Alice Bellucci
"Da dove, da quando"/1

Magliana rossa!

«Maria Grazia aveva ripreso a camminare, ma non aveva più la stessa tranquillità di prima. In un momento, iniziarono a riaffiorare i ricordi». La storia di Maria Grazia Passuello

Maria Grazia camminava tranquilla lungo strade che conosceva a memoria. Era una banale giornata estiva a Roma: il caldo secco rendeva la gola un deserto arido e le fronde degli alberi ai bordi dei marciapiedi non erano abbastanza fitte per riparare i passanti dalla luce onnipresente del sole. Si muoveva come se la sua mente avesse impostato il pilota automatico. Quante volte aveva calpestato quell’asfalto, in diverse stagioni, con diverse mete!

“Maria Grazia! Non ci credo! Quanto tempo che non ci vediamo! Ciao!”

Una voce improvvisa la riportò alla consapevolezza. Era una donna sui quarantacinque anni; il suo volto, illuminato da un grande sorriso, aveva un qualcosa di familiare, anche se non era proprio in grado di dire cosa.

“Oddio, scusami, proprio non mi ricordo chi sei”.

“Francesca, del doposcuola!”.

Chiacchierarono un po’. Poi, prima di congedarsi, Francesca aggiunse: “Sai, ti volevo dire una cosa: i valori che mi avete trasmesso mi sono rimasti tutti. Ti ringrazio”.

Maria Grazia aveva ripreso a camminare, ma non aveva più la stessa tranquillità di prima. In un momento, iniziarono a riaffiorare i ricordi: le sembrava che quelle parole avessero aperto una sorgente dalla quale, goccia dopo goccia, stava cominciando a fuoriuscire il passato.

La prima immagine che zampillò fuori dalla sorgente fu la stufa a kerosene che usava per scaldarsi nelle notti gelide passate nella baracca del borghetto di Prato Rotondo. Si vide seduta a terra, attaccata alla stufa, nell’inutile tentativo di scaldare almeno la punta delle dita. Le sembrò di sentire il ticchettio delle gocce di pioggia che cadevano, un po’ nei catini, un po’ sul pavimento di quella che impropriamente si sarebbe definita un’abitazione; l’incessante tic tic tic che scandiva i secondi. Le tornò in mente la sua famiglia: il caos che si era creato quando aveva comunicato la decisione di andare a vivere nelle baracche. Era stato difficile, ma cosa avrebbe dovuto fare? Quando, frequentando il corso per assistenti sociali, si era scontrata con la realtà dei baraccati, aveva capito che, anche se fosse riuscita a dare una casa a una famiglia, altre duecentosettanta ne sarebbero rimaste senza. Per aiutare davvero quelle persone doveva comprendere la loro realtà; doveva diventare una di loro.

Com’è che la chiamavano all’epoca? Coscienza politica? Da lì in poi la sua vita era stata un continuo di lotte, proteste, picchettaggi. Sorrise ripensando a quelli della DIGOS che avevano messo in guardia la famiglia dei principi Orsini, dove lavorava come baby-sitter, dopo le prime partecipazioni alle occupazioni delle case. Come se lei non li avesse già informati di tutto.

Improvvisamente, però, dalla sorgente dei ricordi nacque un’altra immagine: era un giornale, stropicciato, con le orecchie sui bordi delle pagine. Trafiletti evidenziati riportavano nomi di luoghi e di persone coinvolti nelle lotte per la casa o nelle manifestazioni per il diritto allo studio. Maria Grazia si ricordò di quando leggeva le notizie ai ragazzi del doposcuola. Un’attività che era nata come un’utopia che lei e don Gerardo, ispirandosi a “Lettera a una professoressa”, avevano avviato nella chiesetta del borghetto.

Con il trasferimento a Magliana, l’iniziativa era sopravvissuta grazie alla fondazione del Centro di Cultura Proletaria. Come poteva dimenticare gli studenti che, da ogni parte di Roma, erano andati proprio lì, nel quartiere che sembrava dimenticato da tutti, per dare una mano? Tra il doposcuola, la scuola serale, la gestione della biblioteca, l’organizzazione di attività di studio, di ricerca, di sensibilizzazione, Maria Grazia non si era fermata un attimo. Conservava ancora una copia del primo giornalino che i ragazzi avevano fatto: Magliana Rossa.

