Lidia Lombardi
La Domenica: itinerari per un giorno di festa

Piramide Cestia, non solo clacson

I romani, per lo più, si limitano a girarle intorno in macchina nel caos di piazzale Ostiense. Ma visitare il monumento funebre di Caio Cestio, dopo il restauro finanziato dal giapponese Yuzo Yagi, è un vero piacere

Ha ritrovato il candore, che spicca tra il verde tutto intorno, specie i cipressi del Cimitero Acattolico che le fa da sfondo. E speriamo che, grazie al restauro, la Piramide Cestia torni ad attrarre non soltanto i turisti stranieri, ma gli stessi romani, che la snobbano un po’, limitandosi a girarle attorno in automobile, nel caos che incombe su piazzale Ostiense. Perché è unica, la Piramide. Nel senso letterale. Ovvero delle tante che furono costruite a Roma dopo la conquista dell’Egitto – per una moda esotica che replicava quella della Grecia seguita alla colonizzazione dell’Egeo – è la sola rimasta in piedi. Una fortuna, dovuta al fatto di venire inglobata dopo quasi tre secoli dalla sua costruzione nelle Mura Aureliane, che le fecero così da contrafforte.

CestiaQuesti primi anni del Duemila, poi, hanno fruttato al monumento funebre di Caio Cestio, un’altra “unicità”: è stata restaurata, ritrovando tra l’altro il bianco del marmo di Carrara di cui è coperta, da un mecenate giapponese, il quale nulla ha voluto in cambio dei due milioni di euro messi a disposizione della Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Roma. Nulla, neanche la certificazione per la detrazione fiscale della quale tutte le imprese godono. Un benefattore del Bel Paese venuto dall’altra parte del mondo. Che ama vestirsi di bianco e che adora l’Italia, alla quale deve la sua fortuna. È il giapponese Yuzo Yagi, che dal ’71 ha fondato a Milano la “Yagi Tsusho” per esportare a Tokyo prestigiosi marchi della moda italiana (da Armani a Moncler) e che ha voluto dimostrare così la sua riconoscenza allo Stivale. Il signor Yagi, hanno raccontato l’archeologa Rita Paris e l’architetto Maria Grazia Filetici, si è accontentato di una piccola targa all’ingresso del monumento che ricorda il suo gesto liberale. Soltanto su una cosa il curioso, concreto e appassionato uomo d’affari ha vigilato: sull’efficienza e sulla snellezza delle pratiche per l’intero intervento. E le ha trovate. Infatti il primo lotto, finanziato con un milione di euro, è cominciato nel novembre 2012 ed è terminato nell’aprile 2014. Nello stesso mese, resosi conto della professionalità con la quale era condotta l’operazione, ha accordato un secondo finanziamento di un milione. E il restauro si è concluso in complessivi 327 giorni, meno di quei 330 impiegati dagli antichi romani per costruirla, la Piramide.

Ma qual è la sua vicenda, che Yagi conosce a menadito e molti abitanti della Capitale un po’ meno? È legata, si diceva, al fascino che l’Egitto, con le sua religione e i suoi simboli, suscitò nella Roma augustea. Al punto che Caio Cestio, politico e membro del collegio sacerdotale degli epuloni – come ricordano le due scritte identiche nei lati del monumento sulla via Ostiense e sul Cimitero acattolico – dispose nel suo testamento la sepoltura in una piramide, esigendo che la costruzione avvenisse rapidamente subito dopo la sua dipartita. La tomba fu realizzata tra il 18 e il 12 avanti Cristo, ovvero tra l’anno di promulgazione della legge contro l’ostentazione del lusso che impedì di porre all’interno della cella alcuni pregiati arazzi e quello della morte di Agrippa, genero dell’imperatore, menzionato tra gli eredi di Caio Cestio. Ne venne fuori un sepolcro simbolico fin nelle dimensioni: base quadrata di 29,50 metri di lato e 36,40 metri di altezza, pari rispettivamente a 100 e 125 piedi. La cella funeraria, con volta a botte e grande appena l’un per cento del volume del monumento, fu serrata dopo l’incinerazione, secondo il costume egizio, sicché gli omaggi avvenivano nel recinto esterno, un’area di forma quadrata.

