Nicola Fano
L'identità italiana (perduta)

Viaggio ad Armungia

Un giorno ad Armungia, paese natale di Emilio Lussu nel cuore della Sardegna più autentica, alla ricerca delle radici di un'etica dei diritti e dell'uguaglianza che oggi sembra sparita

Domanda: qual è il rapporto tra un grandissimo uomo (poniamo, uno dei più grandi dell’Italia del Novecento) e il piccolo centro dov’è nato? O, per essere più franchi (e precisi): come può accadere che un individuo nato e cresciuto in un piccolissimo paese diventi poi il riferimento per diverse generazioni di persone? Sono domande che con sé ne portano molte altre – di quelle che una volta ci si poneva spesso e volentieri e che invece oggi si tende a ritenere oziose, se non inutili. Ossia: quanto il contesto socio culturale condiziona lo spirito di un individuo? Peggio: nasciamo tutti uguali o no? Il luogo, la formazione, lo “spirito della terra” che peso reale hanno nella determinazione di una grande (o piccola, a seconda dei casi) coscienza? Sono andato ad Armungia, paese natale di Emilio Lussu, per tentare di rispondere a queste domande. Non so se ho trovato delle risposte univoche – non credo – ma quel che ho visto può essere utile a qualche riflessione.

Armungia, Gerrei, Sardegna centro-meridionale, circa settanta chilometri a nordest di Cagliari: un’ora e mezzo di automobile (alla mia andatura, cioè piano). Le discese ardite e le risalite che bisogna affrontare per raggiungere Armungia da sole valgono il viaggio. Lasciata la piana di Cagliari, le colline si susseguono in rapida successione, solitarie, scure, verdi: la Sardegna è un luogo poco antropizzato e, per questo, dove la natura spesso ha il sopravvento su tutto. Unico cenno di civiltà delle macchine, questi nastri d’asfalto che l’attraversano. Lecci, lentischio e cisto ovunque; e fichi d’india, ovviamente; poi olivastro, mirto e pini di ogni foggia (anche una specie di abeti di montagna); infine ciuffi grigi di elicriso: tutto quell’armamentario che fa della Sardegna uno dei luoghi più profumati del mondo. Qualche mucca bel alimentata e molte pecore, come da tradizione. I pastori controllano, i cani occhieggiano i pochi viaggiatori, qualche rarissima automobile parcheggiata al lato della carreggiata segnala la presenta di cacciatori isolati: la caccia – lo vedremo meglio più avanti – qui non è quella che i nuovi fascisti vogliono ri-potenziare in Italia, ma il segno di un’identità antica. E nobile: una disciplina con una sua etica.

È inutile sottolineare che spesso, quasi sempre, a salir su verso Armungia, lo sguardo si allarga su paesaggi privi di cemento, privi di tralicci: l’occhio coglie una dimensione eterna, senza sedimenti storici, dove inevitabilmente ci si confronta con sé stessi in assenza di mediazioni suggerite dalla cosiddetta civilizzazione. Anzi, si tende a sentirsi soltanto sé in rapporto con il tutto. Deve essere capitato anche a Emilio Lussu, giovane, camminando per queste terre che, a suo tempo, tra fine Ottocento e inizio Novecento (Lussu è vissuto dal 1890 al 1975) non dovevano essere troppo diverse da oggi. O, meglio, entrando ad Armungia si ha l’impressione che la politica di recupero urbanistica avviata dieci, quindici anni fa sia andata in questa direzione. Lo chiamerei rispetto dell’identità collettiva: è qualcosa che sento forte ogni volta che vengo qui in Sardegna e la cui assenza totale, invece, caratterizza (e distrugge) il tessuto sociale del resto di questa nostra disgraziata Italia. Anche su questo, sull’identità collettiva sarda, torneremo: perché su tale tema Emilio Lussu indirizzò fin da subito il suo lavoro politico.

Armungia è un paese piccolo (oggi quattrocento abitanti) e bellissimo, arroccato intorno a un nuraghe (per una volta al centro di un abitato e non in piena campagna come quasi tutti gli altri) molto ben conservato. Subito sotto il nuraghe (si tratta di strutture architettoniche del secondo millennio avanti cristo il cui uso preciso è ancora ignoto) c’è un piccolo ma delizioso museo etnografico da cui dipende anche il Museo Emilio Lussu, ancora più sotto, in centro paese. Nel Museo a lui dedicato – sistemato in una magnifica casa padronale, quella dell’ex segretario comunale, perfettamente restaurata – troneggiano numerosi bei ritratti fotografici di Lussu e di sua moglie Joyce, oltre a una serie di documenti preziosi, come un taccuino di guerra su cui il tenente della Brigata Sassari appuntò le riflessioni che poi sarebbero confluite in Un anno sull’altipiano. Ma il vero Museo Lussu è a cielo aperto: è il paese di Armungia nel suo complesso, risanato con gusto e rigore: muri a secco in pietra sarda (una sorta di granito verde tipico del Gerrei), strade in ciottoli e pietra, insegne onnipresenti ma molto sobrie. Lo ribadisco: la mia impressione è che la filosofia di restauro sia stata quella di recuperare l’identità antica, un’identità costruita su un’etica ferrea, cancellando i segni del consumismo e del cemento armato senza regole del secondo dopoguerra (che tanti danni urbanistici ha causato non solo alla Sardegna, ma all’Italia tutta).

