Rubens Tedeschi
In memoria di una grande tragedia

Miniera assassina?

Per ricordare le vittime di Soma, abbiamo ritrovato uno splendido reportage da Marcinelle, la miniera dove nel 1956 morirono 262 uomini. Lo dettò a braccio l'inviato de "l'Unità”. Un capolavoro giornalistico che dimostra come il tempo, per i diritti di chi lavora, sia passato invano

La tragedia mineraria che ha colpito la Turchia sembra il fantasma di un mondo scomparso. O, meglio, che si credeva scomparso. E invece sotto terra ancora si muore, nel disinteresse generale, nella distrazione di massa che è diventato il mondo della comunicazione. Noi di Succedeoggi vogliamo rendere omaggio alle quasi trecento vittime di Soma alla nostra maniera. E cioè pubblicando un resoconto gemello di un’altra tragedia. Quella captata la mattina dell’8 agosto del 1956 a Marcinelle, in Belgio, vicino alla cittadina di Charleroi, quando un terribile incendio, causato probabilmente da un errore umano, rubò la vita a centinaia di minatori (la maggior parte dei quali italiani) rimasti intrappolati nelle gallerie affumicate e infuocate. Leggete questa cronaca dettata a braccio, al telefono, appena arrivato a Marcinelle, da un grande inviato, Rubens Tedeschi, giornalista e poi grande critico musicale de l’Unità, poi confrontatela a quello che è appena successo in Turchia e scoprirete che il tempo è passato invano.

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Marcinelle 1956MARCINELLE, 9. Il Belgio «apprenderà certamente con angoscia le notizie dell’incidente verificatosi nella miniera di Marcinelle. Un incendio è scoppiato in un pozzo dei campi carboniferi di Amercoeur, bloccando trecento uomini alla profondità di 765 metri. Indescrivibili scene di dolore si stanno verificando nei pressi della miniera. Questo incidente potrebbe risolversi nella peggiore catastrofe mineraria della storia del Belgio». Con questo laconico “comunicato speciale”, letto con voce spezzata dall’emozione da un anonimo annunciatore, la radio belga ha dato alla nazione la terribile notizia che, in pochi istanti, ha gettato nel lutto il Belgio e l’Italia, poiché, come subito dopo si è appreso, la maggior parte dei sepolti vivi è composta da minatori italiani. Ministri, giornalisti, belgi, francesi e italiani, radiocronisti e fotografi, reparti della gendarmeria e dell’esercito, squadre della Croce rossa e dei vigili del fuoco si sono precipitati sul luogo della sciagura, dove regnavano il terrore, l’angoscia e un’indescrivibile confusione.

Uno spettacolo pauroso si è presentato ai nostri occhi quando siamo giunti davanti ai cancelli della miniera. Il fumo – un fumo denso, nero, acro – oscurava il cielo e rendeva l’aria irrespirabile. Dal cielo buio cadeva una pioggia silenziosa di fuliggine. Di tratto in tratto, l’oscurità era lacerata da lingue di fuoco che guizzavano ruggendo dalle miniere della terra. Una folla composta in massima parte di donne e di bambini, a stento trattenuta da cordoni di gendarmi, faceva ressa per avere notizie, si accalcava intorno ai membri delle squadre di soccorso che, dopo ore e ore di durissimo lavoro, tornavano alla superficie. Le informazioni che costoro recavano non erano rassicuranti, e, nella loro inevitabile contraddittorietà contribuivano ad alimentare l’incertezza e la confusione. Dalla folla si levavano lamenti, invocazioni e invettive: invettive contro il destino, ma anche contro coloro che portavano la pesante responsabilità della sciagura. Erano frasi gridate in molte lingue: in francese, in fiammingo, in greco, ma soprattutto in italiano, perché italiani sono in massima parte, i sepolti vivi e italiani i loro figli e le loro mogli.

Secondo notizie di carattere ufficiale, 270 sono, esattamente, gli uomini rimasti bloccati nella miniera dall’incendio. Di essi, 139 sono italiani, 115 belgi, 16 di varie altre nazionalità (greci e tedeschi). Otto cadaveri sono già stati recuperati. Due dei morti sono sicuramente italiani: i fratelli Camillo e Rocco Jezzi di Manoppello (Pescara). Un minatore rimasto intrappolato a 170 metri di profondità è stato portato alla superficie ancora in vita alle ore 23 ma è morto poco dopo. Egli si era mantenuto in vita aspirando aria da un piccolo tubo di areazione che aveva tenuto in bocca per oltre 12 ore. Sei uomini, tutti belgi, sono stati trovati ancora vivi. Essi giacciono ora in uno stato di semi-asfissia nell’ospedale di Charleroi. Si spera di poterli salvare ma le loro condizioni permangono gravissime. Altri venti uomini circa sono riusciti a mettersi in salvo solo pochi attimi dopo lo scoppio dell’incendio. Essi sono stati concordi nel riferire che il disastro si è verificato alle 8.30 circa del mattino, in seguito all’urto di un vagoncino contro un cavo elettrico, urto che ha lacerato l’involucro isolante del cavo, mettendo allo scoperto i fili di rame e provocando, di conseguenza, un corto circuito.

