Lidia Lombardi
La Domenica: itinerari per un giorno di festa

Nel nome di Campana

Viaggio a Marradi, paese natale del poeta dei “Canti orfici”, luogo di pellegrinaggio per gli appassionati. Dal 9 luglio la terza edizione del Festival a lui dedicato che quest’anno si svolge, tra incontri con autori e performance artistiche, intorno al tema del “confine”

Il Mugello con le sue alture e i suoi boschi e una valle nella quale precipita il fiume Lamone. Un gruppo di case coi tetti di tegole, strette tra di loro e “spezzate” dal corso d’acqua. È Marradi, in provincia di Firenze, ma sul versante romagnolo dell’Appennino e quasi “apparentata” alla regione limitrofa per la strada che conduce a Faenza e fino al mare di Ravenna. Una posto con la storia usuale di tanti campanili della zona: nel suo passato Etruschi, Galli, Romani, Ghibellini coi conti Guidi e Guelfi quando la fazione vinse a Firenze; e l’abbazia dell’Ordine Vallombrosiano e l’eremo fondato da San Pier Damiani nel Mille e appartenuto ai Camaldolesi. Un borgo tipico del Bel Paese, ma uno dei tanti, che i turisti per lo più ignorano.

campanaSenonché i riflettori su Marradi si sono accesi nel 2002, quando alla Mostra del Cinema di Venezia fu proiettato il film Un viaggio chiamato amore, di Michele Placido. Non era ambientato a Marradi ma raccontava la storia del più famoso cittadino del paese toscano: Dino Campana. E del poeta folle che ha legato la sua fama di grande del Novecento a una sola opera, I canti orfici, scavava la vita e soprattutto l’amore con una delle donne fatali del secolo breve, Sibilla Aleramo. Nella pellicola lui era Stefano Accorsi, lei Laura Morante. Una vicenda breve (due anni, con il Natale del 1916 trascorso Marradi) e travolgente, intensa e dissociata. Che tornò a incendiare l’immaginario collettivo di chi aveva rapidamente studiato Campana sul manuale del liceo ma poi se ne era dimenticato.

Da allora Marradi è diventata luogo di “pellegrinaggio” dei fans del poeta. E luogo problematico, perché i più sensibili capiscono quando il pur nobile borgo dell’Appennino, una comunità piccola, che non tocca le quattromila anime, che vive delle abitudini stagionali tra le quali la raccolta delle prelibate castagne, possa essere stata stretta a quel Dino geniale e anticonvenzionale, dilaniato nei sentimenti ma non nella ispirazione dalla propria mente instabile. Certo, ora a Marradi troviamo i negozi con i gadget, con le magliette che recano il nome del “folle”. Ma c’è forte l’orgoglio di aver visto crescere qui l’intellettuale. E allora da tre anni si svolge un festival nel suo nome Marradi Campana Infesta. L’edizione attuale si svolgerà il 9 luglio, con anticipazioni nei giorni precedenti e code in quelli seguenti. Il format resta lo stesso: si individua un tema (nel 2016 il confine inteso anche come limite verso l’oltre, l’uscita, dunque lo “sconfine”) e si costruiscono attorno a esso incontri con autori (come è avvenuto con il matematico Piergiorgio Odifreddi o lo psicanalista Matteo De Simone) e performance artistiche, quest’anno animate da Stefano Scheda, marradese d’origine e professore all’Accademia di Belle Arti di Bologna, e dall’artista Serena Piccinini, dal designer Francesco Benedetti, dalla performer Monna Lisa Tina.

Gli organizzatori ci tengono a un punto fermo: il Festival è non solo per i visitatori esterni ma per chi abita a Marradi, per quel microcosmo architettonico e sociale che si sta monitorando proprio per capire quanto la manifestazione in nome del poeta lo stia modificando. Si progetta anche di realizzare un parco letterario in questa che viene definita la “Recanati del Mugello”, sottolineando l’equazione del legame di Leopardi e del tormentato Dino con le rispettive terre natie.

marradiMa che cosa c’è ancora di Campana a Marradi? Non la casa natale, situata nel quartiere detto “L’inferno” e distrutta durante la guerra, che fece peraltro di Marradi una città martire attraversata dalla linea gotica soggetta alla rappresaglia nazista che trucidò quarantadue civili. C’è invece la casa dove abitò, in via Pescetti, al di là del corso tortuoso del Lamone. E opera il Centro di Studi Campaniani, è diventato anche casa editrice. Ha avviato le pubblicazioni con la ristampa anastatica dell’edizione del 1914 dei Canti orfici, ha diffuso il manoscritto originario dei versi che il poeta intitolò Il più lungo giorno; promuove convegni e possiede un piccolo museo di cimeli campaniani come l’atto di nascita, le foto di scuola, la prima edizione dei Canti (stampata in mille copie, ciascuna delle quali vale oggi circa cinquemila euro), la moneta da venti centesimi in circolazione tra il 1918 e il 1922 con il volto di Sibilla Aleramo, alcune lettere dei due amanti, la documentazione dell’acquisto del pianoforte del poeta, avvenuta nel 1947 da parte del fratello a favore del padre di un noto jazzista, Pape Gurioli, il ritratto a olio di Dino dipinto nel 1913 da Giovanni Costetti.

«Campana era un uomo coltissimo, a dispetto o forse grazie alla sua instabilità mentale», dice Rodolfo Ridolfi, al vertice del Centro di Studi e già sindaco di Marradi. E ne ripercorre la formazione una biografia, Campana dal vivo, che traccia l’infanzia passata tra i monti, gli studi compiuti al liceo Torricelli di Faenza e poi alla facoltà di chimica di Bologna, la scrittura visionaria, il legame tumultuoso con Aleramo, la morte nel 1932, a 47 anni, nel manicomio di Castelpulci.

Il cantautore Massimo Bubola intitolò un suo brano Dino Campana. Vi narra di un poeta «che non voleva la pace e non voleva la guerra, solo gettare quel ponte tra l’infinito e la terra…». Scrive il letterato in uno dei suoi Canti: «Il tempo miserabile consumi / Me, la mia gioia e tutta la speranza / Venga la morte pallida e mi dica / Pàrtiti figlio…».

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