Testo e foto di Agnese Bacci, Beatrice Ferrari, Sofia Trombini
Da dove, da quanto/9

Monica e l’Apebook

Con la storia di Monica Repetto e della sua biblioteca ambulante prosegue il ritratto del quartiere romano della Magliana fatto dagli allievi del Liceo Montale

Tra le vie della Magliana, Monica Repetto, grazie ai genitori, ci ha passato l’infanzia, ma è stata sua la scelta di passarci la vita.

Monica non nasce nel quartiere Magliana ma è una zona che vive, ci abitavano i nonni. Più nello specifico, in via Pian Due Torri, vicino a dove risiede tuttora. Di queste strade ne sentiva parlare con timore ma lei, essendo piccola, non capiva, non conosceva ancora le diverse realtà che vi si celavano.

All’età di 30 anni, nel 1990, si trasferisce nel quartiere; dal punto di vista sociale non lo frequenta perché tutte le sue attività come regista sono proiettate fuori Roma o in centro, anche a causa dell’indisponibilità del quartiere stesso: non c’erano sale cinematografiche, librerie e biblioteche. In realtà, non ha mai vissuto la criminalità per cui la Magliana è “famosa”: lo ha sempre vissuto come un quartiere tranquillo sia per esperienza personale che per sentito dire. Lei ha scelto di venire a lavorare alla Magliana per un motivo molto semplice e banale: per la comodità. Voleva trovare una soluzione comoda e che rispondesse alle sue esigenze vicino casa ed è tutto nato per caso, Monica non l’ha cercato. E si è trovata bene.

Ed è proprio tra le strade di Magliana che nasce l’Apebook. Il progetto è sorto prima della pandemia tra il 2019 e il 2020: insieme a due sue colleghe, lo presentarono nell’ambito di un bando indetto dal Mic dedicato a “Biblioteca casa di quartiere”, interamente riservato alle periferie delle città dove non c’erano biblioteche o l’accesso a esse era complicato. Proprio perché la Magliana non disponeva di biblioteche, allora Monica e le sue colleghe si domandarono: se Maometto non va alla montagna perché non portiamo la montagna da Maometto? Perché non mettere dei libri su un’ape a tre ruote? Oltre ai libri, attrezzarono un videoproiettore per mostrare filmati dell’archivio del Movimento Operaio che raccontassero la Magliana degli anni 70. Quando andavano in giro con l’Apetta rossa e proiettavano queste immagini, molte persone si fermavano a guardarle perché si rivedevano nei filmati: erano i filmati delle lotte che i comitati di quartiere e le associazioni facevano per la casa e per la scuola.

Le famiglie, principalmente le donne, combattevano per ottenere un’istruzione consona e sicura, per la costruzione di nuove scuole, per eliminare il triplo turno, per evitare che i bambini frequentassero le lezioni nel tardo pomeriggio a causa delle poche aule. Le strade non erano asfaltate, i bambini giocavano in strada ricoprendosi di fango. Nelle giornate di pioggia il tutto era ancora più difficile, lo spostamento era impossibilitato, la pulizia faticosa. Queste erano le immagini che proiettavano con l’Apetta rossa.

All’inizio non fu neanche facile capire dove collocarla. Ci furono tanti tentativi perché bisognava capire il luogo che potesse attirare l’attenzione della gente. Una volta ogni circa dieci giorni, l’Ape veniva mossa. Man mano che passava il tempo si accorgevano che gli adulti scappavano intimoriti come se avessero paura che loro gli dovessero vendere qualcosa o come se qualcuno che vende libri non fosse degno di sguardo. Anzi erano più i bambini che gli adulti ad avvicinarsi all’Apebook solo per dare un’occhiata o curiosare.

“L’adulto non lettore ormai è perso” commenta amara Monica. “Purtroppo, la lettura necessita di un allenamento perché come ogni attività è faticosa. Se la persona non è abituata a leggere faticherà a farlo e sentirà più lo sforzo che il piacere. Deve essere una cosa naturale come respirare o camminare. Anche solo guardando lo scaffale della nostra camera dove sono riposti i libri che abbiamo letto potremmo capire qualcosa di noi, come eravamo qualche anno fa rispetto a come siamo oggi o come sono cambiati i nostri gusti. Come scegli gli amici scegli un libro”.

Tramite l’Apebook, Monica ha avuto modo di conoscere diverse realtà del quartiere, di sperimentare il forte senso di comunità della Magliana che principalmente si sviluppa su Piazza De André, il cuore del rione, luogo di nascita di diverse associazioni. Qui le persone si conoscono, si aiutano. Quando Monica ne parla, si vede la luce nei suoi occhi: l’entusiasmo e l’orgoglio di appartenere a una comunità. Ci spiega che, quando troviamo uno spiraglio che ci porta a conoscerne una vicino a noi, si crea una rete di realtà che collaborano insieme. Monica ha conosciuto la Magliana Solidale, un’associazione che lavora con gli anziani, uomini o donne con handicap. Ci parla di un centro di ippoterapia, sul Lungotevere, dove aiutano ragazzi con sindrome di down o con spettro autistico a interagire con i cavalli. Esisteva anche un gruppo di volontari che lavoravano con i migranti che si trovano nel quartiere e che non parlano italiano. Purtroppo, la sede di questo gruppo non era ufficiale e sono stati costretti a sgombrarla, e gli allievi si sono dovuti adattare e recarsi in altri luoghi per imparare la lingua. Il quartiere in questo modo, purtroppo, ha perso una ricchezza. Un altro esempio di comunità è quella del Bangladesh, nella quale le donne o comunque i genitori trovano difficoltà nel relazionarsi, a differenza dei figli che invece parlano fluentemente italiano: per questo i corsi erano molto amati, erano un momento vero di socializzazione e scambio di idee. Monica ha conosciute molte donne del Bangladesh, e l’esperienza all’interno dei corsi la ha decisamente arricchita e ha imparato tradizioni nuove.

“Sono tutte cose che sappiamo per sentito dire, ma ascoltarle proprio dalle persone del posto mi ha fatto un effetto diverso. Alla fine, mi sono arricchita più io che le persone che facevano parte di queste comunità”.


Nelle fotografie: in alto e accanto al titolo, Monica Repetto; sotto, a sinistra, Agnese Bacci fotografata da Beatrice Ruzzo, a destra Beatrice Ferrari fotografata da Sofia Trombini; qui sopra, a sinistra, Sofia Trombini ritratta da Beatrice Ferrari.

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