Lidia Lombardi
La Domenica: itinerari per un giorno di festa

La palestra di Sgarbi

Visita nelle Marche, un pozzo artistico senza fondo, meta raccomandata al turista ondivago. Specialmente ora, in occasione dell’Anno Giubilare e delle mostre che lo celebrano: ad Ascoli Piceno con un omaggio a San Francesco e a Osimo dove è esposta la collezione privata del critico d’arte

Ascoli Piceno ha una delle più belle piazze d’Italia, tra medioevo e rinascimento. E Osimo, su un colle dal quale la vista spazia al Conero, è la quintessenza di un borgo marchigiano nell’armonia dei suoi edifici, tutti in cotto, e nella proporzione degli spazi. Le due città distano poco più di cento chilometri, ma le accomunano due delle quattro mostre che la terra di Giacomo Leopardi ha dedicato al Giubileo della Misericordia. Altre due esposizioni verranno inaugurate tra estate e autunno a Loreto e Senigallia, a completare l’omaggio all’Anno Santo di un territorio insieme ricco di bellezza artistica e paesaggistica e capace di emulsionarla per l’economia del turismo.

ascoli picenoMa davvero Ascoli, la provincia più meridionale delle Marche, e forse un po’ in disparte appunto per motivi geografici, merita una visita. Perché, al di là dei singoli monumenti, affascina per il suo carattere. Un aspetto severo, con scorci punteggiati dalle decine di torri innalzate dal Trecento dai notabili cittadini. E una unitarietà urbanistica data dall’uso compatto della tipica pietra locale, il travertino. Che i secoli hanno “brunito”, omologando chiese e porte, palazzi civici e abitazioni residenziali. Dicevamo della sua piazza-simbolo. In realtà sono due, appaiate nel cuore del centro storico. Piazza Arringo (dalle arringhe che qui si pronunciavano) colpisce anche per la sua forma, un rettangolo lungo, nel quale la prospettiva delle “quinte”, con il Palazzo Comunale del XII secolo e quello vescovile di tre secoli successivo, è alleggerita dalle due fontane ellittiche. Il Battistero medievale è un ottagono ornato da una loggia con tre arcatelle per lato. Mentre palazzo Panichi irrompe in tanta austerità con la facciata settecentesca e le finestre barocche. L’attigua Piazza del Popolo è raccolta e silenziosa. Il pavimento di travertino, capace di riflettere la luce del cielo e di notte quella dei lampioni, dà l’idea di un salone nel quale le logge, le scalinate, le torri, i portici, le colonne romane sono pari a blasonati, giganteschi mobili. Costituiti, nel suo lato corto, dagli absidi della chiesa di San Francesco con i due campanili poligonali e la cupola: un colpo d’occhio pittoresco grazie alla danza delle parti architettoniche rientranti e aggettanti, che rilancia il gioco di ombra e luce, di chiaro e scuro. Sui lati lunghi palazzetti rinascimentali, tutti con portici e finestre coronate da merli. Dietro c’è il disegno di Pietro da Carona, che rettificò la piazza in precedenza occupata da casupole e botteghe.

Ascoli Piceno, che mantiene fieramente nel nome l’etnia originaria, poi conquistata dai Romani, nel 1215 fu meta di San Francesco. Nel territorio il Poverello predicò, osannato dai fedeli, e istituì conventi maschili e femminili obbedienti alla sua Regola. Prima della fine del secolo un seguace ascolano del Patrono d’Italia divenne Papa col nome di Niccolò IV, sul soglio pontificio dal 1288 al 1292. Ecco perché nella zona fiorì un’intensa iconografia francescana. Ed ecco perché, omaggio al Giubileo e a papa Francesco, nella Sala della Vittoria della Pinacoteca Civica (soffitto a capriate e dipinti pregevoli) è stata inaugurata la mostra “Francesco nell’arte. Da Cimabue a Caravaggio” che resterà allestita fino al 30 giugno prossimo. Espone immagini del santo d’Assisi, il quale si paragonava a una “gallina dall’aspetto dimesso”, dovute tra gli altri ad Annibale Carracci e a Pietro da Cortona. Il curatore, Stefano Papetti, propone anche un importante confronto tra il San Francesco di Caravaggio – individuato come autentico a Carpineto Romano e ottenuto in prestito dal Fondo Edifici di Culto – e la copia che per lungo periodo era stata attribuita al pittore maledetto e che invece era di un suo discepolo.

sgarbiNella suggestiva Osimo sono aperte invece le stanze di Palazzo Campana, candido emblema della città, in origine proprietà della nobile famiglia omonima, ora museo civico e biblioteca comunale fiera degli oltre 15 mila volumi di carattere storico, letterario, filosofico, giuridico, medico. Vi si ospita fino al 30 ottobre per così dire il cuore e la mente di Vittorio Sgarbi. Perché del critico e storico dell’arte è esposta parte della collezione propria e dei genitori (ora organizzata in Fondazione, la Cavallini-Sgarbi) radunata in anni di ottimi acquisti, «i proventi ben spesi – dice lo studioso – delle mie trasmissioni televisive». Lotto Artemisia Guercino – Le stanze segrete di Vittorio Sgarbi il titolo della rassegna che espone 120 opere a materializzare la palestra per l’anima del collezionista. Una raccolta che include Cola d’Amatrice, il Sassoferrato, Lorenzo Lotto, Guerrieri da Fossombrone, Simone Cantarini, tanto attivi nelle Marche, e come in un’antologia della bellezza italiana si espande nelle scuole regionali veneta (Simone Brentana, tra gli altri), emiliano-romagnola (Guercino, Guido Cagnacci, Nicola Pisano), toscana (c’è pure un Giovanni Duprè), romana (con Baciccio, Artemisia Gentileschi, il Cavalier d’Arpino) e napoletana (Jusepe de Ribera, Gaetano de Simone…). Osserva Sgarbi che una collezione si manifesta come «una battuta di caccia, una forma di gioco, anche d’azzardo, una sfida, un corteggiamento, una conquista» dove «non si trova quello che si cerca, si cerca quello che si trova». Le Marche dai mille campanili sono per chi si dispone così, e anche per il turista ondivago e curioso, un pozzo senza fondo.

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