Giuseppe Grattacaso
La scomparsa di un mito

La luna di Anders

La celeberrima foto dell'alba della terra dell'astronauta William Anders (appena morto a novant'anni) ci insegnò che siamo una piccola cosa nell'universo (visti dalla luna)

William “Bill” Anders è morto in un incidente aereo sorvolando lo spazio di mare che fa parte dello stato di Washington. Il piccolo monomotore, di cui era alla guida, è precipitato verticalmente e si è inabissato nelle acque nei pressi dell’isola di San Juan, non lontano dal Canada. Anders aveva 90 anni.

Certe volte la morte arriva e sembra il più degno epilogo di una vita, un coup de théâtre studiato da un regista in vena di trovate spettacolari, un effetto speciale. Sì, perché William Anders non era solo uno straordinario e longevo pilota d’aereo, era stato un astronauta e aveva preso parte al programma spaziale Apollo della Nasa. Anders era il pilota del modulo lunare dell’equipaggio di Apollo 8, prima missione che aveva portato degli uomini a viaggiare intorno alla luna. In quell’occasione Bill Anders aveva fotografato la Terra. È un’immagine meravigliosa e notissima: si vede il nostro pianeta che sorge dalla superficie lunare. La foto è denominata Earthrise, “il sorgere della Terra”. Tutti avranno già detto e scritto che si tratta di una foto iconica. Non so se siamo di fronte a un’immagine iconica, è certo invece che in quella foto guardiamo noi stessi, la nostra grandezza e la nostra fragilità, e il nostro improvvido destino.

L’immagine risale al 24 dicembre del 1968 e ritrae il nostro pianeta, la parte visibile del pianeta, che appare come una mezza biglia di colore azzurro accesa nel buio fitto del cielo. Più tardi, nel corso della missione Apollo 17, quel colore azzurro intenso (la Terra azzurra, ma come è possibile?) verrà certificato da un’altra foto storica, nota come Blue Marble, che è la prima immagine della Terra completamente illuminata.

Ma è l’immagine fornita da Anders a parlarci nel profondo, a risultare davvero un messaggio partito da lontano, anche perché in quella foto appare in primo piano il grigio del suolo lunare, il deserto, la distesa anonima con le sue asperità, i crateri, gli avvallamenti. In alto, nel buio del cielo visto dal nostro satellite, c’è una lampada illuminata, un colorato astro disperso, che sembra gridare a tutti noi, che su quell’astro viviamo, ci agitiamo, amiamo, ci mostriamo e ci nascondiamo, tutta la propria labilità. Quella biglia azzurra nel cielo non è poi così grande a guardarla da lì ed è sospesa, sostenuta non si sa da cosa, in attesa non sappiamo di che. Che fai tu, Terra, in ciel? dimmi, che fai, / Silenziosa Terra?, canterà forse un giorno un leopardiano pastore errante vagabondando nell’ampia distesa dell’asia lunare, alle prese con l’irrisolto enigma di quell’astro che penzola nel cielo.

La foto di Anders, la terra che sorge azzurra e misteriosa, incompiuta e incompresa, dal suolo della Luna, ci obbliga a cambiare prospettiva, a non sentirci al centro, fosse anche solo del nostro mondo, e dunque ad assumere un nuovo punto di vista. Nella più significativa e complessa delle sue poesie cosmiche, Il Ciocco, che fa parte dei Canti di Castelvecchio (1903), Pascoli scrive che “la Terra fuggiva in una corsa / vertiginosa per la molle strada, / e rotolava tutta in sé rattratta / per la puntura dell’eterno assillo”. E poi “ella esalava per lo spazio freddo / ansimando il suo grave alito azzurro”. Sì, il visionario Pascoli, lettore appassionato di testi di cosmologia, qualche decennio prima della foto scattata dall’Apollo 8 parlava della Terra che esala un “alito azzurro”. Nel 1958, in un articolo che analizza le poesie cosmiche di Pascoli, il critico Giovanni Getto afferma che Pascoli è il primo poeta (forse il primo uomo, aggiungerei) ad assumere una “visione galassiocentrica” nel raccontare delle vicende del mondo, e lo fa anche quando parla del suo piccolo mondo rurale di Castelvecchio.

Ecco, la foto di William Anders per la prima volta fa in modo che tutti noi, abitanti di quella grande pietra che fugge “in una corsa vertiginosa” nello “spazio freddo”, possiamo assumere una visione galassiocentrica. E da questa prospettiva comprendiamo che siamo una minuscola cosa vagante nello spazio e che ci è stato assegnato il compito di non dimenticare che l’equilibrio su cui si fonda la vita è delicato, che il nostro stesso pianeta è delicato. È un’immagine che doveva essere diversa, ma nella macchina fotografica era caricata inizialmente una pellicola in bianco e nero. È durante la quarta orbita intorno alla Luna che l’equipaggio dell’Apollo 8 vede sorgere la Terra: dietro la distesa grigia del suolo lunare il nostro grande (e piccolissimo) pianeta azzurro.

Terminata la missione, quell’uomo che aveva ruotato intorno alla Luna scriverà in un articolo: “Eravamo partiti per esplorare la Luna e invece avevamo scoperto la Terra”. Quell’uomo che ci aveva permesso di guardare il nostro pianeta con uno sguardo galassiocentrico, di meravigliarci di quel colore nell’oscurità dello spazio, è morto all’età di 90 anni alla guida di un piccolo aereo.

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