Itinerari per un giorno di festa
La Roma degli Oratori
C’è quello di Propaganda Fide disegnato da Borromini, quello del Gonfalone, vicino a via Giulia, e quello voluto dal gesuita Caravita dove pregavano, come ci racconta il Belli, «li fratelli Mantelloni». Tutti scrigni che custodiscono meraviglie. E nel periodo dell’Avvento ospitano spesso concerti…
C’è un raccolto luogo nella Capitale che ne racconta un articolatissimo pezzo di storia: non solo degli artisti che la plasmarono, ma del Vaticano, delle famiglie nobiliari e di quelle religiose. È la Cappella dei Magi, si trova all’interno del Palazzo di Propaganda Fide, l’edificio che si apre su Piazza di Spagna. Sembra una grande chiesa, invece è un piccolo spazio dilatato dalla sapienza dell’architetto che lo disegnò, Francesco Borromini. Nacque per essere un oratorio, uno dei tanti luoghi privati, dedicati alla preghiera, che le congregazioni religiose o le famiglie blasonate capitoline pretendevano all’interno del loro palazzi. Nel periodo dell’Avvento ospitano spesso concerti natalizi. E il viaggio che proponiamo oggi è proprio alla ricerca di questi scrigni preziosi, tanto piccoli quanto ricolmi di dipinti, sculture, arredi ricercati, marmi, ori, alabastro. Perché la devozione, nella Roma di Papa Re, nella pomposa città barocca, non poteva non nutrirsi di fasto.

Il nome alla cappella viene dal dipinto sull’altare maggiore: un’Adorazione del Bambino da parte dei re venuti dall’Est e dall’Africa, simbolo appunto della diffusione del Cristianesimo presso culture diverse. Il quadro è firmato da Ludovico Gimignani e fu terminato nel 1634. Sopra l’altare, un altro dipinto ad hoc, L’Euntes docete di Lazzaro Baldi, con Cristo che invia gli apostoli sulle vie della Terra. L’altare è il climax di un ambiente sobrio, con pareti di intonaco grigio e le testine di angelo incastonate nei capitelli, come spesso in Borromini. Che si prese qui una rivincita contro il rivale Bernini. Perché pochi anni prima l’estroverso Gianlorenzo, incaricato da Urbano VIII di ampliare Palazzo Ferratini, aveva realizzato anche la cappella, a pianta ovale. Ma nel 1647 un altro papa, Innocenzo X, incaricò il Borromini di rifare tutto.

Musica pure all’oratorio del Caravita (accanto a piazza Sant’Ignazio), dedicato a Francesco Saverio, apostolo delle Indie. Lo volle nel Seicento un gesuita, Pietro Caravita appunto. Nell’austera navata unica restano frammenti di affreschi di Sebastiano Conca e di Baldassare Peruzzi. Ora ci si fanno concerti: il prossimo, sabato 17 dicembre alle 20,30, vedrà cantare il Roma Rainbow Choir. Ma nei secoli passati lì dentro si sentivano soltanto preghiere. Come il 19 dicembre 1932 racconta ridendo il Belli. Che dipinge «li fratelli Mantelloni», missionari dal lungo mantello nero, a fustigarsi con tanta foga da colpire il religioso seduto accanto. Così le adunate di penitenza finivano in rissa. Ecco come.
Ma cchi? cquelli che vvanno ar Caravita
la sera, e cce se sfrusteno er furello?
Sò ttutti galantommini, fratello;
ggente, te lo dich’io, de bbona vita.
Cuarcuno, si ttu vvòi, porta er cortello:
a cquarcuno je piasce l’acquavita:
cuarchidunantro è un po’ llongo de dita;
ma un vizzio, ggià sse sa, bbisogna avello.
Ma ppoi tiengheno ttutti er mantellone,
e ccor Cristo e le torce cuann’è ffesta
accompaggneno er frate a le missione.
E ’ggni sera e per acqua, e ppe ttempesta,
vanno pe Rroma cantanno orazzione
coll’occhi bbassi e ssenza ggnente in testa.


