradizione e capaci di reagire al disastroso sisma del 2009 calamita di nuovo visitatori e amanti del cammino lento, che si mettono sul circuito del Tratturo Magno.

L’altra suggestione è quella del cinema. Rocca Calascio ha fatto da sfondo a pellicole cult. Non stupisce che abbia ospitato il set “medievale” de Il nome della rosa, nel 1986. Ma nel 1982 era stata scelta per Amici miei atto II e tre anni dopo il regista Richard Donne l’aveva voluta per il suo fantasy ambientato nel XIII secolo Lady Hawke: qui il rifugio del monaco Imperius e la spettacolare caduta da una delle quattro torri della protagonista, Michelle Pfeiffer. Per la tv prestò gli esterni alla Piovra 7 e allo sceneggiato Padre Pio. Ma il primo cineasta ad accendere i riflettori fu, nel 1968, Romano Scavolini: Nel silenzio dei sassi, titolo del suo documentario in bianco e nero, restaurato dalla Cineteca di Bologna. Davvero, lo slogan più esatto per Rocca Calascio.

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