Michela Di Renzo
Una storia di madri e figlie

La pelliccia

«Quella sera c’era anche lui al ricevimento di Natale, la pelliccia gli era piaciuta proprio, o meglio gli era piaciuta Anna avvolta in quel cappottino bruno lungo e stretto...»

Anna allungò la mano all’interno dell’armadio. La Primavera era arrivata prima del solito quell’anno e il piumino era troppo pesante, anche di mattina presto, quando usciva di casa per andare al lavoro. Ma la giacca da mezza stagione, che era convinta di aver riposto nell’armadio a fine ottobre, non c’era. Sono la solita sprecisa, pensò, mentre stringeva gli occhi per vedere meglio in quella penombra, perché non aveva voglia di accendere la luce del corridoio: suo padre, da quando era caduto per andare in bagno, dormiva con la porta aperta ed era meglio che non si svegliasse prima dell’arrivo della badante. Convinta che la giacca fosse dentro alla sacca di plastica in fondo all’armadio, Anna ne tirò giù la cerniera, ma quando mise dentro la mano, anziché toccare l’husky, con la sua superficie liscia, le cuciture sottili e prevedibili, a formare dei piccolo rombi verticali, le sue dita sfiorarono qualcosa di imprevisto, di strano, un qualcosa di peloso, di irsuto, che poteva sembrare un animale, se loro avessero avuto animali domestici in casa, ma non ne avevano e non ne avevano mai avuti, anche se Anna da bambina aveva tanto desiderato un gattino, peccato che sua madre fosse stata allergica al pelo e Anna ogni tanto scappava a giocare con il micio dei vicini, ma guai a portarlo dentro casa. Fatto sta che al contatto con quel che di morbido e vivo Anna retrasse istintivamente la mano, prima di dirsi, sorridendo delle sue paure, guarda te dove è finita la pelliccia di visone, aprendo meglio l’anta e mettendo dentro la testa. Dalla sacca usciva un odore di stantio, di polveroso, strano che non lo avesse sentito finora, quell’armadio lo apriva tutte le mattine, di sicuro né suo padre che aveva perso un po’ la testa, né la badante potevano averlo notato, ma lei come faceva a non essersene accorta, doveva dipendere dalla sacca di plastica che faceva bene da isolante.

Anna prese una manica della pelliccia e se la avvicinò al volto, per guardarla meglio. L’odore di vecchio, le schiaffeggiò le narici, per cui allontanò subito il viso, ma non abbastanza da non notare che la pelliccia aveva conservato una sua lucentezza, con quelle sfumature color miele, ambrate sul fondo bruno, che persino nel buio del corridoio evocavano bene il ricordo di quegli animaletti che una volta erano stati vivi. Quanto tempo fa l’aveva indossata qualcuno? Almeno vent’anni prima, o forse anche di più, quando la mamma aveva insistito per fargliela mettere al ricevimento del Direttore, sopra il vestito di taffettà cucito per l’occasione. Così eviti di prendere la bronchite, la solita ansiosa la mia mammina, e poi qualcuno la sfrutta, la mia pelliccia. A me che sono ingrassata, aveva insistito, tira sui fianchi e per la vita che faccio non conviene allargarla, che vita monotona, ad Anna pareva di sentirla ancora lamentarsi la mamma perché lei e il babbo passavano le serate in casa seduti in soggiorno, davanti alla televisione, non ve lo ha mica ordinato nessuno, diceva lei, hai ragione ma nei matrimoni occorrono compromessi, e il babbo è diventato un pantofolaio, un giorno lo dirai anche te quando sarai sposata, e Anna tagliava corto  tutte le volte che la mamma accennava quel discorso, prima mi devo specializzare, lo sai, insomma a te questa pelliccia sta benissimo, col fisico magro che hai, come il mio alla tua età, sembra comprata l’altro ieri. Invece si vedeva che non era nuova, perché era un pochino spelacchiata sulle maniche, ma Anna se l’era messa lo stesso, non voleva contraddire quella povera donna, proprio quella sera che c’era il ricevimento di Natale dal Direttore e la mamma era tutta orgogliosa, poi mi devi raccontare tutto, mi raccomando, ho sentito dire che la villa è bellissima, hanno anche la piscina riscaldata, sì ma non credo che faremo il bagno stasera, anzi ora che ci penso metto in borsa il costume, non si sa mai, fai poco la spiritosa con me, piuttosto comportati bene.

Nello specchio con indosso il visone Anna aveva visto una lei che non le piaceva, sai che novità, una ragazza bionda, alta, dal fisico slanciato, sembrava davvero la mamma da giovane, almeno da come l’aveva vista nelle fotografie, ma tutte quelle povere bestie morte addosso, oltre a farla sembrare più vecchia, le facevano ribrezzo, soprattutto intorno al collo, dove il pelo più lungo che era diventato ispido col passare del tempo le graffiava il mento, tanto da farle tenere il capo ritto, il più lontano possibile da quelle pelli che una volta erano state vive. Però quella sera Anna non voleva discutere, la mamma l’aveva già rimproverata per via di Andrea, dimmi te come si fa a lasciare un ragazzo con tutte quelle qualità, e soprattutto figlio di un professore, te certe volte hai proprio un caratteraccio, figlia mia, e non l’hai preso certo da me, diceva abbassando la voce.