Cestia 2Nel medioevo la prima violazione della tomba, attraverso un cunicolo scavato sul lato settentrionale, determinò la perdita dell’urna con le ceneri di Cestio e di parti degli affreschi decorativi, realizzati nel Terzo Stile Pompeiano. Restano alcuni pannelli, che le luci sistemate all’interno rimandano suggestivamente: su uno sfondo bianco ninfe e vasi lustrali, sulla volta quattro Vittorie alate. Al centro doveva esserci la figura del titolare della sepoltura in apoteosi. Ma dopo la spoliazione resta un buco scuro, come restano alle pareti alcuni graffiti con nomi di persona vergati da vandali. Fuori, tra i cipressi, i pini, le rose canine, e i gerani rossi e bianchi che evocano i colori della bandiera nipponica, la forma semplice, geometrica del sepolcro, realizzato tutto a Roma e non trasportato dall’Egitto, come qualcuno potrebbe credere, in opus caementicium rivestito da lastre di marmo lunense. E altre due iscrizioni, che ricordano il restauro voluto da papa Alessandro VII Chigi nel 1659. Stanziò 5 mila scudi e, rispettoso del senso del monumento, non volle che venisse trasformato in chiesa, nonostante il Borromini fosse pronto a realizzare adeguato ingresso. Invece nella cella si tennero riunioni esoteriche, che calamitarono anche Ugo Foscolo. E fuori ci si esercitava per i tiri al cannone o, nell’ultima guerra, si procedette a fucilazioni.

I segni dei proiettili restano. Ma il restauro ha ovviato a un altro intervento degli anni Sessanta, improvvido per l’uso di acidi che poi hanno favorito l’attecchimento di microrganismi, vegetazione e smog. E ha usato (e userà) tecnologie innovative ed esemplari per intervenire su altri monumenti: stop, proprio come li impieghiamo in casa ma lunghi sette metri per consolidare, droni per ispezionare la superficie, free climbers per prelevare provini del marmo e analizzarne al microscopio lo stato. Sicché la Piramide continuerà a essere monitorata, a evitare il ritorno al degrado. Ora visitarla è una delizia (il 2° e 4° sabato del mese alle ore 11, prenotazione obbligatoria 06/39967700). Ma il Comune dovrebbe smetterla di considerarla uno spartitraffico proibendo il traffico veicolare. L’hanno chiesto al sindaco Marino il soprintendente Gasperetti insieme con le restauratrici e pare che il primo cittadino sia disposto a predisporre la modifica alla viabilità.

Una zona di rispetto renderebbe giustizia anche all’altro suggestivo posto che sorge accanto alla Piramide, anch’esso luogo di sepoltura, da visitare come si sfoglia un’antologia. Il Cimitero Acattolico di Roma: un dedalo tra alberi di alto fusto, siepi di bosso e splendidi monumenti funebri, dall’aura solenne e raccolta insieme, capace di suscitare emozioni per le tombe che ospita: tra le tante, di Antonio Gramsci e di Dario Bellezza, di Carlo Emilio Gadda e di Arnoldo Foà, di Miriam Mafai, di Gualtiero Jacopetti, del poeta della Beat Generation Gregory Corso. E, andando indietro nel tempo, dei due romantici inglesi Percy Bysshe Shelley e di John Keats, quest’ultimo «il giovane poeta il cui nome è scritto sull’acqua» recita una piccola lapide di marmo. Ed è davvero singolare che, a pochi metri di distanza, il marmo di Roma Imperiale rechi inciso il nome di Caio Cestio, del quale, come disciolti nell’acqua, non ci restano né il volto né le ceneri. Nonostante l’imponenza del suo bianco sepolcro.

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