Ferrari & Magliani
L'epopea degli oriundi

Mezzala Morettini

Esce oggi "Sporca faccenda, mezzala Morettini”, un esilarante romanzo sul calcio dal sapore latinoamericano di Ferrari & Magliani. Ne anticipiamo un estretto

Esce il nuovo libro a doppia firma Marco Ferrari e Marino Magliani intitolato Sporca faccenda, mezzala Morettini edito da Atlantide, un giallo sul calcio anni Sessanta, il tempo degli oriundi. Diego Álvaro Menconi è uno strampalato procuratore italo-argentino di derivazione anarchica che inventa ogni mezzo pur di piazzare calciatori di origine italiana nella serie A in un periodo in cui le frontiere agli stranieri erano chiuse e dunque potevano essere acquistati solo atleti con passaporto italiano. In anni in cui non esistevano mezzi di comunicazione, l’unica voce che arrivava in Italia sul calcio argentino era il settimanale «El Grafico» che Menconi riesce a contraffare.

Questa è la storia di un uomo che di mestiere vende giocatori, un venditore di piedi. Li trova in una delle due più grandi e ricche miniere di talenti del calcio, l’Argentina, ne indovina il futuro nelle canchas, i campetti di calcio dei barrios di Buenos Aires, o nei deserti flagellati dal vento della Patagonia, e fin su al Nord, sulle colline arroventate dalla vicinanza ai tropici. Potrebbe anche essere un lavoro onesto, ma la lezione di quella terra così ricca e così massacrata da crisi economiche e dittature, è quella di un tango disperato, che la descrive come nessun altro ha mai fatto: el que no afana es un gil! Chi non ruba è uno stupido. Menconi, il protagonista di questa sgangherata epopea australe, a questa legge non si sottrae. Eppure saprebbe farlo: traghettare onestamente talenti e promesse e ottimi giocatori maturi con ancora in serbo energie e muscoli e classe per far la differenza in Italia, in Francia, in Spagna, non sarebbe difficile. Ma ci si mette di mezzo il destino, fin dall’inizio di questa storia, quando la ex moglie lo fa rincorrere dagli esattori per pignorargli i mobili, e poi quando banditi e personaggi di bassa soglia, di professione presidenti e dirigenti di squadre ma disposti a tutto, pur di truffarlo, rovinano una transazione curata da lui di tre giocatori diretti in Italia. In mezzo alle avventure e alle disavventure, il bevitore malinconico Menconi si mette sulle tracce, come un detective, di un calciatore, Luìs Pacifico Morettini, mezzala ormai a fine carriera, che la moglie cerca disperatamente, immaginandolo a far bella vita con qualche donnetta in Paraguay. Lei si chiama Alicia, meticcia e ancora piuttosto bella e sola, e vive nello stesso palazzo del procuratore di calcio. Ma un giorno arriva la telefonata giusta e lui parte per l’Italia con tre mediocri calciatori spacciati per campioni ma troverà una amara sorpresa.

Anticipiamo, per gentile concessione dell’editore, alcune pagine del romanzo.


Il giornale sapientemente preparato da Elia era venuto un vero splendore e Menconi ne aveva fatto spedire per posta aerea una copia alla Sampdoria, una alla Roma, una al Palermo, e al Padova, più ai vari intermediari del vecchio continente. Sperava che qualcuno abboccasse. Peraltro, Oscar Lanzetti aveva composto dei bellissimi titoli. “Il trio maravilla della Pietro Gori”. Lui avrebbe voluto intitolare il “Il trio maravilla dei Crisantemi”, ma Menconi si era fermamente opposto. Con insistenza tipica dei giornalisti, Lanzetti aveva comunque aggiunto un bel catenaccio ironico: “I Crisantemi fanno piangere gli avversari”. E sotto tre belle immagini ritoccate dal fotografo del giornale, Abel Santillana: “Così Luis Pacifico Morettini sembrava un ragazzino” e l’altra nota “Darío Martín Montagnani detto El Tanque un ballerino di danza classica”. Per il terzo, “El Palo Homero Amilcare Castiglione calciatore di mestiere e in arte bellimbusto da cinema”.

