Ida Meneghello
Diario di una spettatrice

Le libertà di Bella

Esce il nuovo film di Yorgos Lanthimos, Leone d'oro a Venezia: una favola visionaria che rilegge Frankenstein al femminile. E si regge soprattutto sulla bravura di Emma Stone

Parto da una constatazione: Povere creature! ovvero Poor things, il film del regista, sceneggiatore e produttore greco Yorgos Lanthimos, Leone d’oro alla Mostra del cinema di Venezia 2023 e con ben undici nomination ai prossimi Oscar, è una pellicola visionaria di grande impatto che, comunque la si guardi, non lascia indifferenti. Detto questo, è un film che mi ha convinta solo a metà. Ecco cosa mi è piaciuto e quali sono, secondo me, i suoi limiti.

C’è innanzitutto una storia molto intrigante, la storia di Bella Baxter tratta dal romanzo omonimo dello scrittore scozzese Alasdair Gray, di cui il film è la trasposizione cinematografica. È una storia gotica che evoca il Frankenstein di Mary Shelley, un soggetto che il cinema ha molto amato, dal muto fino alla mitica parodia di Mel Brooks. Lanthimos (ovvero Gray) ne dà una versione femminile e dichiaratamente femminista, immergendola in atmosfere che oscillano dal surrealismo di Salvador Dalì e Luis Buñuel in Un chien andalou all’espressionismo tedesco di Metropolis di Friz Lang, con ampio uso del fisheye nelle riprese e l’introduzione di dettagli paradossali, come le “creature mostruose” ottenute dall’ibridazione di specie animali diverse, o come i tram volanti nel cielo di Lisbona. Al di là degli effetti speciali e della scenografia pirotecnica, chi occupa prepotentemente la scena per 141 minuti è lei, Emma Stone in tutta la sua travolgente bravura, corpo, mente e anima di Bella Baxter, giovane donna morta suicida e incinta, riportata in vita suo malgrado dall’inquietante e rattoppato dottor Godwin Baxter (Willem Dafoe), che la resuscita sostituendo il suo cervello inutilizzabile non con uno “ab-normal” (cit. Frankenstein jr), ma con quello del figlio che portava in grembo. Il risultato è che la ragazza traballa sulle gambe, sputa ciò che mangia, articola a fatica le parole proprio come un’infante.

La prima metà del film, realizzata in un favolistico bianconero anni Venti, cattura lo spettatore che empatizza con le vicissitudini di Bella alle prese con la scoperta della vita e della gioia esplosiva del sesso. Purtroppo questa fascinazione si smarrisce a poco a poco nella seconda metà della pellicola, quando i colori esplodono e Bella si mette al seguito dell’amante Duncan Wedderburn (Mark Ruffalo in versione mandrillo) per esplorare l’Europa e la propria sessualità in un viaggio rocambolesco che approderà in un bordello parigino. Il pathos del messaggio che vuole esaltare la libertà di Bella e con lei di tutte le donne nel decidere la propria esistenza, si annacqua in situazioni inutilmente ripetitive (per esempio il lungo capitolo dei clienti nel bordello) che niente aggiungono alla storia e molto tolgono al ritmo, appesantendo il film con una lunghezza eccessiva.

Alla fine della proiezione restano nel cuore due personaggi femminili: la Martha di Hanna Schygulla che insegna a Bella la filosofia e quanto sia più importante ciò che sta tra le orecchie piuttosto che tra le gambe, e la magnifica creatura incarnata da Emma Stone, che le darà, facile prevederlo, la statuetta più ambita nell’Oscar Night.

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