Ida Meneghello
Diario di una spettatrice

Inferno Malesia

In "Come fratelli" il regista e sceneggiatore malese Jin Ong racconta la terribile sopravvivenza di due "clandestini" che appartengono al mondo intero

Nei bassifondi di una Kuala Lumpur che pare la Los Angeles distopica di Blade Runner fotografata nei colori acidi di un noir orientale, due giovani uomini legati da un rapporto d’affetto che li rende quasi fratelli si ingegnano nell’arte dura di sopravvivere in un mondo che non li vuole.

Sono Abang e Adik, due orfani malesi privi dei documenti indispensabili a riconoscerne l’identità, quindi a sancire la loro stessa esistenza, che per questo motivo vivono in fuga e nell’ansia di venire scoperti dalla polizia che irrompe quotidianamente negli edifici fatiscenti dove si nascondono i “clandestini” (situazione drammatica che con ogni evidenza non riguarda solo la Malesia).

I due protagonisti di Come fratelli (Abang Adik è il titolo originale), film d’esordio del regista e sceneggiatore malese Jin Ong, vincitore l’anno scorso del Far East Film Festival di Udine, sono maschere che rappresentano le due risposte possibili e opposte per sopravvivere in questo contesto drammatico: Abang, nonostante sia sordomuto, si arrabatta come può svolgendo i lavori più umili nei mercati (pulisce verdure marce e fa a pezzi con l’accetta montagne di polli), e i pochi soldi che guadagna li risparmia per pagare l’agognata carta d’identità; Adik invece se ne frega dell’illegalità e si infila nel traffico ben più remunerativo di documenti falsi per altri disperati come lui, e infatti all’occorrenza esibisce un falso certificato di nascita che gli evita le violenze dei poliziotti e la galera. Ogni tanto i due tirano il fiato a casa di una trans che li accoglie come una madre comprensiva e lì ripetono il rituale della loro fratellanza: ciascuno rompe sulla testa dell’altro un uovo sodo per poi sbucciarlo e mangiarlo, perché Abang e Adik adorano le uova sode.

Poca musica (finalmente), molti silenzi e sguardi e abbracci raccontano questa storia di fratellanza non legata al sangue. Finché un giorno il destino provocherà l’incidente che neanche gli dei prevedono e metterà i due quasi fratelli di fronte alla scelta più dolorosa che sconvolgerà le loro vite e che ovviamente non racconterò.

Le reazioni al dramma imprevisto di Abang e Adik confermano i caratteri opposti dei due personaggi: riflessivo e consapevole fino all’estremo sacrificio quello di Abang che si assume la responsabilità del fratello maggiore, impulsivo e sconsiderato quello di Adik che capirà troppo tardi la scelta del fratello.

Un film forte e struggente con un finale secondo me troppo mélo, che ha indubbiamente due meriti: il primo è farci conoscere la bravura della star di Taiwan Wu Kang-ren, il fratello maggiore fragilissimo eppure autorevole nonostante reciti tutta la pellicola nella lingua dei segni. Il secondo merito è che ci racconta una storia che non avviene solo all’ombra delle torri Petronas di Kuala Lumpur, ma ci tocca tutti e tutti ci interroga: davvero noi crediamo di affidare la nostra possibilità di esistere e di essere riconosciuti a un pezzo di carta e non ad altro?

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