L’incidente è avvenuto quando il vagoncino carico di carbone è uscito dai binari andando ad urtare con violenza contro la parete del tunnel. Uno dei superstiti, tale Carlo Fontane, di nazionalità italiana ha sobriamente narrato ad un cronista i pochi fatti di cui è stato testimone. Si tratta, in verità, di un brevissimo brano della gigantesca tragedia. “Io e i miei compagni di squadra – ha detto il Fontane – stavamo caricando i vagoncini di carbone sul montacarichi, quando udimmo odor di fumo. Questo è stato l’ultimo viaggio del montacarichi. Erano le 8.30”. Almeno quattro dei minatori postisi in salvo prima che l’incendio dilagasse sono italiani. I loro nomi, secondo notizie non confermate, sarebbero: Carlo Fontane (autore del breve racconto già riferito), Antonio Ganetta, Attilio Amin e Orazio Pasquarelli.

marcinelle 1956 2Le fiamme, sviluppatesi con estrema rapidità e con furia, eccezionale, hanno letteralmente fuso i cavi di acciaio di tutti i montacarichi, tranne uno, intrappolando i 270 minatori intenti al lavoro. L’unico montacarichi ancora in grado di funzionare è rimasto malauguratamente bloccato da un altro vagoncino pieno di carbone. Le informazioni fornite alla stampa dalle autorità sono state, durante tutta la giornata, molto scarne e tutt’altro che chiare. D’altra parte, gli stessi componenti la squadra di soccorso erano in grado soltanto di riferire notizie parziali e, come abbiamo detto, talvolta contraddittorie. Solo a tarda sera, quando re Baldovino è giunto sul luogo della sciagura raggiungendo il Primo ministro, il ministro degli Interni e quello dei Lavori pubblici, è stato possibile raccogliere notizie tali da formare un quadro sintetico e sufficientemente chiaro della situazione. Nell’ufficio studi della miniera, il re dei belgi ha avuto un lungo colloquio con il direttore generale delle miniere, che si chiama Van Den Heurel, il quale ha spiegato, per quanto era possibile farlo, le cause del sinistro e l’andamento del’opera di soccorso.

Van Den Heurel ha precisato (correggendo le prime notizie e quindi smentendo in parte anche il primo comunicato della radio belga) che il deragliamento del vagoncino che ha causato il corto circuito è avvenuto a livello 975 (cioè a 975 metri di profondità) e non a livello 765, come era stato detto e ripetuto per tutta la giornata. Si ritiene – egli ha aggiunto – che la maggior parte dei minatori rimasti bloccati nella miniera debba trovarsi in gallerie situate a profondità maggiori, in particolare a livello 1033. L’alto funzionario delle miniere ha precisato ancora che per le squadre di emergenza si apriranno, per le operazioni di soccorso, due pozzi. Alcuni uomini hanno già raggiunto il livello 835: qui ci si è resi conto che l’incendio perdura. A profondità maggiori ma – egli ha aggiunto – probabilmente soltanto fra i livelli 900 e 975. La notizia è stata accolta con molto sconforto, poiché già si sapeva che i sepolti vivi si trovavano a quattro diversi livelli di profondità e precisamente a 765, 835, 873 e 1033 metri. Ciò significa che i minatori sono in parte bloccati dall’incendio che divampa sopra le loro teste, mentre in parte sono quasi interamente avvolti dal fumo, denso e ricco di ossido di carbonio, che sale dalle cavità situate sotto i loro piedi. Gli uni e gli altri – è con un senso di angoscia che lo scriviamo – debbono quindi trovarsi in condizioni spaventose. La loro vita (ammesso che essi siano ancora in vita) è appesa a un filo. Gli altri dettagli forniti dal funzionario al re Baldovino contribuiscono a rendere il quadro ancora più nero. Nella galleria 975, luogo di origine del disastro – ha detto Van Den Heurel – tutte le opere in legno dei camini di areazione sono bruciati. La situazione è grave ma – egli ha aggiunto forse nel tentativo di alimentare la fiducia alla quale ancora si aggrappano i familiari dei sepolti vivi – non sembra sia perduta ogni speranza di ritrovare degli uomini vivi. I punti in cui, ai diversi livelli, erano intenti al lavoro i minatori quando è accaduto il disastro, sono situati a una distanza di circa un chilometro e mezzo dall’ascensore del pozzo di evacuazione. Le squadre si danno il cambio ogni due ore.