A centro pagina compariva un’intervista a Borelli intitolata “Manuel, la mente viva e fredda dei Funebreros”. Nella fotografia era rimasto con gli occhi chiusi, la bocca spalancata e un sorriso stentato. Nell’articolo truccato, Borelli dichiarava che non si sarebbe privato tanto facilmente del “trio maravilla” perché troppo amato dai tifosi. Alla domanda se qualcuno si era fatto avanti per comprarli, Borelli restava sul vago, ma l’intervistatore affermava con certezza che vi erano forti insistenze da parte del Benfica e del Real Sociedad.

Il fondo di “Juvenal”, al secolo Julio César Pasquato, stimato commentatore del mondo del pallone, diceva che quel trio era pronto per sostituire in nazionale i “ribelli denigrati” che avevano abbandonato i colori biancocelesti per vestire altri colori come, appunto, avevano fatto Sivori, Maschio e Angelillo.

In seconda pagina un perfetto fotomontaggio illustrava un’azione da goal di Castiglione con le sue gambe lunghe, i calzettoni alla Sivori, le ginocchia spigolose, le braccia larghe e i capelli ribelli.

La terza era intitolata “I nuovi angeli dalla faccia sporca”, incentrata su un paragone tra Sivori, Angelillo e Maschio, che già calcavano le scene italiane e i nuovi figli di italiani desiderosi di tornare nella penisola. Con una cura particolare e gran precisione Lanzetti si era messo a ricostruire i loro alberi genealogici in modo fosse chiara l’origine italiana. Poi spiegava che i tre avevano richiesto il passaporto italiano alle competenti autorità consolari a Buenos Aires, dato che Menconi aveva già sistemato la faccenda. E proprio Menconi, a pagina quattro, con un po’ di barbetta sulle guance, testimoniava che le trattative erano a buon punto con almeno tre quadre iberiche. Al fondo dell’inserto un corposo curriculum dei tre calciatori, completamente falsificati. Morettini risultava aver

giocato oltre 100 partite nella massima serie, di aver disputato tre partite con le giovanili della nazionale argentina e di aver vinto quattro volte di seguito il campionato paraguayano; Montagnani veniva definito figlio del Boca Juniors, venduto a caro prezzo in Messico, al Monterrey, dove era stato dichiarato miglior giocatore dell’anno per passare poi in Uruguay, al Cerro, col quale aveva vinto la Coppa nazionale; Castiglione veniva descritto come il nuovo Di Stefano citando le classifiche di capocannoniere da lui vinte ripetutamente nelle ultime stagioni. A Morettini aveva abbassato l’età di una decina d’anni, a Montagnani avevano tolto otto chili di peso e a Castiglione aveva aggiunto cinque centimetri d’altezza.

Elia, come previsto, si era lasciato un piccolo spazio solo per lui, in basso a sinistra. Un suo desiderio. Una dichiarazione dell’allenatore Béla Guttmann, il suo sogno di allenare il “trio maravilla” dell’equipe argentina. Accanto un riquadrato in nero con il titolo “Per sempre” e poche righe dedicate ad un amico: «Noi ti vedremo sempre, caro El Ciego. Chau».

Quando Lanzetti entrò al Lavalle, Menconi lo accolse col sorriso della soddisfazione, ma anche un po’ preoccupato e gli disse sottovoce: «Forse abbiamo esagerato con le lodi, non credi? Los tanos, Oscar, no son ningun boludos».

«Non direi proprio, di esagerato nulla… Mi è già arrivato un telex da “Tuttosport”. Mi chiedono di scrivere un pezzo per loro. Che ne dici?». E gli mostrò il telex.

«Ah, sì, avevo inviato una copia anche a loro, conosco il caporedattore».

Menconi lesse e rilesse il telex ed emise un gemito: «Ehh, il lavoro tuo e di Elia è ottimo, per carità… Certo che stiamo camminando su un filo spinato».

«E gli altri?».

«Con il campionato fermo sono tutti spariti».

«A proposito, Engomado si rifarà i capelli un’altra volta. Lo hanno assunto al Ponte Preta».

«Diavolo di un Olivari, lui se la passa bene. Mollerà la biondina e si metterà con una mulatta brasiliana».

«Credo che lo abbia già fatto, i giorni scorsi ho visto la biondina a braccetto con un veterano, con bastone e cappello. Si è subito sistemata e sai con chi?».

