Lidia Lombardi
La Domenica: itinerari per un giorno di festa

Brindisi a Poplicola

Tour eno-archeologico nell'Agro Pontino, in un angolo di Lazio poco conosciuto dove sapienza agricola, antichità e imprenditoria si uniscono. A Le Ferriere, nella tenuta di Casale del Giglio, tra le meraviglie conservate nel museo di Satricum, una delle più fiorenti città preromane...

I filari di vite a perdita d’occhio, nell’Agro Pontino, là dove visse e subì il martirio Maria Goretti, lasciano libero un quadrato: niente piante qui, né in estate rosseggiare di grappoli. Perché in questo spiazzo di terra si scava per trovare le vestigia di un popolo fiero, i Volsci, insediato tra i Colli Albani e il mare di Nettuno. Siamo a Le Ferriere. Meglio, nella tenuta di Casale del Giglio, acquistata nel 1967 dalla famiglia Santarelli, che in questo modo passò dall’imbottigliamento alla produzione di vino, dopo aver cominciato ad Amatrice e poi a Roma con la vendita, giusto cent’anni fa.

È l’inizio di un tour che accomuna storia antica e cultura contadina, bonifica dell’Agro di mussoliniana memoria ed exploit imprenditoriale. Insomma, non solo botti e barrique ma il museo archeologico di Satricum, che, con il sostegno dei Santarelli alla Soprintendenza Archeologica del Lazio, ha riadattato la vecchia fonderia di Le Ferriere per l’esposizione di 750 reperti scavati negli ultimi 36 anni da atenei olandesi. Proprio ieri, 31 gennaio, nella capitale olandese, un focus dal titolo Latium sotto la lente di ingrandimento ha riacceso i riflettori su Satricum. Tra i relatori, tutti Ricercatori e Docenti dell’Università di Amsterdam, l’archeologa Marijke Gnade, che ha condotto gli scavi a Le Ferriere dal 2003 al 2013, guidando team di giovani studiosi dei Paesi Bassi, incantati dalle rovine, dal sole e dal vino italiani, come testimonia un video proiettato nel museo di Le Ferriere. A suggellare la liaison tra sapienza agricola, imprenditoria contemporanea e antichità, Antonio Santarelli, ad di Casale del Giglio, ha condotto il dibattito Vino con retrogusto archeologico.

SatricumMa che cosa era Satricum? Una delle più fiorenti città preromane, calamita di genti soprattutto per il suo santuario, dedicato a Mater Matuta, dea protettrice della nascita e della fertilità. Un culto cominciato nel IX secolo avanti Cristo attorno a una capanna e cresciuto fino all’edificazione di un tempio monumentale, che racchiudeva tre edifici consecutivi, tutti decorati a colori. Dall’alto della collina dominava un’area sacra estesa per quaranta ettari, organizzati in rete viaria. Passarono di qui Tarquinio il Superbo, mente della congiura delle città latine contro Roma, e Coriolano, che da Anzio si mosse per riconquistare il suo status nell’Urbs. La decadenza cominciò con l’assegnazione delle terre ai romani: l’ultima notizia viene da Livio, che racconta di un fulmine che nel 207 a. C. cadde sul tempio.

Del santuario si ricomincia a parlare nel 1896, allorché un archeologo francese scava sulla collina e ne trova tracce. Si accodano studiosi italiani, la terra restituisce oggetti votivi, anfore, gioielli, parti di edificio, iscrizioni. Una di eccezionale importanza, il cosiddetto lapis satricanus, un blocco di tufo incastonato in uno dei templi, materiale di scarto preso probabilmente dalla base di una statua votiva di epoca antecedente. È una rara testimonianza del latino arcaico, sei parole sulle quali si sono accapigliati gli esperti da quando, nell’ottobre del 1977, fu rinvenuta la pietra. Mancano le prime tre o quattro lettere della prima riga. Ma in quel …HEI STETERAI POPLIOSIO VALESIOSIO SUODALES MAMARTEIS si cela con tutta probabilità Publius Valerius detto il Poplicola che insieme ai sodali dedicava a Marte una vittoria militare e al quale Plutarco aveva dedicato una delle sue Vite parallele, essendo stato tra i fondatori della Repubblica Romana.

Negli ultimi dieci anni le ricerche, si diceva, si sono tenute nella tenuta di Casale del Giglio, dal nome di un’antica fattoria. Sono venute alla luce la via Sacra che risale alla fine del VI secolo avanti Cristo e, tra le sepolture attribuibili ai nativi Volsci, la tomba di una bambina di origine latina del VII secolo a. C. con il prezioso corredo. Tutti materiali conservati nel museo, in via Nettunense 101, aperto dal martedì alla domenica dalle 10 alle 13 (martedì e sabato anche 15-19). Nelle teche si troverà anche un calice in ceramica usato per il vino, risalente al V secolo prima di Cristo: a conferma che la cultura enoica fu legata a queste terre fin dai tempi più antichi.

Così un’escursione a Le Ferriere unisce la visita alla tenuta – abbellita anche da un lago rigoglioso di uccelli, insetti, rane, arbusti – la degustazione di vini dai nomi mitologici (Satrico, Mater Matuta, Antinoo) e la scoperta nel museo di un angolo di Lazio antico poco conosciuto. L’itinerario eno-archeologico può estendersi per i più curiosi e intraprendenti alla dirimpettaia isola di Ponza: qui il marchio Casale del Giglio ha rivitalizzato un vitigno in estinzione che può essere coltivato solo in loco, il biancolella portato da Ischia a opera dei Borboni, traendone il vino Faro della Guardia che ha appena ottenuto il riconoscimento dei Tre Bicchieri nella Guida del Gambero Rosso.

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