Leonardo Tondo
Essere&Tempo: shakespeariana

L’Amleto che è in noi

Cielo, terra, sogni e filosofia. In due versi di '“Hamlet” sono contenute quattro parole alla base della conoscenza del mondo e di noi stessi, che riguardano la realtà, il soprannaturale, le emozioni, la ragione. Non c’è bisogno di altro, e il Bardo lo aveva capito...

There are more things in heaven and earth, Horatio,   Than are dreamt of in your philosophy.

(Ci sono più cose in cielo e in terra, Orazio, /di quante tu ne possa sognare nella tua filosofia).

In un articolo di Amanda Mabillard (Shakespeare Quick QuotesShakespeare Online, 20 Nov. 2009), i due famosi versi dallAmleto (1.5.167-8sono spesso citatcome un richiamo del principe all’amico per ricordargli la sua scarsa conoscenza (filosofia) del mondo: c’è ben altro. Effettivamente, Amleto vuole indicare che anche le persone più colte possono spiegare molto poco (però, questo, le persone più colte lo sanno). Le parole di Amleto suggeriscono tempi migliori fra i due quando studiavano alla università di Wittenberg (Università tedesca, caposaldo del protestantesimo, fondata nel 1502 dove insegnò a partire dal 1508 anche Lutero, nda) e si suppone si impegnassero in discussioni sul pensiero e la conoscenza. Shakespeare non chiarisce quale sia esattamente la filosofia di Orazio e infatti nel First Folio (1623) si legge “our philosophy” e, in questa inclusione, vorrebbe indicare le limitazioni del pensiero umano in generale.

Orazio e Marcello scivolano nella conversazione sull’incontro con il fantasma del padre di Amleto su cui lo stesso principe è piuttosto reticente sebbene dello spirito si senta ancora il movimento frusciante. Non si capisce come ai due venga chiesto di non parlare visto che la presenza è sentita da tutti, ma Amleto insiste con loro e con le guardie di non far parola del fantasma con nessuno. Per Orazio, studente di etica, logica e scienze naturali presso una università razionalista per eccellenza (però, nella stessa università, Christopher Marlowe ambienta le lezioni del Dottor Faustus che, nel frattempo, si mette d’accordo con il diavolo), la storia è ancora più difficile da mandare giù vista la sua ragione che gli fa accettare faticosamente l’idea di uno spirito che si manifesta.

Di fronte alla incredulità di Orazio, Amleto pronuncia la famosa citazione in cui sottolinea che la conoscenza non può spiegare tutto. Per secoli i messaggi sottostanti alle parole del principe sono stati: «Orazio, sei un noioso con in piedi in terra e non capirai mai niente», «Ho dei poteri che tu non puoi avere», oppure «Tutta la nostra conoscenza non serve per capire quello che abbiamo visto questa sera». Effettivamente, per capire meglio il contenuto della citazione, i versi dovrebbero essere citati all’interno del loro contesto che apre invece un orizzonte più ampio. Amleto, dice quelle parole a Orazio dopo aver parlato con il fantasma del padre e prima che Orazio giuri di mantenere il segreto:

Horatio: Oh day and night, but this is wondrous strange!

Hamlet: And therefore, as a stranger, give it welcome.
There are more things in heaven and earth, Horatio,
Than are dreamt of in your philosophy.

(Orazio: O giorno e notte, ma questo è meravigliosamente strano!

Amleto: Allora, come uno straniero, dagli il benvenuto.

Ci sono più cose in cielo e in terra, Orazio,

di quante tu ne possa sognare nella tua filosofia).

Da questo scambio, sembra chiaro che i due amici non sono delle teste di legno sulla realtà della loro esperienza straordinaria. Inoltre, per Amleto, che giudicava la Danimarca un luogo corrotto (però la frase: «C’è qualcosa di marcio nello stato di Danimarca» è di Marcello), lo spettro diventa la conferma dei suoi sospetti e accetta la deviazione dalla normale realtà fisica molto più tranquillamente di Orazio che è eccitato e impaurito nella stessa misura. In fin dei conti, Amleto, all’esclamazione sorpresa di Orazio replica brillantemente. Peraltro, alla parola strano dell’amico risponde con straniero ma anche più strano riferendosi a un altro che può essere diverso ma anche straniero nel mondo. Facili le riflessioni attuali sull’accettazione del dissimile, perché pensa o si comporta in modo apparentemente non condivisibile oppure verso chi viene da paesi lontani geograficamente e culturalmente. Così il fantasma che suscita sorpresa e timore diventa una forma di realtà e va accettato come creatura in carne e ossa. E come non ricordare la frase: «Come perdonare all’altro di restare altro?» (Simone Weil, Quaderni).

E poi c’è l’associazione dei sogni (sognare) e della filosofia, come a dire che i pensatori razionali credono di essere tanto sofisticati ma dovrebbero tenere presente il mito platonico dell’uomo intrappolato nella caverna che pensa – o sogna – che le ombre proiettate sul muro siano il mondo reale. Ovviamente le ombre sono reali e fintanto che le interpretiamo come tali si integrano facilmente con i nostri vissuti, ma quando attribuiamo loro la qualità degli oggetti che le proiettano, la valutazione è distonica e porta a elaborazioni difficili da sostenere. Si deve pensare a tutti i disturbi psichici (ansie, depressioni, psicosi) a cui si attribuisce un significato apparente rispetto alla loro “realtà” interiore. Il fantasma diventa l’ombra proiettata, quella che suscita interesse, curiosità ma anche paura. Il rimedio è la conoscenza, il sapere che la sua “realtà” sta su un altro piano di osservazione. In questo modo, l’ombra è decodificata a realtà e può essere accettata o rifiutata, ma acquista una sua dignità reale.

In A Beautiful Mind, biografia di John Nash (film più famoso del libro), Sylvia Nasar lo intervista mentre è ricoverato presso l’ospedale psichiatrico McLean (Belmont, Massachusetts): «Come può un matematico dedicato alla ragione e alla logica credere che gli extraterrestri gli mandino dei messaggi?». Risposta: «Perché le idee sugli esseri soprannaturali mi sono venute come quelle matematiche e pertanto le ho prese sul serio». Lo ricorda Nancy Andreasen (in The secrets of the creative brain, Atlantic, July 2014), aggiungendo: «Alcuni vedono cose che altri non vedono e hanno ragione; li chiamiamo geni creativi. Alcuni vedono cose che altri non vedono ma sbagliano; li chiamiamo malati mentali. Altri, come John Nash, sono entrambi».

Shakespeare ancora una volta, comprende la straordinaria complessità della natura umana, il mondo in cui viviamo che è più ampio dei nostri piccoli circuiti e fa emergere pensieri che stavano silenti da qualche parte ma per pigrizia non volevano muoversi. In due versi sono contenute quattro parole alla base della conoscenza del mondo e di noi stessi: cielo, terra, sogni e filosofia. Le contrapposizioni in cui si dibatte il genere umano: la realtà che tocchiamo con mano, le aspirazioni e il bisogno del soprannaturale o dell’elevazione dello spirito; il mondo interiore delle emozioni e quello della ragione. Non c’è bisogno di altro. Shakespeare ce lo ricorda: siamo attori, sì, ma alla fine è necessario togliersi il trucco e andare a casa. Certe volte ci chiediamo: «ma perché farlo?».

 

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