Dopo estati e inverni intensissimi, dedicati a dare a giovani che non avevano nemmeno la quinta elementare la possibilità di un riscatto, il Centro era stato chiuso, lei era stata l’ultima ad andarsene. Erano stati gli anni più belli della sua vita.

A un certo punto, le sembrò di sentire poco distante da lei il pianto di un neonato, accompagnato dalle preghiere di una madre esausta che cercava di farlo smettere di urlare. Allora, dalla sorgente dei ricordi prese forma un nuovo ricordo: una fila di donne con le carrozzine, schierate in uno dei tanti blocchi stradali. Si stava manifestando contro i doppi e tripli turni che c’erano nelle scuole; dopo segnalazioni su segnalazioni, sollecitazioni su sollecitazioni, nulla. Nessuno avrebbe avuto il coraggio di attaccare delle donne con i bambini; o almeno così pensavano. Si sbagliavano. Arrivata sul posto, la polizia non mostrò nessuna pietà: colpì la folla con lacrimogeni e si lanciò contro le madri e i loro figli. Maria Grazia, che non aveva mai avuto paura di stare in prima fila, cercò di utilizzare il suo corpo come scudo. La colpirono con una manganellata e perse i sensi. La polizia la caricò su una vettura e la portò al pronto soccorso. Solo ripensando a quel momento, sentiva il suo cuore riempirsi di rabbia; rabbia che era diventata il carburante per continuare a lottare. Sapeva di avere un ruolo, come ognuno all’interno del quartiere.

Da quando si era trasferita a Magliana da Prato Rotondo, si era sempre battuta per migliorare le condizioni di vita dell’intera comunità, e insieme a lei tanti altri. Non si poteva rimanere indifferenti davanti alla speculazione edilizia, alla differenza tra gli affitti dei vari appartamenti, alle situazioni terribili in cui vivevano, tra inondazioni e fogne a cielo aperto. Con il tempo il quartiere aveva imparato ad essere solidale. Le tornarono in mente i picchettaggi contro gli sfratti e la grande mobilitazione per denunciare le condizioni igienico-sanitarie. Dagli interventi degli ispettori sanitari, emerse che c’erano dei casi di epatite virale; partirono denunce e risanamenti. Era una vittoria, ma piccola in confronto a tutti i problemi che il quartiere si trovava ad affrontare: oltre alla lotta per la casa, che sembrava interminabile, si aggiunse anche lo spaccio di eroina.

I giovani cadevano vittime della nuova piaga come foglie in autunno. Maria Grazia, che con la Cooperativa Magliana 80 aveva preso a cuore la situazione, si era trovata ad aiutare personalmente alcuni di questi ragazzi. Una sera, trovò uno di loro che la aspettava nel cortile di casa. “Ti prego, Maria Grazia mi devi aiutare” aveva detto lui, disperato.

“Sono finito in un brutto giro, i miei non lo devono sapere. Sei la mia unica soluzione. Ti prego, Maria Gra’, ti prego!”.

Non avrebbe mai potuto lasciarlo da solo; “Non ti preoccupare, ci penso io.”

Questa fu l’ultima immagine che fuoriuscì dalla sorgente dei ricordi. Come risvegliatasi da un sogno confuso, Maria Grazia si arrestò improvvisamente. Solo a quel punto, si rese conto che una lacrima le rigava la guancia sinistra. Si asciugò e fece un paio di respiri profondi. L’aria aveva cominciato a rinfrescare e si era alzata una leggera brezza che rendeva piacevole stare all’aperto; lei si riempì i polmoni della freschezza di quel vento. Così, Maria Grazia, tranquilla, riprese a camminare lungo strade che conosceva a memoria.

I sospiri del cielo che attraversavano i vicoli di Magliana, fischiando, sembravano sussurrare qualcosa; se si fosse fermato ad ascoltare, un orecchio attento avrebbe sentito cantare “Magliana, terra di sfruttamento”.


Le fotografie di Maria Grazia Passuello sono di Beatrice De Leo. Il ritratto a sinistra è di Alice Bellucci fotografata da Simone Tucciarello. Il ritratto a destra è di Beatrice De Leo fotografata da Maria Vittoria Biagioni.

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