Quando scoprii Emilio Lussu (con Un anno sull’Altipiano, Marcia su Roma e dintorni e poi con La catena e tutti gli altri suoi libri, alcuni dei quali ho anche contribuito a ristampare), mi colpirono due immagini che prima ignoravo: la balentìa e la caccia. Il balente, in questa zona della Sardegna, era l’uomo carismatico, di grande coraggio e forza fisica, esperto con le armi e con i cavalli ma dotato di una moralità specchiata che gli consentiva di essere punto di riferimento per dirimere ogni controversia nella comunità che, pur senza atti formali, lo eleggeva proprio “leader”. Così, almeno, spiega Lussu quel termine. L’elemento più interessante, secondo me, consta proprio nell’esercizio di una leadership non scritta ma riconosciuta dalla comunità non sulla base del censo o, peggio, della ricchezza, bensì della forza etica del capo scelto. Lo stesso vale per la caccia: un rito di profondo rapporto con la natura nel quale la comunità nomina un capocaccia (uomo probo, oltre che tecnicamente impeccabile nell’uso delle armi e nella conoscenza della natura del luogo) il quale garantisce la correttezza di ogni battuta. E per correttezza si intende la capacità di rispettare la natura e gli animali in un confronto – come dire? – tra pari. Proprio le qualità di balente e cacciatore consentirono a Emilio Lussu di imporsi come leader indiscusso (e amatissimo) dei suoi soldati negli anni della Prima Guerra Mondiale. Proprio il suo coraggio, il suo ardimento e la profondissima fede nella giustizia e nell’uguaglianza gli consentirono di essere considerato più vicino alla vita tragica dei suoi soldati che alla vita ridicola dei suoi superiori. E la sua capacità di rapportarsi con gli individui – tutti: ricchi, poveri, colti, ignoranti – ne fece uno dei leader politici dell’Italia antifascista e della fase Costituente.

Questa schiettezza, questa autenticità del rapporto tra uomo e natura ho – sorprendentemente? – trovato salendo ad Armungia. Ed era ciò che speravo di trovare.

Poi c’è un altro tema che mi sta a cuore tra quelli affrontati da Lussu. Quando, nel 1921, fondò il Partito Sardo d’Azione si proponeva non solo di dare una rappresentanza alla sua gente, ma anche di trovare un punto di intesa, di intima unione tra le varie anime della Sardegna. Perché è vero che questa meravigliosa terra ha un’identità molto definita, ma è anche innegabile che essa si esprima in varie anime non di rado in conflitto tra loro. L’unità fra le anime dell’identità sarda, Lussu la identifica nel rispetto dell’individuo, della sua dignità complessiva e dei suoi diritti: valori imprescindibili che attraversano tutte le singole comunità. La dignità e la sapienza quasi scabra con la quale mi hanno risposto i miei interlocutori di Armungia (commercianti, addetti ai musei, semplici persone del luogo) mi hanno fornito la sensazione che l’etica di Lussu fosse davvero il frutto del suo rapporto con la sua terra d’origine. Come se l’etica fosse un valore assoluto, connaturato all’uomo a prescindere da dove si nasce, si vive e ci si forma. A patto di rendersene conto, ovviamente: e Lussu – qui la sua grandezza – se ne rese conto subito.

Forse questo ne fa un uomo d’altri tempi: perché quell’etica dell’uomo oggi non ha più cittadinanza. Sconfitti troppi anni fa i princìpi di Giustizia e Libertà (movimento politico antifascista non marxista fondato tra gli altri da Lussu in esilio dal regime di Mussolini), sconfitti i valori identitari del Partito Sardo d’Azione. Eppure, con la gioia dei paesaggi, delle cose e delle persone che ho visto ad Armungia e nel Gerrei, me ne sono tornato a Cagliari. Qui, un distinto signore come me non più giovane mi ha chiesto dove fossi stato. Gli ho risposto che ero andato a rendere omaggio al mio mito Emilio Lussu e lui, subito, mi ha detto, secco: «L’avrà trovato furioso, immagino». Lì per lì non ho capito: «Il “suo” Partito Sardo d’Azione s’è alleato con Salvini e la Meloni», ha aggiunto il mio interlocutore, per spiegare la sua battuta. È vero, il guaio peggiore dell’Italia d’oggi è che ha perso ogni contatto con la propria storia: un viaggio ad Armungia è un viaggio in un mondo perduto.

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