Lidia Lombardi
Itinerari per un giorno di festa

Suoni dell’anima

A Trevi l’originale percorso della “Via dei Canti” che conduce il viandante in diversi punti del paese dove sono collacate tre sculture musicali che suonano al passare di una persona e che raggiungono l’exploit se sollecitate, ciascuna, secondo un diverso elemento: l’acqua, l’aria, la voce

Ci sono suoni nuovi nel borgo di Trevi nel Lazio, abbarbicato a ottocento metri, su un colle nel cuore del Parco Regionale dei Simbruini. E non sono il gorgoglio dell’Aniene che scorre a valle o il sibilo del vento che cala imperioso dalla cima del Viglio. Non sono i passi sull’acciottolato, nelle viuzze oscurate da un arco, da un ballatoio. Sono i suoni della Via dei Canti, come si chiama il percorso attraverso tre sculture musicali che modula il paese, primo realizzato tra i vincitori del progetto “Arte sui cammini” voluto dalla Regione Lazio per coniugare paesaggio e creatività, natura e arte, veduta e meditazione.

Trevi ha una storia che comincia con il popolo degli Equi e prosegue con la conquista romana testimoniata dalla cinta muraria e dall’assetto urbanistico che la divide in cardo e decumano. Nel Medioevo scampa le invasioni barbariche ma subisce le ingerenze dei monaci benedettini di Subiaco, poi dei principi Caetani che lasciano il loro segno con un castello sull’acropoli, ora ben restaurato. Né evita, nel Novecento, il rastrellamento dei tedeschi. Ma è alle epoche più lontane che si ispira la Via dei Canti: le tre stazioni, ovvero le tre istallazioni, replicano il nome stesso del paese, Trevi, da trivium, incrocio di tre strade. Insieme assorbono una valenza simbolica: la Trinità cristiana, il numero esoterico comune anche ad altre fedi religiose, il mini-percorso di una parte del Cammino di San Benedetto – Subiaco, Jenne e appunto Trevi – all’interno di quello che si estende per trecento chilometri.

Vive e “parlanti”, le tre sculture. Capaci – secondo l’ideazione di Laura Bianchini, natia di Trevi, compositrice uscita dal prestigioso conservatorio “A. Casella” dell’Aquila, esperta di sistemi elettronici per la musica, qui applicati – di adattarsi (un termine più specifico di interagire) alla presenza umana. E infatti le sculture “adattative” di Licia Galizia – l’altra artista del progetto formatasi anche lei all’Aquila, Accademia di Belle Arti – si “svegliano” al passare anche di una sola persona. Comincia lieve il suono, e la musica sale fino a un exploit se la forma artistica è sollecitata dai viandanti che usano un elemento in ciascuna delle tre installazioni: l’acqua, l’aria, la voce. (Nella foto le due artiste autrici del progetto).

Prima tappa nella piazzetta di Largo Aniene. Si chiama Foce la scultura, radicata nel convesso muro di pietra che fa da sfondo allo slargo. Elementi triangolari di acciaio nei toni del celeste e del verde acqua e prolungati in piccoli archi di inox sono onde e getti che si trasmettono la perfomance musicale attivata anche solo sostando davanti alla scultura, attenta così a ogni fiato di presenza umana. Ma la polifonia vera e propria si eleva se qualcuno sposta la leva della fontana integrata all’opera, come se essa disseti orecchio e sentimenti.

Dalla piena luce della piazzetta una scalinatella conduce alla seconda stazione, tra piazza degli Angeli e via Civita: sotto un arco in pietra a tutto sesto, là dove impera il buio, s’incrociano al pari di rami esili tubi di rame brunito. Li sovrastano tre lastre colorate in tono. Hanno la forma di Aquiloni e danno il titolo alla installazione. Ma in paese chiamano così anche il vento che arriva da nord-est e s’infila turbinoso tra i vicoli. Pure qui la musica è cangiante: quando ci si avvicina all’arco e si fanno oscillare in alto le braccia, il saluto del passante genera dinamismo sonoro. “Il materiale della scultura è sostanza della musica, dà colore al timbro”, spiegano Bianchini e Galizia. E, come cambiano le stagioni e le ere si avvicendano, tutto è in divenire anche nella Via dei Canti perché le sculture, permanenti, muteranno colore nel tempo, ossidandosi, invecchiando, come gli abitanti.

Un contrasto lucido-opaco che s’impenna nella terza scultura, Terra e cielo (nella foto sopra). E infatti in uno slargo in cima al borgo, piazza Capitano Massimi – piccolo belvedere sulla vallata animato da un ippocastano e un tiglio ora verdissimi – l’installazione affianca canne di brillante acciaio inox (reinterpretazioni dell’organo barocco che tiene campo nella vicina Collegiata dell’Assunta) a esili faglie in cortex che si sollevano da terra, quasi prosecuzione delle radici di quei gentili alberi. La scultura permette alla voce di esercitarsi. Si canta in due delle canne, si parla, si soffia e la musica che ne esce rimodula espressioni e pensieri che il panorama solitario e immenso favorisce. Terra e cielo, radici culturali e spirituali, suoni dell’anima all’ombra del maniero medievale. Musica e silenzio.

Facebooktwitterlinkedin