Andrea, anche se ora aveva perso un po’ i capelli, era sempre belloccio e quando Anna lo incontrava nei corridoi dell’ospedale, si salutavano senza rancore, perché prima o poi ti riprendi, nella vita funziona così, anche se non è vero per tutti, perché Anna era rimasta sola con suo padre che spesso non ricordava dov’era, mentre Andrea era felicemente sposato e con due bambini, ma quando lei lo aveva lasciato era lui quello che aveva sofferto di più.

Quella sera c’era anche lui al ricevimento di Natale, la pelliccia gli era piaciuta proprio, o meglio gli era piaciuta Anna avvolta in quel cappottino bruno lungo e stretto, quando l’aveva vista le aveva passato la mano sui fianchi, accarezzando il visone contro pelo, lo sai che il pelo mi piace parecchio, le aveva sussurrato all’orecchio, e lei gli aveva allontanato con forza la mano, Andrea sei sempre il solito volgare, dimmi te se è questo l’ambiente per certe battute, e lui aveva sorriso, era un pregio che fosse una ragazza bene educata, mica lo aveva capito che la sua mano grande e ossuta sul fianco le aveva fatto rizzare i peli lungo le braccia, Andrea non si era mai accorto niente, e per fortuna, sennò sai le chiacchiere che ci sarebbero state, e poi forse le cose potevano cambiare, chissà forse con un figlio suo sarebbe riuscita non dico ad amarlo, ma almeno a volergli bene.

Di sicuro sarebbe stato più facile se non ci fosse stata Gloria, guarda te che mi doveva capitare, a volte ad Anna prendeva un’angoscia che aveva voglia di buttarsi dalla terrazza di camera, il Direttore aveva invitato al ricevimento anche lei, la caposala, quella sera Gloria si era messa un golfino con le paillette e un paio di pantaloni di velluto, ma si vedeva lontano un miglio che era una ragazza di campagna, con quei ricciolini neri che non andavano nemmeno di moda, e quella faccia da topolino, Anna si ricordava bene lo sguardo di disprezzo che aveva gettato alla pelliccia di visone, e allora sì che quel pelo sul collo le era sembrato ispido, ti stavano bene quelle bestie morte addosso, morte come te, ipocrita borghese, lo avevi lasciato o no quel pallone gonfiato di Andrea, le aveva detto il giorno dopo nel magazzino della corsia, guarda Gloria te a me non mi devi nemmeno più rivolgere la parola, su questo siamo perfettamente d’accordo, ed era finita lì, finita ancora prima di incominciare, perché c’erano stati solo degli abbracci di sfuggita in quella stanza lunga e stretta senza finestre, e Anna ancora si chiedeva come aveva fatto Gloria a intuire tutto, sennò non si sarebbe mai permessa la prima volta di passarle la mano tra i capelli mentre cercavano chine sugli scatoloni le fiale di un farmaco, e Anna aveva sentito qualcosa allo stomaco che non avrebbe mai dimenticato. Dopo il ricevimento dal Direttore con quel maledetto visone addosso Gloria non l’aveva più martoriata per andare a mangiare una pizza, ma io come lo giustifico che esco una sera con te, a trent’anni ti devi ancora giustificare, come faccio a dirlo a mia madre, le avrebbe voluto urlare, stasera esco con la caposala che è diventata una mia amica, come fai a essere amica di un’infermiera, la mamma aveva chiare certe distinzioni, invece era sempre stata zitta, con Gloria, con la mamma, con tutti e per fortuna Gloria dopo poco era andata a lavorare altrove e ora conviveva con una collega da molti anni, perché il lupo perde il pelo, ma mica il vizio, ma almeno lei aveva vissuto, lei sembrava felice nella foto di Facebook con i capelli sale e pepe cortissimi e un geco tatuato sul collo, ancora parecchio volgare sì ma con lo sguardo sorridente. Certo ora le cose erano cambiate, al lavoro era arrivata una collega che aveva sposato una donna, anche se i commenti alle sue spalle si sprecavano, da parte degli uomini, quelli che pontificavano Dio, patria e famiglia, ma anche le donne ci si mettevano, qualcuna di loro parlava addirittura di una moda, altro che moda, lo sapeva Anna quello che aveva passato a dover mentire tutta la vita, persino quando la mamma era in punto di morte divorata dal cancro, la mamma che lei aveva assistito da figlia esemplare, la mamma che non si capacitava che una ragazza come lei fosse rimasta sola, e fosse sempre depressa, piena di psicofarmaci, anche in questo devi aver preso dal babbo, perché io ho sempre avuto un carattere solare, a parte ora nella malattia, però giurami che quando non ci sarò più ti guardi intorno, ti ci vuole una compagnia, te lo giuro mammina, te lo giuro.

Anna chiuse con rabbia la cerniera del sacco di plastica, accese la luce del corridoio e vide in fondo all’armadio l’husky blu. Lo prese e se lo mise addosso di corsa, perché era già in ritardo per il turno della mattina. Nel pomeriggio, una volta tornata a casa, avrebbe tirato fuori la pelliccia e l’avrebbe regalata alla badante rumena del babbo: stava bene a Bucarest, dove faceva un freddo tremendo, e dove il visone non era roba d’altri tempi.


La fotografia accanto al titolo è di Deborah Raimo.

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