Filippo La Porta
A proposito de "La ciantona"

La Sicilia di Guardì

Il nuovo romanzo di Michele Guardì è una storia siciliana nella quale realtà e finzione si mescolano. E, come in una commedia pirandelliana, alla fine vince il piacere dello spaesamento

Onestamente – avrò dei pregiudizi – ma un po’ mi sorprende che Michele Guardì abbia scritto un romanzo così giocoso e spericolato (La ciantona, Baldini & Castoldi, 128 pagine, 18 Euro). In che senso? Guardì è autore prolifico di trasmissioni Rai, di quelle che Pippo Baudo e Gramsci definiscono nazional-popolari, da “Unomattina” a “Domenica in”; oltre che di un musical sui Promessi sposi. Uno si aspetta un giallo anche ben fatto, artigianalmente accurato, come i sui romanzi precedenti (Fimminedda e il Polentone), ma non una narrazione così spiazzante, labirintica, straniata. Per accostarvi a questo libro dovete immaginare la più classica commedia all’italiana, anche un po’ arruffona e scollacciata (una donna si chiama “Culotta”), che incontra sorprendentemente la letteratura cyberpunk anni ’80, quella che sovrapponeva arditamente i piani temporali e poi la metaletteratura più ludica dell’Oulipo di Calvino. Guardì ha creato un originale cortocircuito letterario, che miracolosamente riesce a tener avvinto il lettore pur nel caleidoscopio della trama e anzi delle trame.

I personaggi, come in Pirandello (di cui l’autore è corregionale), dialogano tra loro e dialogano con l’autore, in modo a volte petulante, rivendicativo. Ci sono nel libro due gialli paralleli, opera di uno “scrittore iperattivo”: in uno sono tutti vestiti di bianco, si svolge oggi e ha come protagonista un brigadiere, nell’altro tutti di nero, i fatti risalgono a 70 anni fa (ai tempi di “Lascia o raddoppia”, ovviamente senza cellulari), e chi fa le indagini è un maresciallo. Ma un mantello, dove lo mettiamo? E infatti lo indossa un personaggio trasversale, un po’ outsider. In una storia c’è un signore accoltellato alla schiena, forse per gelosia, nell’altra storia ci sta uno con la testa fracassata da un bastone.

Tutto parte da un bar di Castroianni, paesino immaginario ma riconoscibile della Sicilia, in provincia di Agrigento. La cifra è quella comico-grottesca ma i fatti sono tragici, cruenti. La cronaca nera si può accostare in tanti modi, e così perfino la mafia, e ognuno di questi modi presenta i suoi rischi. Ad esempio la rappresentazione epica della mafia può creare personaggi shakespeariani, con una loro sinistra grandezza, mentre si tratta solo di miserabili individui, ignoranti e brutali, che fanno immergere i bambini nell’acido. Guardì ha invece scritto una commedia nera, che però ha molti risvolti. Nel finale sfiora sia la moda attuale dell’autofiction perché entra in scena lui stesso come personaggio e sia il romanzo epico, alla Sciascia, quando l’autore, assediato dai suoi personaggi protesta che ha fatto restare in galera un innocente per denunciare la piaga degli errori giudiziari, dal caso Tortora in poi. Uno dei moventi del libro è la insofferenza dell’autore verso i giudici, o meglio verso quella vera e propria anomalia costituita dal potere sproporzionato che hanno i magistrati, semplicemente dopo aver vinto un concorso pubblico. Né si dimostrano all’altezza di un tale potere, per cultura e sensibilità. Sciascia volle scrivere al presidente Pertini proponendo che ogni magistrato, dopo aver superato il concorso, soggiornasse per tre giorni in un carcere, per sperimentare personalmente sia pure in minima parte le condizioni di vita che possono infliggere con le loro sentenze. Nella Colonna infame di Manzoni, il più bel pamphlet – amato da Sciascia – mai scritto contro l’intolleranza, la paranoia complottista e la corruzione dei funzionari pubblici, e i giudici venivano definiti da Manzoni “burocrati del male”, come potrebbe dire un secolo e mezzo dopo la Hannah Arendt della banalità del male..

Del romanzo di Guardì, che come Palazzeschi potrebbe dirci “Lasciatemi divertire!” (tanto evidente il suo divertimento, peraltro contagioso, nello scriverlo) mi colpiscono almeno due cose.

Una certa salutare ossessione della lingua, già evidente nel titolo: “ciantona”, che significa qualcosa che va oltre il trambusto e che è un po’ meno dello schiamazzo. E si genera in un ambiente chiuso, nei locali di un bar. Ecco, la letteratura è fatta di precisione! La “ciantona” potrebbe rientrare in una mitologia letteraria della contemporaneità, come è stato per il celebre “gnommero” o groviglio dell’ingegner Gadda. Noto solo di sfuggita che a un certo nella narrazione appare un “eliquattero” ovvero un elicottero che vola senza l’uso della benzina ma solo con la forza propellente dell’anidride carbonica contenuta nell’acqua gasata: quando Gadda lavorava alla fabbrica Ammonia Casale di Terni a un certo punto volle progettare un’auto che camminava solo con la ammoniaca (una storia ripresa, accidentalmente, in un albo Topolino dei primi anni ’60, protagonista Archimede Pitagorico)

Poi: l’esercizio immaginativo cui invita il lettore. Leggendolo, ad esempio, uno potrebbe pensare che la propria moglie appartiene a un’altra narrazione! O che lui stesso è finito nel romanzo sbagliato. O che il responsabile della propria disgrazia è scappato in un’altra narrazione. In ogni destino si sovrappongono e si confondono tra loro narrazioni diverse. Insomma il libro di Guardì ci lascia, come sempre dovrebbe fare ogni libro, non solo il piacere della lettura e dell’intrattenimento, ma anche con un brivido di spaesamento.


La fotografia accanto al titolo è di Roberto Cavallini.

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