Lidia Lombardi
La Domenica: itinerari per un giorno di festa

Venezia salvata

Palazzetto Bru Zane ha ritrovato colori, stabilità e visitatori da quando, grazie a Nicole Bru, è diventato sede di una Fondazione dedicata allo studio e alla diffusione della musica francese dell’800. Molte le ragioni e le occasioni per visitarlo…

Venezia ha perle in ogni campiello, in ogni cortile. Talvolta sono scrigni sprangati al pubblico, stanze scolorite dal tempo, scavate dall’acqua. Perché la manutenzione di tutto è impossibile se affidata solo alla mano pubblica. Invece è toccata la fortuna di trovare una salvatrice, una mecenate, a un piccolo edificio nel sestriere di San Polo, quasi dirimpetto alla fantasmatica Scuola Grande di San Giovanni e alla sua Cappella della Croce. È Palazzetto Bru Zane, che deve metà del nome a Nicole Bru, medico, moglie di un industriale farmaceutico che nel 2006 lo ha acquistato e restaurato per farne la sede di una Fondazione dedicata allo studio e alla diffusione della musica francese dell’Ottocento. L’altra metà del nome lo deve invece alla famiglia degli Zane, che – dicono i documenti – intorno al 1250 fece costruire un imponente palazzo circondato da parecchio terreno.

Bru 1Nel 1665, poi, Domenico Zane, ambasciatore della Serenissima in Austria e Spagna, fa ricostruire la facciata a Baldassarre Longhena e lascia tutti i beni al nipote Marino, bibliofilo e collezionista di porcellane. Il quale proprio in fondo al giardino fa costruire un casino di delizie, nel quale al salone per feste e convivi, si uniscono la biblioteca e stanze per altri diletti e, chissà?, per gli amori. Antonio Gaspari, allievo del Longhena, piega a tale uso il progetto architettonico: il palazzetto si spalanca agli ospiti con tre entrate, una sul rio, le altre tra gli alberi e le siepi della proprietà. E usa mosaici rococò di marmi gialli, verdi e rossi per il pavimento dell’atrio. Da qui s’inerpica una graziosa scala, e lo sguardo s’inebria negli affreschi di Sebastiano Ricci che la decorano fino al soffitto del secondo piano, nel quale è un volitivo Tempo che rapisce la Verità dentro una cornice di stucchi e festoni, mentre nei sottoscala danzano medaglioni di rami e fiori.

Bru 2Tutto questo era in abbandono dagli anni Quaranta. E ha ritrovato colori, stabilità e visitatori dal 2009, quando Palazzetto Bru Zane ha riaperto i battenti. «Abbiamo cominciato – spiega Florence Alibert, bionda e giovane general manager della Fondazione – dalle fondamenta immerse nel rio, che dovevano essere fortificate. Poi siamo passati al tetto, al restauro degli affreschi, alla creazione della sala prove e dei camerini per gli artisti. Perché, tra concerti e conferenze ospitiamo una cinquantina di eventi l’anno. Che raddoppiano se aggiungiamo le produzioni di serate musicali e opere per altre sedi veneziane ed europee e per il Parigi Festival. Ma qui la musica, oltre a farla, si studia e si registra. Abbiamo tre ricercatori interni che scavano nelle partiture e nei titoli che vanno dalla Rivoluzione francese alla Prima guerra mondiale. Le fonti sono gli archivi di istituti come Villa Medici a Roma o il Centro Boccherini di Lucca, ma anche i fondi privati dei discendenti degli autori. Tutto poi si riversa nelle nostre pubblicazioni, nelle info on line, nei concerti e nelle registrazioni. Insomma – sorride – qui si fanno tutti i mestieri». E si fanno con passione e rigore, grazie a un budget tutto privato: 3/3,5 milioni di euro l’anno da parte della Fondazione, che ha ragione sociale tutta italiana, al quale si aggiungono i proventi della bigliettazione e della vendita di libri e cd.

Bru 3L’occasione per visitare il Palazzetto si fa ghiotta in queste settimane. È stato appena inaugurato il Festival dedicato a George Oslow, autore prolifico di quartetti, quintetti, sonate e definito il “Beethoven francese” per aver traghettato la musica d’Oltralpe dal classicismo al romanticismo e per aver scritto soprattutto partiture da camera in un periodo nel quale impazzava l’opera. La rassegna durerà fino al 21 maggio, affiancando alle note di Onslow – che Berlioz considerava «uno dei più grandi armonisti dell’epoca» – quelle di Chopin, Listz, Schubert, Saint-Saens. Martedì prossimo, alle 20, il Quator Ardeo e Yann Dubost al contrabbasso eseguiranno il lavoro che diede la fama all’autore di Clermond Ferrand, nell’Alvernia (dove predilesse di vivere e dove morì nel 1853). È il Quintetto del proiettile (Quintet de la balle), l’unica sua partitura a essere individuata con un nome fatto di parole e non di numeri. Onslow la scrisse durante la convalescenza da una grave ferita subita durante una battuta di caccia al cinghiale. Comincia con sedici note sparate come colpi di carabina da tutti e cinque gli strumenti. Deflagreranno nel salone del Palazzetto una volta adibito alle danze, che risplende nel soffitto affrescato dal Ricci, Ercole tra la Gloria e la Virtù. Lo contornano particolarissime conchiglie di stucco di due artisti trentini che racchiudono leggiadri amorini. Nicole Brue, la signora di questo Centre de musique romantique française realizzato in memoria del marito che come lei tanto amava Venezia, ascolterà affacciata alla balaustra di legno intarsiato, presumibilmente opera del Brustolon, che circonda in alto la sala, su un ballatoio dove nel Settecento si sistemava l’orchestra. E al pubblico parrà di stare nel salotto musicale di allora.

(foto © Michele Crosera e Orch. Chemollo)

 

 

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