Paolo Petroni
Ancora su "Abel"

Il cowboy di Baricco

Dietro le quinte dei saloon e della prateria, Alessandro Baricco, nel suo nuovo romanzo, ha disseminato pillole di filosofia che contano più delle azioni. Purché non si cerchi sempre il senso delle cose...

Abel Crow ci racconta la sua storia da ragazzino nato nel West, che diventa poi cowboy, quindi sceriffo, il cui 10 per cento della testa è sempre impegnata a ricordare la bellezza e l’amore per Hallelujah Wood, e a 27 anni pistolero leggendario, uno che se perdesse un duello lo si saprebbe fino al mare, eppure è sempre in attesa di venire davvero al mondo secondo quanto rivelatogli da una Bruja indiana che lo aveva definito «solo un soffio d’anima che non ha ancora trovato casa» e poi, rivolgendosi a lui «disse che sarebbe stato molto doloroso, ma un giorno, era una promessa, sarei nato».

Questo ultimo, divertente romanzo di Alessandro Baricco, Abel (Feltrinelli, 154 pagine, 17,00 Euro) vive di questo nomade soffio d’anima che è come avesse scomposto tutto, perché «non c’è futuro, non c’è passato, c’è un unico respiro», sempre secondo le parole della Bruja, per la quale «fra anni ti accadrà di vedere cose che anni fa hai solo ascoltato». E così gli episodi della vita di Abel, apparentemente rimescolati nel loro rapporto temporale come in un gioco di carte o un romanzo combinatorio sperimentale di metà anni Sessanta, qui finiscono però per mostrare il loro senso, il loro essere riflessi, vibrazioni di un altrove più assoluto in cui «Tutto si ricompone, questa è la vita».

Nel West di Baricco infatti tutto finisce per avere un valore più che metaforico, metafisico, secondo la sua stessa definizione, eppure molto reale e psicologico assieme. Quando il padre spara un colpo di fucile vicino alla testa del fratello di Abel che se ne sta andando e è oramai così lontano che basterebbe un colpo di vento per deviare il proiettile e ucciderlo, voleva dirgli Fermati, Torna, ma a quella distanza puoi solo sparare: «allora crei un legame. Conservi una vicinanza. Riconnetti qualcosa che si stava dividendo, un’unità preziosa». Allo stesso modo un giorno Albel sparerà a Hallelujah che se ne sta andando senza voltarsi.

Per capire il nostro protagonista, allora forse il capitolo chiave, più di quello dell’incontro con la veggente indiana, è quello del dialogo con Hallelujah attorno allo sparare e all’amore. «Sparare è una condanna» con la mente che va a mille e, dopo, fai sesso, anche violento, ma non con una donna: «Tu in quei momenti ti fotti la mente, il tuo talento, le mani sul calcio della Colt, la decisione di vivere per sparare, sparare per vivere, tutta la tua esistenza, quello che sei, ti fotti tutto in una volta, e solo questo ti può strappare alle tue insonnie, sparare e fottere, fino a stramazzare su un letto». Questo perché «sparare è un modo di esistere, un modo drammatico» per il pistolero che non ha paura di morire ma paura di fallire, di scoprire di non essere all’altezza. Così si arriva a smettere per sempre di sparare, pur scoprendo di avere nelle dita ancora 7 colpi che inesorabilmente sparerai prima di morire (e tre glieli chiede la sorella, per salvare la loro madre che sta per essere impiccata).

C’è infatti anche azione in questo western, con i suoi luoghi deputati, la Main street, il saloon, le risse, le rapine in banca, i colpi di mano per salvare chi ha già la corda del patibolo al collo, il colpo Mistico ovvero la capacità di estrarre le due pistole per colpire simultaneamente due bersagli differenti. Eppure, in questo romanzo proprio perché di genere, l’autore ha fatto sì che contino più le parole, i discorsi, quelle frasi che esprimono l’inafferrabilità del senso dell’esistente. Non a caso qui c’è un Maestro che parla di paura e cita Platone; un anziano vice sceriffo che legge Voltaire; un discorso sull’illusione del rapporto causa e effetto legato in modo divertente a David Hume; senza contare incisi come quello su Keplero e sua madre o frasi misteriche come quell’avvertire un «vento caldo che veniva da un quinto punto cardinale». Allora bisogna lasciarsi andare alla lettura, al davvero gran bel ritmo della scrittura, ora sincopata ora come in versi, e farsi conquistare per arrivare a capire qualcosa della provocazione non banale e ironica di Baricco.

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