Marco Vitale
Lettere ritrovate

Anna Maria Ortese ai tempi del GUF

Esce, a cura di Apollonia Striano, il carteggio intrattenuto dalla scrittrice, tra il ’39 e il ’42, con il poeta Michele Cammarosano e con la studentessa Maria Vittoria Ciambellini. Una testimonianza preziosa per capire il clima dell’epoca e la sua vocazione letteraria in divenire

Un plico di lettere finora inedite, scritte da Anna Maria Ortese in un arco temporale che va dall’inizio del 1939 al novembre del ’42, viene oggi a gettare nuova e preziosa luce su un ambiente di giovani intellettuali napoletani su cui pure molto è stato scritto e naturalmente sulla vita e l’acuminata sensibilità della grande scrittrice. Il destinatario di queste lettere è Michele Cammarosano, all’epoca diviso tra studi giuridici e una nascente inclinazione alla poesia, ma vi è un ulteriore breve mannello di missive indirizzate a Maria Vittoria Ciambellini, una studentessa toscana iscritta a Lettere classiche a Napoli che di Cammarosano diverrà in seguito moglie («Quanta letteratura in questa lettera, non è vero?», a cura di Apollonia Striano, La Vita Felice, Milano 2024, 111 pagine, 13 euro).

Anna Maria e Michele, come tutto il loro gruppo di amici, hanno per luogo di riferimento e confronto il GUF, l’organizzazione universitaria del regime – più volte chiamata in causa in questo carteggio – in cui matura la crisi di tante coscienze che in breve volgere di anni, e nel vivo della tragedia della guerra, passeranno all’antifascismo e alla Resistenza. Fin dalla seconda lettera, che stabilisce come il climax dello scambio epistolare, veniamo così in contatto con i Littoriali della cultura del ’39 in cui Ortese riporta il primo premio nella categoria riservata alle ragazze e Cammarosano, nella sua, il quinto sempre per la poesia. Dalle ottime note al testo di Apollonia Striano – le risposte di Cammarosano sono andate perse – possiamo farci un’idea del tipo di poesia che il giovane intellettuale frequenta ed è una frequentazione comune a tanti coetanei che nell’ermetismo fiorentino, con il suo tratto atemporale e largamente elusivo, trovano un orizzonte di riferimento e una distanza dalla retorica ufficiale. Anna Maria è ospite di Bontempelli a Venezia dove cerca e per brevi momenti trova lavoro, e nell’interlocuzione che con l’amico si stabilisce consiglia, esorta, loda versi «leggermente in disparte» e al tempo stesso manifesta la complessità della propria vocazione che precocemente si indirizza verso la narrativa – ai Littoriali del ’39 ha una segnalazione anche per il racconto Il Monaciello, ora in bella edizione Adelphi – non senza vagheggiamenti di apprendistato teatrale con conseguente abbandono della scrittura.

La Venezia da cui scrive è autunnale, malinconica, nebbiosa; presto Anna Maria avrà alloggio in povere pensioni dai «cortili malati», di lì la nostalgia, cui pure fino in fondo non sembra credere, per i colori che ha lasciato: «L’aria a Napoli, di questi giorni, credo che sappia di mandarino, di fuoco e di castagne; il sole deve essere molto dolce e stanco». Sì, di tali accensioni sono costellate queste lettere, nei tempi di un pendolo che oscilla tra quanto incanta lo sguardo e si fa immagine indimenticabile e le ansie e la precarietà che saranno fra i tratti dolorosi della vita della scrittrice: «La vita ha, da vicino, disarmonie orrende: ma da lontano (e cioè quando si è divenuti forti a costo di patimenti e umiliazioni e disperazioni) è veramente una visione serenissima e incantevole». Frattanto i tempi incalzano. Così, se nelle lettere del ’39 invano si cercherebbe un accenno a quando strazia l’Europa, con l’ingresso dell’Italia in guerra la Storia, in veste di luttuosa attualità, si avvisa tra le parole di Anna Maria.

Cammarosano, come i suoi amici più cari – Galdo Galderisi e il promettente pittore Tonio Franchini, entrambi poi caduti nelle file della Resistenza – è richiamato alle armi e il tema della poesia sembra perdere di centralità allora che il rapporto di Ortese con Napoli si fa sempre più critico e teso, nel suo insoddisfatto «bisogno di quiete, luce, bellezza». Stabilitasi a Sant’Agata dei due Golfi, sulla Costiera, Anna Maria inizia un carteggio con Maria Vittoria Ciambellini nel quale molto discorre di un paesaggio toscano visto come termine intangibile di bellezza con accenti che forse più che a Rosai fanno pensare a un idealizzato Quattrocento di certo Realismo Magico. Sono probabilmente queste ultime le lettere più “abbandonate”, in cui finalmente cade l’implacabile lei con tanto di maiuscole di rispetto e si affaccia confidenziale il tu: «Sei così piena di gioia, così intenta alla musica del tuo mondo e della tua età, che ho quasi scrupolo, rispondendo, di turbarti, di portare la mia povera parola in mezzo ai tuoi pensieri azzurri».

Quanto fin qui riassunto non sarebbe tuttavia sufficiente a dire fino in fondo la bontà e l’interesse di questo libro se pur brevemente non ci soffermassimo, in chiusura di nota, a segnalare la bella e informatissima introduzione storica della curatrice, che nella pregevole ricostruzione critica di un ambiente, e nelle fitte correlazioni con l’opera della scrittrice che ne derivano, ci ricorda tra molte altre cose come proprio alla figura di Cammarosano – e si giudichi se è dettaglio da poco – si debba il personaggio di Misa in quello che è forse il capolavoro di Anna Maria Ortese: Il porto di Toledo. Un “dettaglio” che basterebbe da solo a comprendere il fascino e l’importanza di queste lettere ritrovate.

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