Ida Meneghello
Diario di una spettatrice

Memorie sbagliate

“Memory", il nuovo film di Michel Franco racconta la storia di due personaggi traditi dai ricordi e poi salvati dall'amore. Sulle note dei Procol Harum

Come annuncia chiaramente il titolo, Memory, il film scritto e diretto dal regista-sceneggiatore-produttore messicano Michel Franco, presentato all’ultimo festival del cinema di Venezia, è una pellicola sulla memoria: la memoria perduta, la memoria che inganna, la memoria di ciò che è avvenuto e che non può essere dimenticato. In questi crocevia della memoria si incontrano due storie: la storia di Sylvia che ha la vita segnata da un ricordo traumatico che non può cancellare e la storia di Saul che, al contrario, la memoria l’ha persa per una demenza precoce.

Lei ha la pelle diafana e i capelli rossi di Jessica Chastain, magnifica incarnazione di una donna ancora giovane che vive in uno stato permanente di ansia: è tesa quando lavora nella struttura dove assiste anziani e persone fragili più di lei ed è tesa quando rientra nell’appartamento blindato dal sistema d’allarme che inserisce ogni volta che torna a casa. Scopriamo subito due aspetti essenziali della sua vita: Sylvia è un’alcolista che ce l’ha fatta a uscire dal tunnel, non beve più da tredici anni, è anche una madre iper protettiva per la figlia Anna che ha esattamente tredici anni, dunque quando la bambina è nata lei ha smesso di bere.

Lui ha il corpo massiccio, la barba e i capelli arruffati di Peter Sarsgaard (che per questa interpretazione ha vinto a Venezia la Coppa Volpi), compare nella vita di Sylvia seguendola per le strade e nella metro di New York e lo spettatore vedendolo teme subito il peggio, ma lui si limita ad aspettarla fuori dalla porta di casa tutta la notte sotto la pioggia e allora è chiaro che Saul non è l’uomo che sembra, è affetto da demenza precoce e l’ha seguita senza sapere perché.

Sono entrambe vite devastate dall’assenza e dalla presenza ossessiva della memoria, una presenza che può anche tradire i ricordi. Appena lo incontra, Sylvia è convinta che lui l’abbia violentata quando era solo una ragazzina, ma è un ricordo ingannevole che nasconde un altro trauma devastante che verrà rivelato allo spettatore solo alla fine della pellicola. Tra i due cresce nel frattempo un’attrazione commovente, perché entrambi hanno la fragilità di chi non conosce da anni la sicurezza e la forza di una relazione amorosa. E sarà proprio il loro amore, inatteso e inaccettabile, a vincere alla fine su tutto, sulle resistenze e sui silenzi colpevoli dei familiari, unendoli in una memoria ritrovata e finalmente piena di speranza.

Il leitmotiv del loro incontro e dell’intera pellicola è una canzone dei Procol Harum che nel 1967 portò il gruppo rock inglese in testa alle classifiche di tutto il mondo: A whiter shade of pale, una sfumatura più bianca del pallido, quel pallore che Sylvia ha sul viso e che farà innamorare Saul.

Facebooktwitterlinkedin