Malgrado tutto è nato subito, nei giornalisti presenti sul luogo dell’incendio, il sospetto che la situazione sia ormai da considerare disperata anche se “ufficialmente” nessuno vuole ammetterlo per ragioni – del resto – comprensibili. Anche re Baldovino deve aver pensato la stessa cosa, poiché ha chiesto a Van Den Heurel “per quanto tempo si può attendere prima di considerare la situazione come disperata”. Il direttore generale delle miniere si è limitato a rispondere che “è difficile farsi un’opinione perché non si può sapere quale efficacia abbia la ventilazione e, per conseguenza, quale sia attualmente la percentuale di ossido di carbonio contenuto nell’aria nei punti dove si trovano i minatori bloccati”.

La giornata si è chiusa dunque in un’atmosfera di accentuato pessimismo. Purtroppo, però, le previsioni erano state catastrofiche fin dal primo momento. Le notizie relative alla vastità e alla violenza dell’incendio e all’alto numero dei sepolti vivi (notizie di per sé fin troppo eloquenti) erano state infatti segnate, nel corso della giornata da una serie di particolari impressionanti, che le edizioni pomeridiane dei giornali e la radio si erano affrettati a diffondere. L’opera di soccorso ha avuto inizio – a quanto sembra – con sufficiente celerità, ma in una atmosfera di comprensibile orgasmo e di confusione, subito dopo il primo allarme. Le squadre di emergenza si sono prodigate (alcuni forniti di maschere e bombole di ossigeno, hanno cercato di raggiungere i minatori sepolti vivi, ma sono state costrette a ritornare indietro perché gli stivali di gomma si fondevano per il calore). Ancora una volta, il disastro ha permesso ai minatori di mettere alla prova il loro tradizionale eroismo. Nonostante il calore insopportabile che, come abbiamo detto, fondeva gli stivali di gomma indossati da coloro che osarono avventurarsi nelle viscere della miniera, i soccorritori hanno raggiunto il pozzo dove si è verificato il disastro raccogliendo – in un primo momento – le salme di tre vittime e il corpo di un minatore svenuto ma ancora vivo. Poco prima delle 18 altri due minatori sono stati salvati e ricoverati all’ospedale di Charleroi. Da una prima indagine risulta che tre vittime non sono state uccise dal fuoco ma dal fumo, che le ha asfissiate.

marcinelle 1956 3Una debole speranza era stata alimentata, nel tardi pomeriggio, dall’osservazione di un tecnico, il quale aveva dichiarato che “l’incendio aveva perduto parte del suo vigore e che i ventilatori funzionavano egregiamente. Ciò – sosteneva il tecnico – dovrebbe permettere ai minatori bloccati di respirare in modo normale fino all’arrivo dei soccorsi”. Verso le sette di sera si era diffusa, tra la folla dei familiari in attesa, la voce che le squadre di soccorso avevano stabilito contatti acustici, mediante colpi battuti sulle pareti delle gallerie, con alcuni dei minatori bloccati. Questi ultimi avrebbero comunicato laconicamente: “Stiamo tentando di portarci a un livello superiore a quello in cui ci troviamo”. Poco più tardi, uno dei minatori italiani superstiti, avvicinato da un giornalista, ha dichiarato: “Non meno di sessanta italiani, nati nel mio stesso villaggio in Italia, sono rimasti in trappola”. Ma ha aggiunto: “Non vi dico il nome del villaggio perché  non voglio spaventare inutilmente i parenti. Io spero ancora che si possano salvare”. Il colloquio tra il minatore e il giornalista era ancora in corso quando un confuso gridare è giunto dalle prime file della folla. La gente salutava il salvataggio di altri tre minatori, con i quali il numero complessivo degli uomini strappati alla morte dalle squadre di soccorso saliva a sei. Erano le 19,15 in punto (ora locale). Alle 19, 30 è stato recuperato un quarto cadavere. Poco dopo, altre quattro salme.

Un membro delle squadre di soccorso, tornando alla superficie dopo aver trascorso un certo tempo nel pozzo, ha dichiarato che le fiamme, al livello degli 800 metri, sono ora spente. Un altro membro delle squadre di soccorso ha dichiarato che le operazioni “procedono un po’ meglio”. Secondo altri soccorritori vi sarebbero però dei punti dove le fiamme divampano ancora. Il numero dei minatori riusciti a portarsi in salvo poco dopo la sciagura – secondo notizie più precise dell’ultima ora – è di 25. Mentre telefono, continuano a giungere notizie da parte degli uomini che risalgono  dai pozzi dopo aver lottato nelle viscere della miniera per salvare i sepolti vivi.

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