Lidia Lombardi
Itinerari per un giorno di festa

Faccia a faccia sui ponteggi

Visita a Palazzo Venezia. Non solo per la X Biennale dell’Antiquariato in corso in questi giorni, ma anche per ammirare da vicino il restauro degli affreschi nella Sala delle Fatiche d’Ercole. Alla scoperta del loro autore…

Palazzo Venezia continua ad aprire le porte alla gente. Non solo nell’estate appena conclusa ha spalancato il giardino interno, di giorno per chi volesse godere il fresco sulle panchine restaurate (ce n’è pure una targata “Benito”), di sera per spettacoli. Infatti in questo fine settimana, in occasione della X Biennale dell’Antiquariato, permette di varcare il portone dell’accesso centrale, quello su piazza Venezia e sotto il “balcone del Duce”. Un andito importante, perché è firmato da Giuliano da Maiano, indicato tra i costruttori del quattrocentesco edificio. Il prossimo 8 ottobre, poi, Palazzo Venezia darà libero accesso (dalle 10 alle 13) anche a un cantiere che opera nella Sala delle Fatiche d’Ercole, attigua alla mussoliniana Sala del Mappamondo. Si restaura il soffitto affrescato e il pubblico può salire sulle impalcature in un faccia a faccia con i dipinti da risanare come fu con la Cappella Sistina e, prima ancora, per volere dell’allora sovrintendente archeologico Adriano La Regina, con la Colonna Antonina.

sala-ercole-1È un modo per accedere i riflettori su un edificio che stratifica avvenimenti: dalla presenza del committente Pietro Barbo, il cardinale veneziano divenuto papa col nome di Paolo II, a quella dell’ambasciata della Repubblica di Venezia, cui si sostituirono gli austriaci ai quali Napoleone aveva dovuto concedere il palazzo dopo il Trattato di Campoformio. Poi la restituzione all’Italia nel 1916 e infine la presa di possesso da parte del dittatore fascista, un accidente a causa del quale l’edificio e il suo contenuto hanno subito dalla nascita della Repubblica una sorta di damnatio memoriae. Invece Palazzo Venezia, costruito a partire dal 1455, è un polo culturale della città, e bene sta facendo la Sovrintendente al Polo Museale del Lazio Edith Gabrielli a portarlo alla ribalta. Il suo Museo Nazionale, collocato nell’appartamento Cybo, fu aperto, con una collezione di arte medievale e rinascimentale, nel 1921.

Restaurato da Federico Hermanin (che peraltro riunificò la Sala del Mappamondo che l’Ambasciata austriaca aveva diviso con un tramezzo), il Museo dal 1929 al 1943 condivise gli spazi con il governo fascista (fu durante questo periodo che il Duce volle il rifacimento del pavimento della “sua” sala inserendo i simboli della dittatura, in primis i Fasci). Ora nell’appartamento Barbo vengono allestite mostre temporanee, mentre nel Cybo è esposta la collezione permanente che si è man mano “gonfiata” di oggetti, dalle porcellane cinesi, francesi, napoletane a oreficerie liturgiche e fino a un lapidarium collocato nella loggia del cortile interno. Infine, dagli anni Novanta, ospita la Biblioteca Nazionale di Archeologia e di Storia dell’Arte, spostata dal vicino Palazzo del Collegio Romano.
sala-ercole-2Ma torniamo alla visita al cantiere di restauro. I ponteggi sono stati montati a luglio. E i restauratori lavoreranno per tutto questo mese. Stanno disinfestando la parte lignea del soffitto, consolidando l’intonaco e la pellicola pittorica, integrando le lacune dell’affresco con la tecnica del tratteggiato, per lasciare in evidenza l’intervento attuale. Che è finanziato con 150 mila euro dalla “Silvano Toti”, la Fondazione che è solita sostenere la cultura come ha già fatto a Villa Borghese, dove ha realizzato il Globe Theatre. «Inizialmente la Toti voleva destinare l’erogazione liberale alla sala del Mappamondo – spiega Sonia Martone, che dirige il Museo Nazionale di Palazzo Venezia. Ma quel denaro non sarebbe bastato per i 350 metri quadrati dell’ambiente. Che poi è pittoricamente meno interessante». Infatti il salone dal quale Mussolini si affacciava per arringare la folla possiede affreschi decorativi. Quello con le Fatiche d’Ercole mostra invece un ciclo di pitture con le imprese del forzuto eroe. Opera di chi? Qui sta il punto e il fascino di questo restauro. Perché l’autore non è stato mai identificato, anche se riconducibile alla cerchia del Mantegna, attivo a Roma intorno al 1470, l’anno al quale risalgono i documenti di pagamento per la realizzazione degli affreschi, commissionati da Pietro Barbo per il proprio appartamento.

Divenuto papa Paolo II, nella Sala d’Ercole si riponevano gli indumenti pontificali, per questo l’ambiente è anche chiamato “Sala dei paramenti”. E non ci si stupisca che in una stanza tanto “sacra” fosse immortalato un eroe pagano. Quello di Ercole è uno dei cicli mitologici che per primo subì un processo di cristianizzazione, anche perché il protagonista è simbolo della vittoria del bene sul male. «Un primo restauro venne effettuato nel 1928, dodici anni dopo che il Palazzo era passato dagli Austriaci allo Stato Italiano – dice il direttore dei lavori Paolo Castellani. Un altro, molto pesante, negli anni 70». Fu allora che l’azzurro degli sfondi delle Fatiche, alternato a finestre trompe l’oeil alle quali si affacciano Amorini, divenne il cupo blu Prussia. «Adesso invece abbiamo riportato alla luce il pigmento originario – dice Castellani – l’iridescente azzurrite». Riemergono così tonalità “venete”, come veneziano era appunto il cardinale Barbo. «Non credo alla mano del padovano Mantegna in questi pregevoli affreschi – anticipa Edith Gabrielli. Ma il restauro ci darà risposte sulla pittura a Roma nel ‘400, allorché la città era meta di artisti giunti da tutta Italia ed Europa».

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