Paolo Petroni
Guida alle letture del nuovo anno

L’anno della malinconia

La malinconia sembra essere il sentimento dominante in questa stagione così critica e difficile. Lo suggeriscono saggi e romanzi molto diversi tra loro. E una grande mostra dedicata a Albrecht Dürer

I beduini nel deserto ogni tanto fermano un poco le carovane per aspettare i loro pensieri che sostengono vadano più lenti di loro. È un cercare di riportare tutto al presente invece di vivere di quelle nostalgie malinconiche che segnano il nostro mondo. Una malinconia che ci àncora al passato mentre ci fa avvertire un senso di vuoto al presente, di impotenza, di tristezza e scoraggiamento davanti alla realtà, in cui ci si sente più soli, e, per guarirne, costretti a crescere, a prendere coscienza e nuovo senso di vita magari attraverso un’azione-reazione creativa con cui rinasce anche la capacità di sentire come propria la sofferenza degli altri, partecipando ai luttuosi e tragici avvenimenti dei nostri giorni.

In questa fine di anno, negli ultimi tempi, tempi difficili che nell’anno nuovo non accennano a finire, pieni di disillusioni, di confronto con la negatività dell’uomo e del mondo, tra crisi economiche e guerre, non credo possa apparire strano che si sia tornati a parlare di melanconia. Al museo Mart di Rovereto si è appena aperta la mostra Mater et Melancholia dedicata a Dürer, che si chiuderà il 3 marzo e presenta alcuni capolavori dell’artista tedesco, dalla Madonna col Bambino detta del Patrocinio a una serie di incisioni tra cui spicca la celebre Melencolia I (accanto al titolo). Solo negli ultimi mesi sono usciti il bel romanzo in tre racconti Melancolia di Mircea Cartarescu (La Nave di Teseo, pp. 262 – 20,00 euro, traduzione di Bruno Mazzoni), scrittore rumeno dato tra i favoriti all’ultimo Premio Nobel per la letteratura, andato invece al norvegese Jon Fosse, drammaturgo e autore del romanzo Melalcholia I e II (La Nave di Teseo, pp. 446, 22,00 euro, traduzione di Cristina Falcinella) cui c’è da aggiungere quello di Giorgi Gospodinov, Fisica della malinconia (Voland, pp. 336, 15,00 euro, traduzione di Giuseppe Dell’Agata), mentre dell’indagatrice americana di certi malesseri e atteggiamenti odierni, Susan Cain, è stato appena tradotto Il dono della malinconia (Einaudi, pp. 330, 18,50 euro, traduzione di Manuela Francescon).

La Cain parte da Aristotele, che notava come tutti i grandi filosofi, artisti e poeti avessero inclinazione alla malinconia (uno dei quattro umori/temperamenti che si diceva formassero l’animo umano) e dallo stato tranquillo e dolceamaro di Virgilio con la sua capacità di vedere “le lacrime delle cose”, entrandovi in sintonia, sentendosi empatici con le anime che conoscono il dolore, arrivando così a parlare dell’America d’oggi e a dedicare il suo libro a Leonard Cohen, ricordandone l’invito: “Se hai un dolore di cui non riesci a liberarti, fanne un’offerta creativa”.

Anche la Melancholia di cui parla Fosse è in fondo creativa se la indaga, insegue e scopre all’interno dei dipinti del suo protagonista, il grande pittore norvegese ottocentesco Lars Hertervig di cui percepisce una capacità “quasi spaventosa” di guardare al di là dei confini angusti della razionalità, attraverso la sua malattia, la sua solitudine. Lo scrittore, partendo dal suo quadro intitolato Dall’isola di Borgoya, fa nascere dall’arte la letteratura e la legittima, conducendoci all’interno della visionaria follia dell’autore e le sue ossessioni amorose. Lo fa basandosi totalmente sulla scrittura, giocando su costruzione, sintassi e ritmi, ripetizioni e variazioni, con un’abilità che accetta e riferisce i fatti biografici ma per immergersi negli stati d’animo, creando un vortice di parole che risucchia, trascina a fondo e ne riemerge, in cerca dell’assoluto. Così in una nota finale la traduttrice si chiede: “Come tradurre chi dice l’indicibile?” e risponde: scegliendo di “tendere l’orecchio in una audizione fina e assorbire la musica originale per restituirla con un’altra sonorità e altre regole armoniche”.

Creativo è anche il giovane protagonista affetto da una curiosa sindrome della affascinante narrazione metaforica di Gospodinov, il quale soffre di empatia, è capace di immedesimarsi nelle storie degli altri e inizia così un viaggio nel mondo del possibile, nel labirinto dei sentimenti mai provati, delle cose mai accadute eppure reali più del reale stesso. Con coraggio va avanti e indietro dal passato, fa incursione in un futuro di cui abbiamo già nostalgia, e ritorna con un inventario di storie fantastiche e reali sul declino della nostra società.

Diversa la lettura più esistenziale di Cartarescu con la sua scrittura visionaria che, in tre racconti intimamente legati gioca su immagini, sensazioni e pensieri che sono come momenti di improvvisa comprensione dell’abbandono e le paure che si legano alla crescita, al prendere coscienza del mondo. Ecco il bambino che, uscita la madre vive o immagina che questa non torni più e lui affronti e difficoltà del vivere solo senza di lei, poi i due bambini che sotto le lenzuola si immaginano conigli nella tana in crudele lotta con volpi voraci, sino al ragazzino che scopre che per crescere bisogna periodicamente cambiare pelle. Paure infantili di abbandoni, dei pericoli della vita, perché “è nell’infanzia che ha inizio la malancolia, quel sentimento che ci accompagna tutta la vita, quella sensazione che nessuno ci tenga più per mano”, entrando soli nell’adolescenza. Un sentimento difficile da descrivere per lo scrittore rumeno, ma che trova chiarezza e verità poetica nelle sue pagine, nel suo raccontare il fantastico nel modo più realistico, amplificandone il senso intimo, la metafora.

Quanto a Albrecht Dürer, la sua Melencolia I datata 1514, senza dubbio la più conosciuta tra le sue incisioni, è considerata la prima rappresentazione in cui il concetto di malinconia fu trapiantato dal piano del folklore pseudo-scientifico al livello dell’arte, della creatività e della bellezza, dandole un senso che durò sino al Romanticismo. Una costruzione da sempre oggetto di interpretazioni per via dei numerosi riferimenti simbolici (la clessidra, la bilancia, il quadrato magico, il compasso e il noto poliedro con due punte tronche), assieme alla donna, forse una Musa in attesa dell’ispirazione, di un ritorno della vitalità. Del resto fu Baudelaire a affermare poi di non poter nemmeno immaginare bellezza che non comprendesse la malinconia.

La melanconia, atteggiamento dell’animo moderno che rende incapaci di conferire senso all’esperienza come ha spiegato già tre anni fa Massimo Recalcati nel suo saggio su Le nuove malinconie (Cortina, pp. 220, 19,00 euro), avvertendo che da tale sentire non si trae insegnamento (la storia non è maestra di vita), per far notare che in questo caso fenomenologie individuali e dinamiche sociali rimandano le une alle altre in una sindrome che è richiesta di protezione e ricerca di una via di sopravvivenza. Una via che forse possiamo intravedere leggendo e riflettendo sui libri di cui abbiamo qui parlato.

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