Ida Meneghello
Diario di una spettatrice

Il segreto di Luchetti

Il nuovo film di Daniele Luchetti, "Confidenza", ricama sulla figura di un uomo in crisi e in preda alle sue paure (Elio Germano). Ma il ritmo e la musica non aiutano. E spesso si scivola nella noia

Avrei dovuto portare mio marito a vedere il nuovo film di Luca Guadagnino Challengers, a me non è piaciuto, ma lui che è un tennista appassionato magari si sarebbe divertito. Invece l’ho convinto a vedere il film di Daniele Luchetti Confidenza, così abbiamo litigato, noi che non litighiamo mai. Mi ha detto senza appello: con te al cinema non ci vengo più. Ha ragione, confidenza per Confidenza, dopo questo film io ho chiuso con Daniele Luchetti.

Che la pellicola, ispirata dal libro omonimo di Domenico Starnone e sceneggiata dallo stesso regista e da Francesco Piccolo, contenga un messaggio profondo sulla crisi del maschio contemporaneo in fuga dalle sue debolezze, raccontando la storia del professor Pietro Vella che si barcamena tra studentesse adoranti e amori vissuti col freno a mano tirato per la paura di essere “scoperto”, per quale colpa non si sa, confesso francamente che tutto questo contenuto così denso e carico di significati io non l’ho colto.

Ciò che ho visto è un altro film: lungo, lento, noioso e tanto deprimente da mettermi addosso un malumore che non mi appartiene. Se sono rimasta fino alla fine è solo per il più banale dei motivi: vedere come andava a finire, se cioè il protagonista avrebbe fatto davvero ciò che immagina di fare in diverse situazioni (ovvero buttarsi di sotto) e se il suo imperdonabile segreto sarebbe stato infine svelato. Invece no, non si butta e non si scopre cosa lo attanaglia e gli impedisce di godersi la vita.

Ho letto da qualche parte che il film avrebbe la tensione del thriller, proprio per ciò che non viene rivelato e che pesa sulla vita del protagonista come un macigno, l’origine di tutte le sue paure come succede ai tormentati personaggi di certi capolavori di Hitchcock. Intanto il thriller non c’è perché il film non ha il ritmo incalzante necessario. E poi secondo me il segreto continuamente sottinteso non esiste, è solo un espediente letterario che funziona nel romanzo di Starnone, ma non in una pellicola che, nonostante gli sforzi che fa Luchetti per caricarla di oscuri presagi (arriva persino a citare Gli uccelli di Hitchcock!) non ha pathos, non c’è suspense. Mi sono al contrario annoiata per la lentezza del racconto e la ripetitività delle situazioni e ho provato fastidio per certe scene che il regista avrebbe potuto evitare (come quella in cui il professore ormai anziano immagina di massacrare la sua antica studentessa diventata famosa matematica al MIT di Boston, l’amore della sua vita, l’unica cui aveva rivelato il suo innominabile segreto).

Cosa aggiungere ancora? La bravura di Elio Germano, qui nella barba e nei jeans di Pietro Vella, è cosa nota ma non basta, come non bastano le brave attrici che recitano con lui, da Vittoria Puccini a Isabella Ferrari a Pilar Fogliati (non mi è piaciuta Federica Rosellini che impersona l’amata studentessa Teresa, faccia truce e sorrisi ammiccanti, o fai l’una o fai l’altra cosa, certo gliel’avrà chiesto Luchetti).

Dulcis in fundo la solita colonna sonora debordante firmata stavolta da Thom Yorke. Ma quella della musica che stravolge e tutto travolge nelle pellicole italiane credo sia ormai una battaglia persa.

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