Lidia Lombardi
Itinerari per un giorno di festa

Monti ieri e oggi

Nell’intrico di vicoli, saliscendi, case ammucchiate del Rione Primo, il più antico di Roma, che possiede tre dei sette Colli, due delle quattro basiliche patriarcali e tre dei sei Fori Imperiali. Con la guida sicura del “Dizionario” di Willy Pocino, che ci racconta quel che c’è, ma anche che cosa non c’è più

Il Colosseo che si scorge all’improvviso, scendendo da Colle Oppio, capace di suscitare stordimento da Sindrome di Stendhal; la facciata cesellata di Santa Maria Maggiore, che pare un enorme “soprammobile” in un salotto principesco; il mosaico di Santa Pudenziana, il più vetusto in una chiesa romana; i Giardini e la severa Manica Lunga del Quirinale; l’“anfiteatro” dei Mercati Traianei: sono “cartoline” del rione Monti, che vanta tanti di quei record da poter essere a ragione meta privilegiata per passeggiate romane, specie ora che i tramonti tardano e la luce del pomeriggio si fa più vivida. Monti, poi, «fatto salvo il Palatino, corrisponde (e ancor più corrispondeva, prima della decurtazione territoriale che ha dato vita a due nuovi rioni postpapali) al nucleo più antico della città: quello che da circa tremila anni è Roma, ininterrottamente, e quindi anche il più ricco di memorie», nota il decano degli storici dell’antichità Romolo Augusto Staccioli nella presentazione del Dizionario del più antico rione di Roma di Willy Pocino, poligrafo e romanista, riproposto con aggiornamenti da Edilazio, che proprio con questa monumentale opera inaugurò nel 1998 le sue pubblicazioni.

Sarà lui il nostro Virgilio a spasso nell’intrico di Monti, contrassegnato nelle targhe toponomastiche con il blasonato titolo di R. I, Rione Primo, e popolato dai “monticiani”, fieri della propria identità quanto i trasteverini, anzi addirittura depositari di un dialetto un po’ differente da quello degli altri. Ma anche il più importante («il suo caporione – nota Pocino – ricopriva di diritto la carica di priore e partecipava con i tre conservatori all’amministrazione della città»). E il più esteso, pur se dimezzato per far posto, come anticipa Staccioli nelle pagine introduttive, a Esquilino e Castro Pretorio. Infine, il più sventrato, per la creazione tra Otto e Novecento, delle vie Cavour e dei Fori Imperiali e per la costruzione del Vittoriano. Ritroviamo tutto questo nelle voci in ordine alfabetico del libro. L’autore fu affascinato – lui monticiano di Monte San Giovanni Campano – dai «vicoletti, saliscendi, stradette tortuose e piccole case ammucchiate» come nei borghi ciociari, ma anche dal fatto che Monti possiede tre dei sette Colli (Esquilino, Quirinale e Viminale), due delle quattro basiliche patriarcali (San Giovanni in Laterano e Santa Maria Maggiore, nella foto), tre dei sei Fori Imperiali (Augusto, Nerva e Traiano).

Il bello è che questo Dizionario parla non solo di quanto si può ancora vedere, ma anche di ciò che non esiste più. C’è ancora, è vero, la casa di Gianlorenzo Bernini, al civico 24 di via Liberiana, ma tanto rimaneggiata rispetto al 1606, allorché fu costruita, che i piani sono completamente sfalsati rispetto alla strada. Mentre non esiste più la casa di Michelangelo, in via dei Fornari 221, e quella del suo massimo allievo, Giulio Romano, che si trovava in Macel de’ Corvi, zona di macellerie o beccherie della famiglia Corvi o Corvini articolata in piazza, via e vicolo demoliti nel 1932 per far spazio all’Altare della Patria. Scomparse, in via del Quirinale (il cosiddetto Monte Cavallo per la statua dei Dioscuri) le chiese di Sant’Agata de Caballo e di Sant’Andrea de Caballo. Stessa sorte ha subito, presso il Laterano, la contrada della Lupa, così chiamata probabilmente per l’insegna di un’osteria e dove alcuni studiosi ritengono avvenissero le esecuzioni capitali. Ma oltre a ricostruire quel che non c’è, bisogna osservare bene quanto resta. Torniamo al Quirinale. La potenza dell’Obelisco contornato dai Dioscuri – erano stati rinvenuti nelle Terme di Costantino e fatti collocare al centro della piazza da papa Sisto V – attira lo sguardo di chi passa. Ma quanti si soffermano sull’iscrizione incisa nel basamento marmoreo lato via XXIV Maggio? In distici latini è l’obelisco stesso che racconta le sue avventure, cominciate ai tempi di Alessandro Magno: «Trattomi un giorno dalle cave d’Egitto, la potenza romana mi aveva trasportato sulle vie del mare perché, ammirevole monumento del sepolcro di Augusto, mi ergessi là dove il Tevere attraversava il bosco sacro dei Cesari…». E la narrazione finisce con una sviolinatura a favore di papa Pio VI che sminuisce il carisma del Macedone.

Tanto spiegano anche i toponimi. Via Scellerata così detta perché teatro di delitti. Via Leonina per ricordare papa Leone VIII, al secolo Leone Proto, sul soglio di Pietro dal 963 al 965, piuttosto che per sculture di leoni. E la malfamata Suburra, frequentata fin dai tempi antichi da prostitute e delinquenti? Deriva il nome da “sub urbe”, a indicare la depressione tra Quirinale, Viminale, Cispio e Oppio; oppure dalla deformazione di saburra, zavorra, e cioè sabbia, che affiorava nel vallone. Via dei Serpenti rammenta invece una delle più straordinarie scoperte archeologiche, avvenuta nel 1506 presso le attigue Terme di Traiano: quella del gruppo scultoreo del Laocoonte, appunto avvolto con i figli dalle spire di un gigantesco rettile, nucleo fondativo dei Musei Vaticani. L’itinerario è punteggiato di misteri e leggende. Come quello del mitreo di via Giovanni Lanza. Vi si accede attraverso una botola all’altezza del civico 128 e si scendono due piani di scala. Era annesso a una casa romana del III-IV secolo, distrutta durante lavori di sterro eseguiti tra il 1883 e il 1886. Vicine ed enigmatiche, due torri, quella dei Capocci, dietro l’abside di San Martino ai Monti, e quella dei Graziani, inglobata nell’angolo di un edificio di via dei Quattro Cantoni 45. Ed ecco la tradizione di San Pietro in Vincoli, la chiesa nell’omonima piazza, nota nel mondo perché ospita il Mosè di Michelangelo. I vincoli sono le catene che legarono i polsi dell’apostolo quand’era prigioniero in Gerusalemme. Lì le ritrovò Eudossia, imperatrice d’Oriente, e le donò alla figlia Eudossia Minore, sovrana d’Occidente. Si dice che papa Leone Magno avvicinasse le catene dell’Est a quelle dell’Ovest, ovvero i vincoli imposti a Pietro nel carcere Mamertino. I due monconi si sarebbero miracolosamente congiunti.

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