«Come faccio a saperlo?».

«Hector Esterhazy».

«Non è il direttore dell’azienda dei telefoni?».

Lanzetti disse di sì, era proprio lui, quello della telefonica americana, e appena pronunciò quella parola il telefono del Lavalle squillò.

Menconi aspettava una chiamata. Il cameriere si avvicinò, prese la cornetta, ma sembrava non captare alcuna voce.

«Dai a me», disse Menconi.

Accostò l’orecchio all’apparecchio captando solo un fastidioso e lontano brusio. Come alla cornetta dell’agenzia dei telefoni, gli parve che nei telefoni del Lavalle e di tutta Buenos Aires, gestiti dalla compagnia di Esterhazy, le intere acque dell’oceano Atlantico scorressero dentro un filo e giungessero a lui. Poi finalmente udì una voce greve dal tono infastidito, poco avvezza alle comunicazioni.

Era quello che rispondeva dalla sede della Sampdoria. Cercò di immaginarselo: un signore anziano, burbero, scontroso, di poche parole, costretto a rispondere suo malgrado alle telefonate, chiuso in uno stanzino di vetro, all’ingresso della sede, con alle spalle le cassette della posta, un poster della Sampdoria e una fotografia sgualcita di una donna in costume che usciva dal mare. La sua agenda telefonica di color rosso, smussata negli angoli, scritta a mano con una scrittura tutta sua che nessuno poteva interpretare.

Probabilmente un massaggiatore storico o un custode dello stadio finito là dentro, al fondo di quel bugigattolo per chissà quale incidente che lo costringeva a strascicare una gamba e maledire il mondo.

«Il signor Menconi?», chiese di là una voce in romanesco, con un tono forzatamente gentile per nascondere il fastidio dell’attesa.

Fuori dalla cornetta si sentì un richiamo: «Arturo, Arturo! Dove ti sei cacciato?».

Poi di nuovo, rivolto a Menconi, il centralinista tornò a intromettersi per dire: «Per cortesia, attenda, tranquillo, aspettar solo un ratito».

In realtà Menconi sentiva un poco d’ansia perché sapeva che spesso, in quei passaggi intercontinentali ci voleva poco a perdere la comunicazione. Invece, quasi subito, la voce di Arturo risuonò chiara e limpida, quasi vicina: «Diavolo di un tano, me ne combini sempre una! Come stai?».

«Come si può star bene da queste parti e di questi tempi», rispose Menconi.

«Ho letto sui giornali…».

«Beh, allora meglio non aggiungere altro».

Ci fu un attimo di silenzio, quasi temessero di essere ascoltati. Poi Arturo prese a parlare velocemente: «Ho fatto leggere “El Grafico” alla Commissione tecnica che, come sai, sostiene sempre gli acquisti in Argentina sia per ragioni economiche sia patriottiche. Hanno avuto molti dubbi su quello che il giornale definisce “il trio meravilla” perché ne abbiamo già sentito parlare altre volte di simili inculate. Però alla fine il presidente non ha voluto sentir discorsi. Lui ama Buenos Aires e gli oriundi sono la sua passione, lo sai».

«E allora?», si precipitò a chiedere Menconi.

«Ma sono oriundi veri, certificati? Hanno i documenti a posto? È gente che se la cava con l’italiano?».

«È tutto autentico, tutto di marca buona».

«Allora bisogna far presto. Lo sai, i figli di italiani sono gli unici che possono entrare nel nostro campionato. Con l’aria che tira, la nazionale che non ne indovina una, le giovanili che non creano campioni è probabile che tra poco chiudano anche agli oriundi».

«Quindi?».

«Quindi, come devo dirtelo, se siamo d’accordo sul prezzo dei giocatori e sugli ingaggi, come tu mi hai scritto nell’ultimo telex, mettiamo fine ai disguidi precedenti e oggi stesso ti accredito quattro biglietti e due camere alla sede della Società Italia di Buenos Aires per la prima classe della Giulio Cesare. Va bene?».

«Quattro biglietti?».

«Sì, questa volta non voglio giochetti dell’ultima ora. Parti anche tu e me li porti qui, intesi?».


La fotografia accanto al titolo è di Roberto Cavallini.

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