Lidia Lombardi
Itinerari per un giorno di festa

La Valle dell’Inferno adesso ha l’Aura

La nascita di un centro commerciale in un angolo della Capitale dal fascino naturale ma fino a poco tempo fa condannato all’abbandono, ha permesso il recupero dell’antica Fornace Veschi e la riqualificazione dell’intera zona

Questa è la storia di un intervento urbanistico, nel cuore della Capitale, segnato da infinite polemiche e mostratosi infine vincente. Ed è un itinerario che all’ombra di un centro commerciale appena inaugurato restituisce ai romani uno spicchio di città singolare, tra natura, scorci universalmente noti e vicende sociali ed economiche della prima metà del Novecento. Parliamo della cosiddetta Valle dell’Inferno, una depressione tra la Pineta Sacchetti, il Vaticano e il quartiere Trionfale rimasta com’è sempre stata, cespugli di ginestre e canneti, mentre tutto attorno occhieggiano i palazzoni di edilizia popolare di Valle Aurelia e i fitti edifici residenziali di via Baldo degli Ubaldi. In questo avvallamento, ai piedi di Monte Ciocci ormai percorribile a piedi e in bicicletta, c’è un “focus” che calamita lo sguardo: una ciminiera in laterizi, un alto comignolo che pareva in precario equilibrio fino a qualche mese fa: è il “camino” della Fornace Veschi, l’unica rimasta in piedi delle 17 che a partire dagli anni Venti sbuffavano fumo nella vallata, chiamata appunto per questo, dicono i più, dell’Inferno.

Lo stabilimento di produzione di mattoni è un esempio di archeologia industriale, tutelato dal Beni Culturali. Attorno a esso si svilupparono casolari e baracche per le famiglie degli operai. Con un intrico tale di rapporti di lavoro e amicali che il borgo di Valle Aurelia si sviluppò come comunità esemplarmente cementata. Grazie anche al legame virtuoso tra dipendenti e “padrone”, quel Riccardo Veschi che sapeva trattare con i sottoposti. Un “illuminato” nella Roma sabauda dove si imponeva la speculazione edilizia e s’ingrossava il generone. Tanto che, nel Ventennio, egli diede rifugio nella sua villa a intellettuali antifascisti e tutta la zona fu politicamente caratterizzata dalla opposizione al Regime. Insomma, attorno alla fornace si generò una sorta di laboratorio sociale: una comune proletaria che non rivendicava ai proprietari il dislivello di classe. Certo, il lavoro dei fornaciari era duro, si fabbricavano a mani nude milioni di mattoni con l’argilla estratta dalle vicine cave dei Monti di Creta, peraltro in funzione da secoli. E però si sviluppò qui una sintonia tale tra padroni e salariati che Lenin citò il “modello Valle Aurelia” definendola “Piccola Russia”.

Di tutto questo capitolo del mondo operaio romano si è persa memoria nella seconda metà dei Novecento. Chiusa negli anni Cinquanta la fornace, svuotato piano piano il borgo. Peggio, in malora l’edificio centrale, sventrati quelli bassi e poveri tutt’intorno. Via nell’81 le baracche, ovviamente e finalmente. E però la valle divenne impraticabile, desolata, isolata, preda dei rovi e delle discariche abusive, recinta con reti da pollaio, fuori dallo sguardo se non dall’alto di Monte Ciocci, dove peraltro Ettore Scola girò nel 1976 Brutti sporchi e cattivi con il derelitto capofamiglia Mazzatella interpretato da Nino Manfredi, un’eco dei baraccati di una volta in quello che nella finzione cinematografica era chiamato “borghetto dei sorci”.

A risvegliare il ricordo, a resuscitare il genius loci è arrivata però da due settimane l’inaugurazione del centro commerciale citato in apertura: sì, perché i partner nazionali e internazionali che hanno realizzato “Aura” (così si chiama il mall) si sono anche occupati di restaurare la fornace e di modellare l’area tutt’intorno con misura e invenzioni architettoniche gradevoli: il corpo principale di altezza contenuta, con ingressi sui quattro lati – in corrispondenza delle strade principali e della stazione metro – parcheggio interrato, vialetti illuminati, scalinate esterne in travertino, che si trasformato in gradoni per due cavee, una attorno alla fornace e l’altra davanti alla storica parrocchia della zona, San Giuseppe Cottolengo (nel 1905 don Guanella aveva portato il proprio apostolato tra i fornaciari). Insomma, paradossalmente a testimoniare la presenza nel secolo scorso di un’enclave proletaria è stato un intervento urbanistico di netto segno consumistico 2.0. E però “Aura”, progettato da Design International e costruito in sei anni, ha creato una “piazza” – tra gli altri esercizi anche un caffè-libreria Mondadori – dove c’era l’abbandono. E, chissà?, ha spuntato le critiche di comitati di quartiere fermi nel chiedere in alternativa la nascita di un centro culturale pubblico, che forse mai si sarebbe realizzato.

A cingere il corpo circolare della Fornace Veschi – l’interno è ancora oggetto di restauro, ma sono stati risanati l’esterno, il tetto di tegole, le travi a vista nel soffitto e la ciminiera che ora svetta in tutta sicurezza – ci sono pannelli con fotografie degli Anni Venti: ecco gli uomini a torso nudo accanto ai forni e alle pile di mattoni, eccoli in gruppo con le famiglie, ecco le madri e i loro piccoli stesi sui prati per lo svago di qualche ora. Ed ecco il manifestino pubblicitario dell’impresa. Recita: “Ditta Cristoforo Veschi d Riccardo Veschi. Produzione di ogni qualità di laterizi… Consegna immediata a pie’ d’opera”.

Ps. La storia della Valle dell’Inferno è ancora più antica. Dovrebbe il nome alla furia dei Lanzichenecchi che nel 1527 misero a ferro e fuoco Roma e che qui sbaragliarono ferocemente le truppe pontificie. Il Cupolone che si vede dalle terrazze di “Aura” non è mai apparso tanto vicino alla luciferina vallata della mattanza.

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