Ida Meneghello
Diario di una spettatrice

Le donne di Coen

Ethan Coen firma un nuovo film senza il fratello Joel (ma con la moglie Tricia Cooke): un road movie scanzonato pieno di donne e di amori. Con un risvolto tra il giallo e il grottesco

Il titolo è difficilmente traducibile, del resto il film è distribuito solo in versione originale sottotitolata. Drive-away dolls potrebbe significare o anche no “alla larga, bambole”. Più chiaro è il sottotitolo: “A story of two ladies going South”. In effetti la pellicola è un classico road-movie, la storia di due donne dirette a sud, ma la sua originalità sta nel fatto che è popolata di giovani lesbiche che dragano allegramente i bar americani negli ultimi giorni del 1999.

Il viaggio avviene a bordo di un’auto presa a noleggio con la formula “drive-away” (prevede di portare la macchina a destinazione per conto di un cliente) e a farlo sono due amiche che decidono di concedersi una vacanza guidando da Philadelphia a Tallahassee in Florida per raggiungere la zia di una delle due. Le “bambole”, amiche per la pelle che perciò non vanno a letto insieme, sono: Jamie, texana sboccata e vorace interpretata dalla scatenata Margaret Qualley (identica alla madre Andie MacDowell) e l’indiana timida e secchiona Marian che in viaggio legge Henry James (l’australiana di origini indiane Geraldine Viswanathan).

Il risultato è un divertissement di irriverente leggerezza che il regista, sceneggiatore e produttore Ethan Coen per la prima volta non firma col fratello Joel, con cui forma com’è noto la premiata ditta, ma con la moglie Tricia Cooke. Mentre viaggiano, e a ogni tappa Jamie cerca i locali dove rimorchiare, le amiche vengono coinvolte senza saperlo nei traffici di una gang dal mandante misterioso che mette sulle loro tracce due killer sgangherati decisi a recuperare una misteriosa valigetta che le ragazze trasportano a loro insaputa sulla vecchia Dodge Aries presa a nolo.

Che cosa contenga la valigetta di metallo, che compare nei film di spionaggio e che solitamente nasconde segreti in grado di distruggere l’umanità – e in effetti per possederla molto sangue schizza – ovviamente non lo dirò, e non solo per lasciare la sorpresa a chi vorrà vedere il film, ma perché la trama della storia scritta da Ethan e Tracy mi sembra nient’altro che un pretesto per costruire una pellicola con gli stilemi tipici dei fratelli Coen e anche di Quentin Tarantino: dialoghi serrati e a tratti surreali, scene splatter cariche di suspense ma che rapidamente virano sul grottesco, una fotografia a colori ipersaturi e di gusto vintage, divagazioni psichedeliche, insomma un esercizio di ironia sui generi cinematografici evocati dalla pellicola – road movie, thriller, commedia tra il macabro e il sexy – che non si prende mai sul serio e molto diverte lo spettatore.

Ho apprezzato la decisione di distribuire il film solo in versione originale anche se questa scelta svuota le sale, ma sarebbe stato davvero complicato sincronizzare il doppiaggio con l’americano biascicato e masticato dalla finta texana Qualley e lo slang senza eufemismi parlato dalle ragazze, a cominciare dalla poliziotta Sukie, amante tradita dell’incontenibile Jamie. In un cast tutto al femminile e orgogliosamente lesbian, gli uomini sono relegati ai ruoli di contorno pur essendo attori famosi come Matt Damon, Colman Domingo e Pedro Pascal (protagonista l’anno scorso del corto western di Pedro Almodóvar “Strange way of life”).

Magari non sarà facile trovare “Drive-away dolls” in sala, ma in questi tempi cupi 84 minuti di leggerezza sgallettata sono una benedizione.

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