Roberto Mussapi
Every beat of my heart

Un vento e paesaggi

Nei versi di Giuseppe Grattacaso (anche in quelli del suo nuovo “Il mondo che farà”) c'è, da un lato, la messa in scena del dramma del vuoto, dall'altro il tormento del mutamento tipico della grande poesia del Novecento. Da Eliot a Luzi

Nel 2013, recensendo su Avvenire La vita dei bicchieri e delle stelle di Giuseppe Grattacaso, che sostenevo libro felice, da leggere, scrivevo quanto fosse «difficile definire una poesia che pare di gusto e intonazione oraziana, ma contemporaneamente metafisica come i quadri di Morandi, dei quali però non condivide l’ossessività monotematica. Anzi, se comuni bicchieri animano questo libro, la sua ispirazione pare provenire da una coppa di champagne inebriante con le sue bollicine, come la musica di Mozart di cui parlava Kierkegaard appunto accostandola all’euforizzante panacea francese. Perché con leggerezza mercuriale Grattacaso con i suoi bicchieri mette in scena il dramma del vuoto e del pieno del mondo».

Trascorsi sei anni, nel nuovo libro, Il mondo che farà (Elliot edizioni) mentre confermo il giudizio positivo su un poeta unico, originale, incisivo, mi sento di affermare che la «messa in scena del dramma del vuoto» da me sostenuta allora, è divenuta tema principale e potente, al punto da stringere la visione e quindi il verso entro uno spazio più assoluto, da cui il motivo ludico è ridimensionato, o messo da parte, e nello stesso tempo persiste, e fortunatamente, una impercettibile leggerezza che raggela l’angoscia non lasciandola più tale. Mutandola in addolorata curiosità, in stupita conoscenza.

In questi versi, come in tutto il libro che essi aprono, il poeta s’immerge nel tormento del mutamento, nella scia della poesia drammatica del Novecento: il suo interrogarsi ha riscoperto quello di Eliot, la sua sete di rinascita ha riletto, e compreso, quella di Luzi e altre voci del mutamento della poesia e dello spirito del tempo tra fine novecento e nuovo secolo.

«Un vento che rischiari il paesaggio» con questo verso finale il poeta apre, s’intona alla poesia che da sempre cerca luce e anima.

Un certo giorno uno camminando
per una strada che non riconosce
o nell’attesa di un treno alla stazione
in leggero ritardo o all’improvviso
rimasto frastornato senza mira
davanti a una vetrina e non sa
che cosa stia a guardare, percepisce
senza cura il destino, che la vita
più non funziona che per struggimento,
per insolvenza. Gli altri vanno dritti
e lui scantona ed abbandona il gruppo,
elimina le chat, senza parole
rimangono le immagini, lui aspetta
che il mondo che farà venga a soccorso,
ma non è detto arrivi puntuale,
perché in aiuto può venire il mondo
solo con frasi esatte, prima e dopo
rimessi in fila con conteggio certo,
gli orari in evidenza in calendario,
il caso che è convinto in correttezza,
non più la confusione degli istanti,
ma un’ora dopo l’altra in successione.
Lui aspetta un nuovo tempo non più pioggia,
i temporali, acciacchi, altri malanni,
ma vento che rischiari il paesaggio.

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