Rocco Pezzimenti
“La manna dal cielo” di Sabino Caronia

Verso il mistero

Un libro carico di memorie, alla ricerca del senso dell’esistenza, di risposte a domande che corrodono e confortano. In un luogo simbolo - Gerusalemme -, «luogo del dialogo, in primis con Dio» che «è diventato il luogo dello scontro». E sullo sfondo, a illuminare il sentiero, la grande letteratura e le Scritture

«Dunque sono a Gerusalemme». Quel dunque è semplicemente una costatazione. Non è un “finalmente”, un “purtroppo”. Sembra quasi un arrendersi all’evidenza dopo un approdo ricercato. Pagine dopo si leggerà: «Che senso ha questo venire a Gerusalemme da una figlia che non vede l’ora, appena arrivo, di trasferirsi a Tel Aviv?». Eppure è per questa figlia che ha segnato gran parte della vita al punto di far determinare altre scelte: «Sono stato a Parigi. Da lì avrei dovuto andare all’Ile de la Réunion. Ma ho detto: ho una moglie e una figlia e devo pensare a loro». Da qui il ritorno a casa dove, in altri momenti, rimane quasi accecato dalla «luce assoluta, sfolgorante, inesorabile del cielo di Roma» e dove da bambino ammirava le sagome di chiese ed edifici ritagliati nel cartone. Qui la memoria raccoglie sensazioni di altri romanzi e si ripensa al dramma di Moro oppure i caldi pomeriggi di attesa di una risposta che avrebbe determinato il futuro passeggiando per i viali del Forlanini.

Questi, tra i tanti ricordi, sono quelli che per primi mi vengono alla mente rileggendo questa sofferta, e nello stesso tempo serena, fatica letteraria dell’ultimo testo di Sabino Caronia, La manna dal cielo. Gerusalemme andata e ritorno (Schena Editore, 105 pagine, 18 euro). Alle tre città appena menzionate, sempre presenti anche nei precedenti romanzi, si potrebbe aggiungere l’omessa, ma direi sottintesa Atene. Nel famoso romanzo di Hugo Notre-Dame de Paris, c’è un capitolo che mette in contrapposizione Roma e Parigi, quasi a evidenziare l’insanabile contrasto tra tradizione e modernità. Un po’, appunto, come nel mondo classico si contrapponevano Gerusalemme e Atene. Rispolverando un po’ il gioco dei quattro cantoni, nei quali virtualmente potremmo inquadrare queste quattro città che hanno segnato la storia dell’umanità, Caronia ci presenta una soluzione diversa. È sempre lui che vaga in questa realtà carica di rimembranza, ma dove le città non si contrappongono, anzi si ricompongono in quello che è il puzzle della sua vita, dove tradizione biblica, razionalità, fede cristiana e mondanità, passione e sentimento segnano l’esistenza nella sua totalità, arricchendola ed elevandola verso il cielo, inteso come il luogo dell’attesa. Il tutto trasfigurato in un piccolo centro, che sembra fungere da rifugio, dove le vicende dei morti danno vita agli splendidi versi dialettali di un cantore ignoto ai più e non per questo meno grande.

Spirito solitario, come l’amato Kafka, fa l’esperienza del “disperso”, però, in ricerca e non nella disperazione, come Abramo e Paolo. Bisogna infatti convincersi che «l’allegria è senza ragione ma la disperazione è senza speranza». In ricerca, allora, mosso dalla vera cultura che è una sete inesauribile, La sete natural che mai non sazia, come gli ricorda l’amato Dante, ma mosso soprattutto dalla sua sete di verità. Quella cara alla Fonvisina di Dostoevskij o quella della domanda di Pilato a Gesù, che perseguita Caronia da una vita. Il procuratore non è relegato nelle pagine lontane del processo. Il suo scetticismo ce lo rende presente. La sua è la domanda che tormenta ciascuno di noi, soprattutto quando si arriva al cospetto della morte. La morte che è sacrificio, per la quale Cristo è venuto. Bellissima la spiegazione al momento di maggior gloria del Tabor; quando Pietro preso da meraviglia esclama «è bello per noi stare qui», Gesù «non lo degnerà neppure di una risposta», guardando verso il mistero, verso Gerusalemme, rifiutando tutte le logiche della razionalità, di Atene, appunto! E subito, al volto glorioso, si contrappone quello sofferente della Veronica, che sgomentò anche Borges.

Sono i volti di chi ha approcciato la sofferenza quelli che restano, quelli del suo parente Giuseppe che trova posto come giusto tra le nazioni. Lì il nome resta e conserva la sua importanza. «Ti ho chiamato per nome» è detto a Isaia, ma è detto a ciascuno di noi, prima ancora che avessimo esistenza: e questo corrode e conforta a un tempo l’animo di Caronia. Il senso dell’esodo sta tutto qui e ognuno ha il suo, ma che passaggio «dalla servitù al servizio». Questa strada appare a molti oggi impercorribile. A dire di Grossman, i giovani non voglio più continuare a stare qui. Più che il luogo del dialogo, in primis con Dio, è diventato il luogo dello scontro.

Forse quell’unità, che noi dobbiamo comunque cercare, avverrà, a dire di Ratzinger, alla fine della storia. Ora tutti cercano la grandezza del proprio paese, come qualcuno sognò la grande Germania. Così si giustifica un’ingiustizia con un’altra ingiustizia. Perché? A Gerusalemme «c’è la piazza del Comune, così ariosa e geometrica, quasi sempre vuota, che sembra un quadro metafisico». È questa la risposta. È una ametafisica senza Dio, quella che ha portato al nichilismo del nostro tempo. Ma se fosse davvero così, come potrebbero rispondere all’appello i morti che Caronia chiama, ad uno ad uno, per nome, quasi a ristabilire la continuità tra generazioni? C’è sempre qualcuno che mette a posto i cassetti dei defunti e ritrova la storia. «Noi siamo il futuro di qualcuno che non esiste più e il passato di qualcuno che esisterà quando noi non ci saremo più».

Ecco, una moltitudine immensa di senza nome che riempie la storia. Questo inquietava Manzoni che arrivò «a chiedersi se l’unica storia che contasse non fosse quella di coloro che non hanno lasciato traccia nella storia». Di questi ignoti si occupa Colui che ha fissato i cieli e la terra. «Che grande smarrimento! Eppure…». Chissà, il nostro destino è quello di non avere giustizia sulla terra, lo ha saputo bene Schmitt che ci porta a riflettere: «Dubitare e credere sono la stessa cosa, Pilato. Solo l’indifferenza è atea».

A Caronia preme «tendere decisi verso la vera patria. Gesù ascende al cielo». Pensa a questo guardando il campanile dell’Ascensione e immagina il suo futuro: «leverò gli occhi in alto e vedrò scendere, lenta e silenziosa, la manna dal cielo».

Nell’immagine vicina al titolo: Giovanni Bellini, Trasfigurazione di Cristo

De “La manna dal cielo” si parla
giovedì 29 febbraio, a Roma, alle 17,30,
al Caffè Letterario Horafelix
(in Via Reggio Emilia 89).
Lo presentano Silvia Guidi e Marco Onofrio
a colloquio con l’autore, Sabino Caronia.

 

 

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