Loretto Rafanelli
Un libro di Paolo Lagazzi

La letteratura con leggerezza

Nel suo recente “I volti di Hermes. Magie, Inganni, Sortilegi, Rivelazioni”, il critico parmense si muove «nelle profondità di tante scritture» come in un labirinto in cui si orienta con l’audacia e lo stile imprevedibile del dio alato

C’è un dio che ci inoltra nella dimensione della leggerezza, nello spazio di una ulteriore verità, nella inesausta sfida a «voltare e rivoltare le soglie fra il visibile e l’invisibile, i corpi e il mistero, i segni e i sensi, il possibile e l’impossibile». Un dio che ci conduce in una dimensione labirintica, accompagnandoci, «con la sua mano incantata», in un intrecciato percorso di viaggi e di approdi che vanno oltre i confini delle leggi e della ragione. Diciamo del “sovrano delle differenze”, di Hermes. E il cantore di questa alata figura, che va oltre l’omologazione e il pensiero asservito all’ottuso codice dei tempi, è un critico che si muove nelle profondità di tante scritture, a partire da Bertolucci, di cui è il più raffinato lettore, passando per Citati e Spaziani, di cui ha curato i Meridiani, e di altri. Parliamo di Paolo Lagazzi. E del suo recente libro I volti di Hermes. Magie, Inganni, Sortilegi, Rivelazioni (Moretti e Vitali Editore).

Ricorrere a Hermes non è un esercizio usuale, in quanto vuol dire “spostarsi” su un versante mitico, enigmatico, colmo di connotazioni debordanti, tanto è il mistero che l’attraversa. Ecco allora che seguendo questa linea diviene necessario anche ripensare al compito della critica, la quale non potrà semplicemente arrestarsi a interpretazioni impantanate sulle leggi stanche e ovvie del normale intendere, bensì, come egli suggerisce, sarà necessario che il critico: «al principio maschile della Volontà di Dominio dell’opera dovrebbe sostituire il principio femminile della tensione amorosa e flessibile ad essa, della calda fedeltà al suo mistero, alla sua magia e alla sua ingovernabile bellezza; questa tensione amorosa, però, non dovrebbe mai indurre il critico a sciogliersi in un puro flusso desiderante, ad abbandonarsi a una passione ebbra o anarchica: il suo cammino dovrebbe sempre reggersi sullo stile leggero, danzante ma attento, sottile e terso di Hermes». E, si potrebbe aggiungere, se c’è questa sensibilità, questa curiosità, questo sguardo attento, allora il critico non sarà solo un “ragioniere” composto e sempre ordinato dentro i sicuri passaggi, come in affermati odierni casi, bensì un geniale creatore che sa scavare e approdare a terre inusitate.

In questo libro in cui i saggi, o forse meglio i racconti si inerpicano in mille approdi, (convocando mille autori, alcuni anche poco conosciuti), in squarci lucenti e aperture fulminee, c’è un mondo sorprendente che si converte a forti bagliori e a interpretazioni versate nella profondità del “mai detto”. Si parta, inaspettatamente, dal capolavoro di Hitchcock, Vertigo, in cui scorre «nel suo cuore senza cuore, nel suo spirito tragico e fluttuante, fatale e nebbioso… un abisso sciamanico, una danza di fuochi fatui…». E da qui una riflessione, quella di una ricerca che mai ci deve abbandonare e in cui la profondità del “sentire” una modernità che stremata ingloba tutto e giunge al nichilismo, deve avvertirci invece che forse la pienezza sta in altro. Lo stesso vuoto che ci accompagna nel presentarsi come il nulla, riprendendo il poeta brasiliano Manoel de Barroso, dovrebbe indurre a ritenere lo stesso nulla, nella sua «forza generativa, nella pienezza gioiosa e innocente, nella sua natura viva e splendente di grembo dell’essere, di matrice del tutto».

E sicuramente, sulle orme dei suoi maestri – Jung (allo stesso tempo: «filosofo, sapiente, prestigiatore, indovino, sciamano, poeta»), Hillman e Citati – Lagazzi ritiene l’illusione «quella soglia del senso intorno a cui si gioca la possibilità o meno di un passaggio, di una svolta, di un salto della psiche fuori dalle reti che l’imprigionano». La letteratura che rapisce e insegna è dettata da tali connotati, è quella che sa «ridare leggerezza al nostro sguardo gonfio, affaticato, appesantito, incredulo» come nel caso dell’aquilone di Kobayashi Issa, caro a Lagazzi, che si alza in volo: «Bello l’aquilone -/ si leva dalla capanna/ del mendicante». O come la “semplice” poesia di Penna «espressione di qualcosa come una ricerca senza nome, la ricerca, da parte di un viandante del tempo, di epifanie lucenti del quotidiano, di istanti di grazia in cui sia dato all’io di sciogliersi nel “rumore della vita…”»; o quella “grave” di Bertolucci «con la sua vocazione alla leggerezza, il suo aprirsi naturalmente alla vita attraverso la poesia in termini fantastici e favolosi, nel flusso delicato della rêverie». Sempre, infine, ci dice Lagazzi, «la vera letteratura è sfida all’ignoto e al mistero, è traversata di orizzonti diversi, spostamento di senso, di sensi, d’intuizioni, di parole, di suoni e silenzi da una riva all’altra dell’anima, da un mare all’altro del mondo. Come Hermes, il messaggero degli dei, lo scrittore non può fare a meno di mettersi e rimettersi di continuo in viaggio».

Ma poi la magia, richiamata nel sottotitolo del libro, è per Lagazzi solo pura cifra teorica, da Hermes in poi? Niente affatto, lo scrittore parmense è stato protagonista, col fratello gemello, sotto il nome The Twins, di una precoce, a quindici anni, “avventura” magica, che gli ha permesso di misurarsi con le sorprese di tale mondo, raccontate anche esse nel libro. E troviamo Sitta e Bustelli, due grandi maghi del Novecento, che indirizzano i piccoli gemelli maghi. Siamo nel 1964. E c’è il racconto di un viaggio verso Barcellona per un meeting di magia, un ricordo tenero e emozionante dedotto da una vecchia foto, dal sapore dolce e lontano, fugace e tenero: «in primo piano io e mio fratello quindicenni, siamo accucciati ai fianchi di Sitta; dietro di noi, mescolati a una serie di prestigiatori di grande calibro la mamma e il babbo ci accompagnano verso l’Olimpo dei Sortilegi come umili angeli custodi del candore, dello stupore… Quale foto di famiglia potrebbe essere più incongrua o anomala, più intinta nei precipitati alchemici del bizzarro?». Va da sé che i gemelli dopo molti spettacoli passeranno a un’altra magia, quella della musica, costituendo un complesso musicale rock, ma in Lagazzi rimarrà sempre quella passione per gli inganni, i sortilegi, le rivelazioni che i Sitta, i Bustelli, i Loria gli hanno “consegnato”. E mai gli si potrà chiedere di spiegare le sue magie (come peraltro a nessun mago), perché semplicemente la vera magia è «quella che non ha alcun potere sulla realtà perché è fatta della stessa sostanza dei sogni». Ma quella sostanza diviene essenziale per poter avere un “allungo” verso il mistero delle cose, verso il segreto incrocio della vita. Lo stesso che serve per poter entrare nel cuore di un romanzo o di una poesia, che, a volte lo dimentichiamo, hanno la sostanza di un sogno.

 

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